“simile alla nuvola estiva che naviga libera nel cielo azzurro da un orizzonte all’altro, portata dal soffio dell’atmosfera, così il pellegrino si abbandona al soffio della vita più vasta, che lo conduce al di là dei più
lontani orizzonti, verso una meta che è già in lui, ma ancora celata alla sua vista.”
(Lama Anagarika Govinda, Le Chemin des nuages blancs)

TREMOLII

La tapparella trema, finestra aperta, trema, ma non c’è aria, trema, spalanco gli occhi consapevole che da qualche parte la terra corre, più della tapparella;
Anna scendi, -no!-,
Anna scendi, no!-, ma quanto è lunga, il cuore batte, il cervello continua a ripetere ad ogni tremolio del letto con la velocità del pensiero: Anna scendi dal letto. Accendo la luce, ma sono certa che nel buio il lampadario oscilla, e così è.
Tra questi pensieri, il tempo che passa, e il gesto di accendere la sveglia: le 3.36. Da qualche parte sono consapevole che l’orologio si è fermato, così come spero solo in qualche pietra caduta.
Mi alzo, non ho sognato, guardo tra le righe della tapparella, dall’alto del quinto piano: luci accese di chi è rimasto in città in questo caldo agosto, e ho la certezza che qualcosa di tragico è successo. Cerco sul telefono la voce ‘terremoto Roma ora’, e mi rimanda a un terremoto a Roma nord. Mi tranquillizzo, Roma non può essere al centro di terremoti, sarà sui Castelli, corrono i pensieri mezzi addormentati, quella sorta di dormiveglia che dovrò presto interrompere di nuovo, bruscamente: tra il recepirla e mettermi sotto la trave non passa alcun istante, o forse troppo….La porta batte ritmica sullo stipite, la tapparella continua a tremare.
La triste certezza è confermata dalla televisione: Arquata del Tronto, Amatrice, Ascoli Piceno. Tutti nomi conosciuti, l’unica persona di cui ho certezza che sia sveglia mi risponde prontamente, rimaniamo sveglie fino a oltre le cinque del mattino; poi il triste risveglio in mezzo alla tragedia, scene già viste, già vissute, l’orrore delle perdite, il pianto dei sopravvissuti, la certezza di una vita ormai diversa dai propri desideri, la gioia di essere ancora vivi, scampati ad un buio raggelante, la speranza di ritrovare i cari, di saperli vivi, i soccorsi.

Arquata, Arquata, il nome batte martellante la mia testa, poi come un lampo si illumina: Arquata è il paese di partenza per fare la traversata dei Monti della Laga, quel lungo tragitto in cui ho calpestato terra rossa, bagnata, ho visto l’arcobaleno dopo un temporale, la corsa dei cinghiali, ho caricato sul mio zaino la gioia di percorrere chilometri di beltà a cavallo del cielo, la fatica, l’incontro con chi termina il suo giro ad Amatrice, in un lungo anello in cui l’animo trova pace solcando squarci di bellezza avvincente. Arquata è anche il bivio per salire agli incanti dei Monti Sibillini, alla Piana di Castelluccio, al Monte Vettore, ai confini Umbro-Marchigiani. Una bellezza incassata in magnificenze naturali, contemplata tutte le volte che l’animo cercava la sua pace nella vastità dei monti e dell’ambiente più puro.

Amatrice, lunga strada assolata, in salita, case garbate, vita tranquilla, ai piedi di spicchi di verde, un ponte la raggiunge, e prima del ponte l’ospitalità della sua gente, luogo dove noi montanari amiamo rifocillarci.

Ricordi, passato, che si trasformano nel presente, di momenti felici che non potranno più essere, almeno per adesso.


Tanto ci dà la montagna, ma quanto si riprende……

L'emozione di Roberto Iannilli



Sorgente: Le mie mani     21 luglio 2016 Alpine Sketches @ 2016




Le mie mani 


Proprio oggi Roberto Iannilli ci ha lasciati. 
In cordata con Luca D’Andrea stava tentando una via nuova sulla parete nord del Monte Camicia.Forse un sasso, chissà. I loro corpi, ancora legati, sono stati recuperati alla base di quell’enorme parete, nel Fondo della Salsa.
Roberto aveva 62 anni. Alpinista molto esperto è stato sicuramente uno degli alpinisti più rappresentativi del Gran Sasso.      


.........






