“simile alla nuvola estiva che naviga libera nel cielo azzurro da un orizzonte all’altro, portata dal soffio dell’atmosfera, così il pellegrino si abbandona al soffio della vita più vasta, che lo conduce al di là dei più
lontani orizzonti, verso una meta che è già in lui, ma ancora celata alla sua vista.”
(Lama Anagarika Govinda, Le Chemin des nuages blancs)

Mary Varale - Con le spalle nel vuoto

      
       

Nasce a Marsiglia nel 1895 da Giovanni Gennaro e Olinta Pizzamiglio. Inizia da giovane a frequentare la montagna dimostrandosi presto una forte scalatrice e raggiungendo a cavallo tra il 1924 e il 1935 il significativo numero di 325 vette, sia da prima o seconda di cordata così come in solitaria.



Conosciuta negli ambienti alpinistici come Mary Varale, in quanto moglie del giornalista Vittorio Varale che sposa nel 1933, è considerata una pioniera del mondo alpinistico femminile italiano. Inizia a scalare nel 1924, impressionando per l'audacia e le capacità atletiche scalatori del calibro di Tita Piaz e stringendo amicizia con altri quali Riccardo Cassin o Emilio Comici, che considerava suo maestro. Dotata di un carattere forte, oltre che di eccezionale tecnica e coraggio, ha dovuto lottare con il maschilismo imperante nella società e nell'alpinismo della prima metà del '900.
In aperta polemica, si dimise dal Club Alpino Italiano (CAI) nel 1935 per la scelta del sodalizio di non voler concedere la medaglia al valor atletico ad Alvise Andrich, reo di essere stato semplicemente suo compagno di cordata, nonostante l'alto valore della scalata intrapresa sul Cimon della Pala. Mary Varale si allontanò progressivamente verso la metà degli anni '30 dall'arrampicata estrema, anche a causa di un'artrite precoce. Assistita dal marito durante l'infermità, l'eccezionale scalatrice, come l'aveva definita Cassin, morirà a Bordighera (IM) nel 1963.
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E' stato presentato il 29 ottobre il volume "Il tempo di Mary. L'alpinista dal giubbetto rosso" di Francesco Comba, edito da Comune e Biblioteca civica di Belluno. Interventi di Claudia Alpago-Novello, Giovanni Grazioli, Giuseppe Sorge e dell'Autore. Belluno - Sala Eliseo Dal Pont "Bianchi" - h. 18.00

Il libro è il frutto delle ricerche avviate dal lavoro di riordino che Francesco Comba ha svolto nel Fondo Vittorio Varale che conserva la Biblioteca civica e dalla ricerca negli archivi in diverse sedi del CAI e presso la SAT di Trento.

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Mary Varale: Con le Spalle nel vuoto (trailer)

 
La figura di una pioniera dell'alpinismo torna alla ribalta grazie a un film dei lecchesi Sabrina Bonaiti e Marco Ongania presentato nella sezione “Alp&Ism” del Trento Film Festival. “Con le spalle nel vuoto”, prodotto dalla Commissione cinematografica del Cai grazie all'interessamento del meratese Pino Brambilla, rievoca la storia di Mary Varale. Una donna che nacque nel 1895 a Marsiglia, con il nome di Maria Gennaro, in una famiglia di immigrati napoletani e divenne con Paula Wiesinger e Nini Pietrasanta un'apripista dell'alpinismo rosa. L'alpinista fu molto legata a Lecco e la Grigna fu una delle sue mete preferite. Così le montagne lecchesi (in particolare Nibbio, Fungo, Segantini, Teresina) sono tra le pellicole del mediometraggio insieme alle Dolomiti, a Bordighera dove la donna visse gli ultimi anni e a Marsiglia.
 


Mary Varale, la donna e l'alpinista
Regia Sabrina Bonaiti e Marco Ongania

Selezionato al TrentoFilmFestival 2011 http://www.trentofestival.it/webtv/ita/scheda.php?categoria=Alp&idCategor... Selezionato al Sestriere Film Festival 2011
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Alpinismo al femminile: I monti di Mary Varale. -----------------------------------

Mary Varale, dalle Dolomiti alla Grigna

Mary Varale, dalle Dolomiti alla Grigna
Licenza Creative Commons Quest' opera è distribuita con licenza Creative Commons Attribuzione 3.0 Unported. ©2009 MOdiSCA. Diritti: Licenza: Attribuzione-Non commerciale-Condividi allo stesso modo 3.0;Descrizione: Riporta le foto esposte alla Mostra Fotografica tenuta a Villa Vasena - Galbiate nell'ottobre 2008 dall'archivio Vittorio e Mary Varale della Biblioteca di Belluno.

