Da Belluno (str.Statale 203 - La Pissa) al Rif. Bianchet:
lunghezza: 5 ,600 Km; dislivello :. 645 m.
Si segue la statale 203 fino alla località
La Pissa, dove inizia la stradetta con le indicazioni per il Rifugio Bianchèt. Per la salita si sfrutta il sentiero
pochissimo conosciuto che transita per il selvaggio Boràl de la Forchetta. La si segue in
salita, tralasciando la carrozzabile, fino all’attacco di un sentierino sulla
destra, segnato da un omino.
Si tratta di una
valle breve ma impervia, percorsa da un antico sentiero ancora transitabile ma
segnato solo con rari bolli rossi. Lo si consiglia solo a escursionisti
esperti, sia per le difficoltà di orientamento sia per il passaggio all’interno
di un canalino dove non esiste sentiero e ci si deve aiutare con le mani. In
Forcella il sentiero, sempre stretto ma più evidente, si tiene a sinistra, alla
base di bastionate rocciose, supera alcuni tratti non agevoli e confluisce
sulla sterrata per il Rifugio Bianchèt (1100 m, 0.15 ore). La si segue a
sinistra, prima con numerosi tornanti e poi con salita più moderata. Superato
il torrente si entra nella conca del Pian dei Gat e si raggiunge il rifugio
(1245 m, 1 ora).
SULLE TRACCE DEL
BORAL
Guardo sconsolata il canalone bianco che precipita davanti a me:
un omino di pietre stancamente segna il cammino per poi mimetizzarsi in
quell’accumulo di massi disordinati, appesi, tristemente tagliati; appoggiate
al candido sfasciume arido, risucchiante, in quella discesa folle verso il
baratro, le pietre non indicano la strada ma solo uno strano desiderio di
calata verso l’altrettanto scintillante strada bianca, che là sotto, parecchio
giù, attira più per la stanchezza che per la beltà.
Mi guardo attorno sgomenta: dopo la Forcela, in cui un
evidentissimo segno biancorosso ci ha garantito la certezza del percorso, non
sgorgo nient’altro, e Fernando è ormai decine di metri più in giù,
pericolosamente verso l’inghiottitoio. L’accidentata discesa si fa sempre più
delicata, sui sassi in bilico e detriti scivolosi, fino a che il mio sguardo,
stanco di cercare inutilmente la via, si fa superare dal grido di richiamo per
la strada errata.
“Fernando, guarda la cartina e verifica che non ci siano
salti di roccia, il terreno è troppo scosceso per non ritrovarci nei guai, e ci
dovrebbero essere i segni del sentiero, visto che la Forcella è chiaramente
segnata”.
Il ritorno erto sui nostri passi ci darà ragione sull’evidenza
della via: uno sbiadito segno nascosto tra gli alberi e la parete, ci condurrà
a risalire quello stretto viaz, a picco sui pendii della S’censorà.
L’estenuante salita del Boral della Forchetta giunge al termine
di una corsa forsennata per ritrovarsi con Fernando alla stazione di Belluno, a
lasciare in macchina le cose inutili, a prendere una linea di bus dall’autista
isterico, che non pago di un pressing da ‘Duel’
con un auto, ci lascia ad Agordo,
una decina di chilometri dopo l’accesso del nostro sentiero.
Accaldati e già provati da queste vicissitudini, dopo un
autostop miracoloso, finalmente ci avviamo lungo la carrozzabile che ci avrebbe
portato al Rif.Bianchet senza ulteriori fatiche: ma la magia della Strega è
quella di aggiungere sempre un pò di sale al minestrone per renderlo piccante,
ed ecco che dopo pochi metri di mie chiacchiere convincenti ci ritroviamo sui
nostri passi verso il cuore del Boral.
I ricordi
sono di un cammino dentro ad uno stretto fosso, quasi oscuro al panorama, circondato
di intricati pini, prati, rododendri, umidità. Perdo Fernando ma non la
traccia, che dritta per dritta, così come disegnata sulla cartina, si
destreggia inerpicandosi sulla collina. I bolli rossi si perdono, ogni tanto
riappaiono, il caldo è estenuante, d’altronde l’ora non è tra le più
promettenti! Alzando lo sguardo, vedo tratti di cielo sempre più azzurro e
sempre più vicino: la luce che penetra in quel bosco di aghi si fa più nitida,
mentre il sentiero si riperde di nuovo...
Sfasciate pareti
franose, rotte, improponibili, mi bloccano il passo, e intuisco anche senza
traccia che siamo vicini al valico. La conferma arriva dal netto piegamento verso l'alto dei pini alla loro base, là nel punto dove la neve si riposa prima della sua
definitiva calata a valle, quella sorta di sella che da bambini tanto ci
divertiva cavalcare, con i piedi nel vuoto e lo sguardo verso valle.
Il fosso
adesso è definito, muschio secco ricopre massi dove il verde lussureggiante è
solo un ricordo. Un passo indietro è ancora salita, quello successivo spinge
alla discesa: siamo in Forcella!
Ristorarsi
sembra non servire, nel bianco e abbacinante canalone scosceso perderemo subito
segni e sentiero, e quasi le forze per la forzata risalita.
Sulla traccia della S'censorà ancora gli alberi a picco la
fanno da padroni sul ripido versante: vietato guardare in giù, si può fare solo
dove il passo azzarda, e nel panorama sopra di noi si inerpicano le pareti
dell’Alta Val Vescovà.
L’uscita sulla carrareccia è quasi anonima, altro bosco e monotoni tornanti ci accompagneranno fino ai verdi prati dove sorge il Rifugio: quasi un miraggio, già annunciato da un ragazzo in pantofole lungo il sentiero, che molto ci dice sulla vicinanza del rifugio.
Il tramonto è
sulla Gusèla, quel dito roccioso ammonitore, al centro dell’universo selvaggio,
aspro, difficile, svettante nell’immenso circondario di pareti, solitario
gioiello nella sua elegante maestà.
La nostra
strada l’indomani si dividerà da quella dell’altro ospite, noi a ricercare il
verde riposante dei prati e i richiami delle marmotte, lui sulla cima del monte
Coro dove terminerà il suo vagabondare in solitudine su quegli aspri e isolati monti.
segue con: La cima senza Nome
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