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Mary Varale: storia di una donna, storia di un'alpinista

Film documentario che racconta la storia di una delle più importanti protagoniste dell'alpinismo "al femminile" in Italia in anni convulsi.

 
Nel patrimonio di MOdiSCA dal 2010. Modisca (MOntagne di SCAtti) è un database che raccoglie foto, documenti, filmati, interviste di personaggi dell'alpinismo lombardo.
http://www.modisca.it .  Il materiale è distribuito con  licenza Creative Commons Attribuzione 3.0 Unported.
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Io, emula di Mary Varale, sulla sud della Marmolada

 

 Laura Posani : presidente della Societa Escursionisti Milanesi, istruttrice del CAI di Sci Escursionismo

Segni particolari: una giacchetta rossa. E quasi in vetta il finimondo…

Dalla Torre … Costanza alla Tomasson … pensando a Mary

Der Weisse Rausch - Leni Riefenstahl


La sua Biografia






Der weisse Rausch Kurzfassung





Tratto dal film : Ebrezza Bianca, regia di Arnold Fanck; Leni Riefenstahl è attrice di film del genere 'avventura in montagna'; diventerà anche lei regista durante il periodo di regime .




Der Weisse Rausch








Il Film intero:

Der weisse Rausch



This movie is part of the collection: Feature Films

The story is extremely simple. Leni, a daring young girl, is visiting for the second time a ski-resort. The local ski-teatchers agree to organize a "fox-hunt" for her.  Running time: 70 minutes. In German with NO English subtitles.


Un viaggio a Pantelleria












Pantelleria - a photoset by derspina on Flickriver

Battiti - Maiella

                               (da Fara S. Martino a grotta dei Callarelli)


Sento il cuore che batte come un tamburo, rimbomba nel corpo vuoto e fa rimbalzare il suono di ossa in ossa; il fiato si fa sempre più corto, ogni passo è un soffocare il respiro, le gambe non rispondono, sono pesanti..pesanti.. pesanti come macigni; i muscoli fanno male, sono affaticati, il respiro mi soffoca, sento nella testa un gran rimbombo, e l’unico mio pensiero è che sono solo all’inizio di quelli che saranno oltre i 1200 metri di dislivello da fare. Non ce la posso fare, e crollo, lì sul sentiero, tra le lacrime ed i sassi, il caldo rovente e la mia speranza mancata.


Davanti al richiamo dell’amico e del selvaggio, dell’ottima compagnia per il week-end, in Maiella!!, il pensiero di non poter affrontare questa giornata mi ha messo KO più della fatica del dislivello, con lo zaino leggero studiato per due giorni, circondata dagli amici più cari, l’atroce desiderio di percorrere una via sconosciuta ma da sempre incuriosita, l’arricchimento di altre vedute straordinarie a picco sul mondo, come essere un camoscio o un rapace che lì regna incontrastato: eccolo il mio più grande sogno in quel momento, che piano piano sfuma sotto i colpi accelerati di un cuore tormentato.




Ma gli amici sono amici, e sebbene l’ora non sia tra le più fresche e anticipate, riposano con me per oltre un’ora senza essere mai partiti, dandomi l’opportunità di riprendermi, almeno per poter provare a salire al bivacco.

I primi passaggi sono nella stretta gola del Vallone di S. Spirito, così famosa per essere una feritoia dal passaggio sottile, largo quanto l’apertura delle braccia a raccogliere tutta l’intensità della roccia strapiombante su di essa.





Non si apre mai deciso, il Vallone, a piccoli tornanti lascia intravedere picchi di paesi aggrappati ai colli, sospesi allo sguardo ed emergenti dalle pareti, come fossero lì, ancorati tra la roccia e il cielo, a metter le radici nella solida pietra circondata dal verde.





E, strano ma vero, è proprio il verde che ci accompagna sin dall’inizio di quei battiti furiosi, dove il cuore lascia alla nebbia del cervello arrogarsi il diritto di fulminare l’entusiasmo. 



Ma ci vuole ben altro per bloccare la mia esuberanza di ritrovare la traccia del passato, inseguire scomparse greggi su per i pascoli più verdi ed aspri, dove il contrasto tra roccia, prati, bosco e pietre la fa da padrone, ripidi tornanti che in modo più erto ti ergono verso quella Cima della Stretta, che non si vede se non solo quando ci stai sopra.

 

Nel bosco, il passo insegue le foglie, ormai secche; i germogli che non hanno visto primavera sono già avanzati verso l’autunno, cercando nella profondità del piede ricchezza d’acqua che non c’è, solo pietrame.


A picco sulla valle sfilano le gobbe, animate dal verde più intenso, alternate agli alberi più esili, spogliati dei loro vestiti più belli da un crudele e pesante inverno di neve, e chissà, forse da un passato incendio.




Ma regna incontrastato il colore della speranza, emergente a risalto con le rocce aranciate, bucate, lavorate dal tempo e dall’uomo, incrociate a formare una cornice naturale al paesaggio di pianura, sottostante ormai migliaia di passi più in giù. 


La traccia riemerge nella parte terminale di questa lunga ascensione, che ancora ci porta ad una fonte ristoratrice, ma non per il mio corpo che oggi non ne vuole sapere di ingurgitare sostanze vitali!

E così, dopo aver espulso tutte le sostanze estranee al mio corpo, pianto i piedi, disperata, non potrei fare un metro in più, quando Stefano mi dice: - da adesso in poi è solo in piano!-. E ci  credo, così tanto che rimango incantata da quelle enormi pareti che riavvolgono la montagna, creando una casa per i viandanti e le loro greggi, la fonte, il ricovero, il canyon, quell’incasso di natura che si stringe e si dipana in un piacere incommensurabile allo sguardo, alla fatica, al riposo.




Ormai possiamo solo godere di questi spazi elevati, attorcigliati, pendenti sulle nostre teste, ma così rassicuranti, ridenti, solidali, tanto da farmi agire così familiarmente come se fossi a casa mia, a scovare il nostro amico camoscio solitario nel fosso, e ad accendere la fiamma del calore amichevole per cucinare il pasto.







Son solo chiacchiere, quelle che si consumano davanti ad un piatto di pasta, un sorso di vino, un pezzo di salame e del formaggio, tutti ingredienti che scandiscono la semplicità dell’essere in quei luoghi, e anticipano la nostra stanchezza per un riposo sotto il cielo.




Scovato il giaciglio, ognuno di noi prenota una stella nell’universo da fissare dopo il passaggio della Luna.

E guardando quell’immensità stellare, ci abbandoniamo al silenzio delle tenebre.








Costellazioni - Maiella



COSTELLAZIONI                        (bivacco a Grotta dei Callarelli)

"Camminare e' una delle costellazioni del cielo stellato della cultura umana, una costellazione formata da tre stelle: il corpo, la fantasia e il mondo aperto, e sebbene ciascuna di esse abbia un'esistenza indipendente, sono le linee tracciate tra di esse - tracciate dall'atto del camminare con scopi culturali - a farne una costellazione." (Rebecca Solnit da 'Storia del camminare')


Improvvisamente spalanco gli occhi, e mi ritrovo immersa nel chiarore della Luna. Invano aspetto che spunti il suo biancore oltre le cime dei monti dinnanzi, ma non apparirà, rimarrà al confine dei due mondi, solare e notturno, luminoso e tenebroso, a rischiarare i contorni del paesaggio.


Conto le stelle, tante, troppe, ognuna appesa, ognuna in attesa di cadere a regalare la speranza che si avveri un desiderio; ciascuna di esse così lontana, troppo, ma così familiare agli scienziati da garantirsi comunque un nome.

A migliaia lanciate nella notte, una diversa dall’altra: nella loro unicità formano un’immensa coperta di luce, nella loro diversità si rendono distinguibili in quella macchia scura uniforme, infinita, illimitata.

Sospese nella più agghiacciante oscurità, illuminano l’Universo con la semplicità del loro essere, forme fredde, rimbalzanti chiarore, laddove calore non c’è, custodito nella profondità del loro nucleo.

Aggregate, ammassate, ciascuna con la propria specificità, capaci di catturare lo sguardo di milioni di occhi, anch’essi sospesi nel cielo a ritrovare nel loro incanto la luce dell’essere.

Non faccio fatica a contemplare questa notte piena di luce, ognuna di esse mi dice qualcosa, inseguo la scia e le vedo volteggiare nell’oscurità più piena: la Luna è tramontata oltre i colli e i confini del mondo, a illuminare l’altra metà dell’Universo.

Nel balletto del tempo si inseguono luminose, ridenti di quel percorso sconosciuto, infinito, avvolgente. Si perdono per ritrovarsi insieme a compiere un viaggio, ‘sì infinito quanto abituale, ruotando tra loro nello spazio così vasto da farle ogni tanto inciampare e cadere, lasciando dietro di sè una lunga e fine scia di sogni da avverare.

Le nebbie della fatica, i battiti accelerati del cuore, le lucciole che giocano a nascondino con i cespugli, una calda brezza che insegue il moto circolare del firmamento: ecco quello che osservo in questo spaccato di tenebra, delimitato dalla roccia più solida, a confine del mondo terreno per mescolarsi con il cielo, più vasto e senza confini, dove non si sa quando termina la terra ed inizia quel consueto gioco sospeso.

Seguo una ad una le tracce del firmamento, questo quadro naturale che tanto ha influenzato le più sagaci menti a produrre poesia e realtà, immaginario e scienza, in un connubio che ha favorito noi a comprenderne la vera essenza, che sia realtà o fantasia.

Catturo con lo sguardo l’improvvisa e velocissima striscia luminosa che asseconda il mio sorriso nel buio, contenta di questo sogno che si è avverato, nella calura del giorno, nella freschezza della notte, nella luminosità di questo Universo stellato.

L’alba completa il giro del Sole intorno al mondo; stanche di viaggiare, le sorelle stelle tornano al loro riposo nell’altra parte della volta celeste, all’orizzonte tra luce e tenebre, ad incollare sguardi e ad inciampare ogni tanto per far avverare anelati desideri.



Volgo lo sguardo a questo rischiarato ambiente, voglioso di uscire allo scoperto e far conoscere i suoi preziosi meandri, tra i quali ci perderemo nel giorno emergente.


Buongiorno Sole, e...buonanotte Stelle.

Tracce perdute - Maiella



TRACCE PERDUTE           (dalla sommità della Valle dell’Acquaviva a Fara S. Martino)


Sulla carta è segnato 7c, ma di segni non ce ne sono. Poche righe sulla cartina per descrivere il percorso a grandi linee, ma in questi posti le descrizioni non servono: la natura si riappropria dei suoi spazi e noi ci possiamo solo adeguare ai nuovi percorsi.


Ma il fiuto non manca, e così il giorno successivo porto i miei compagni sulla traccia giusta, fino ad un enorme sperone; sono contenta perchè sembra cancellato il collasso del giorno precedente, mi sento di nuovo in forma, anche se non al massimo. La prudenza però consiglia di abbandonare il progetto iniziale di raggiungere la cima dell’Acquaviva, anche perchè la mia amica del cuore pure lei non è al massimo di se stessa, e comunque dopo ci aspettano sempre 1500 metri di dislivello in discesa, passo più, passo meno.
Mi distraggo un attimo, e lascio fare a Maurizio, che purtroppo perde quei rarissimi omini che indicano la via: da quel momento in poi sarà un altalenante ed estenuante entrare ed uscire dai mughi ad altezza d’uomo, strisciando sopra di essi, scavalcando rami bassi, tornando indietro laddove si sfiorano i salti, arrampicando e disarrampicando, maledicendo ed osservando.

In uno di questi accalorati vagheggiamenti, sempre lui, che sembra non vederci, ma sente molto bene, percepisce altra presenza su quei monti solitari: e sarà la nostra fortuna ritrovare due locals che con le loro voci ci districano da quell’inferno verde di mughi, caldo e resina. Ritrovare uomini e omini è un vero piacere!






Lasciando che Stefano e Maurizio plachino la loro sete di cima, stavolta solo verso il Pizzone, noi donne ci godiamo il paesaggio in quell’anfiteatro di rara bellezza.


Lontane grotte attirano gli sguardi, forse calamitati da una possibile fonte nascosta in quei meandri. 


Silenziose ci appaghiamo del panorama, fino a che veniamo raggiunte dagli amici, e così insieme ci avviamo verso quella lunga discesa a valle, che costeggerà la selvaggia e raramente frequentata Val Serviera.





Serpeggiando in pianura tutte le innumerevoli costole tra la Val Serviera e il Macchione, risaliamo ancora, senza mai calare, infinito giro per arrivare a Colle Bandiera, unica vera cima di questi due giorni appaganti.





Se il sentiero costringe ad un lunghissimo giro a strapiombo sul paese di Fara S. Martino, è per un unico motivo di cui dovrò mio malgrado prendere atto: rocce a strapiombo sul paese non permettono il benchè minimo accesso diretto, se non nell’uscita del canyon del Fossato, da cui si entra solo da dove noi abbiamo bivaccato, la famosa Val Serviera.




Togliere le scarpe è un piacere non da poco, così come sorseggiare una meritata birra alle soglie della civiltà, lasciando che le avanzate ore del buio ancora circondano di silenzio e piacere tutti i momenti vissuti su questa incredibile ed incontrastata montagna, donatrice come sempre di entusiasmo e gradevolezza, asprezza e fatica, ma incondizionatamente appagante.


Ci torneremo presto su questa sconfinata beltà!


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                     L'America di Werner Kunz

  Upper Lake in New York Central Park  
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 L'Inverno di Angus Clyne

  Oldshoremore Beach  
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