IL RICORDO, L'ALPINISMO, L'ARRAMPICATA








Roberto Iannilli



Di quando Shimla ha perso l'H - Spiti Valley-Kinnaur

..“Nella grande famiglia delle lingue indoeuropee, un posto di primaria importanza spetta al sanscrito, lingua dotta di un'antica e illustre civiltà quale l'indiana, nonché tramite di una letteratura vastissima, di alta qualità letteraria, profondità filosofica, intensità religiosa. La parola saskta significa «perfetto» “... (dalla rete)


Durante il periodo coloniale britannico in India, Shimla fu chiamata dagli inglesi SIMLA. Riacquistò la consonante che indica il vasto respiro solo dopo l’indipendenza dal dominio europeo.



In una giornata bigia, assaggiamo la burocrazia indiana al cospetto di un caldo soffocante, l’apparato amministrativo ci aveva già messo a dura prova nella compilazione on-line del visto, un prova e riprova fino a che sei fortunato. 

Ma oggi siamo pazienti e ci garantiamo tutto l’itinerario fino alla valle dello Spiti; la cappa di umido ci accompagnerà anche nelle foto, senza contrasto, nebbie sospese fino a sera, vapori umidi in una città dai muri colorati, dai cappelli di panno, dagli edifici inglesi, con i suoi templi, il suo verde e i suoi bazar.



Città in salita, che eleva i suoi dèi sopra tutto: spicca fuori dal verde il dio scimmia, Hanuman, ma nel confronto vince la semplicità dell’essere di Indira Gandi.


Nel monotono grigiore del cielo sfilano ai nostri occhi gli edifici storici inglesi, espressione decadente di un colonialismo lontano, oggi abbandonati alle intemperie o alla volontà filantropica di qualche benestante che così richiama il passato di vecchi splendori alla corte di governativi facoltosi.


Ritrovare sul cammino la magnificenza del verde che circonda il Viceregal Lodge, oggi sede di dell’Indian Institute of Advanced Study, è quasi opprimente: 







l’altezza dei maestosi alberi secolari raggiunge e supera quella dell’edificio britannico, austero all’interno come all’esterno, e come vuole tradizione tutta inglese, circondato di una leggera e impalpabile nebbia che rende la visita degna di un ambiente surreale simile a quello di un vagante Harry Potter.



Il vapor acqueo inseguirà i nostri corpi fino alla notte, dove le ombre a contrasto della luce ovattata risaltano nel buio più nero, lasciando vagare lo sguardo sulle linee a contrasto solo in prossimità del Kali Bari Mandir Temple, mentre un raggio di sole illumina la cupola e il suo santuario interno, gioendo al suono della campanella.


Il mio incontro con il calzolaio di strada salvaguarderà l’apertura definitiva delle mie scarpe, che prima della fine di questo viaggio vedranno come padrone ben più felice volto e faticanti piedi, in una gioia da me condivisa che ancora non mi abbandona.



La musica romantica che circonda una coppia di giovani nel pasto serale sarà presto dimenticata dalle frastornanti note del fiume che l’indomani andremo a ritrovare, 




insieme alle nebbie più avvolgenti nel verde montano e all’inizio di quella che sarà la strada a precipizio più allucinante mai percorsa in un viaggio.




Di nuovo in cielo - Spiti Valley-Kinnaur

DI NUOVO IN CIELO verso la terra

Leo mi stuzzica con la compagnia più che con l’itinerario: non potevo sperare di meglio raggruppando diversi amici di viaggio. E’ vero, manca qualcuno, ma considerate le numerose variabili, economiche, di tempo, di ferie, di salute e volontà, la curiosità e la piacevolezza alla fine hanno preso il sopravvento su diversi di loro.


E quindi eccomi qua, seduta di nuovo a studiare, ma non troppo, a spulciare su internet quel tanto che basta a lasciare l’aspettativa di qualcosa di bello, a fare i conti, e a garantirmi conferma che i miei amici di viaggio ci siano, se non tutti, almeno i più. E tutto questo è più che sufficiente a farmi felice, dopo un periodo veramente lungo e buio che fino a poco tempo fa ha fermato il mio intelletto e le mie volontà.



Se riesco a tornare dal viaggio senza crisi, forse l’ho superata! E anche in questo, oltre al trascorso e alla compagnia, mi aiuterà al rientro un Blogger Contest a rimettere insieme le prime parole, e a farle rifluire nei miei sentimenti e nelle mie dita.......


Himachal Pradesh - Khunzum La (passo, 4551m) e veduta panoramica sopra il ChandraTaal lake


Il titolo sul diario è “HIMACHAL PRADESH, TRA MONTI E MELE – India Orientale del Nord”; la realtà è un pò più piccola, confrontata con i colossi che ci hanno circondato, cime oltre i 6000 metri, passi a 5000, viaggio costante oltre i 3000 metri, 3-5 valli anche laterali. Le regioni sono il Kinnaur e lo Spiti, inaspettate e sconosciute. 




Un amico recita “I temi del viaggio sono i paesaggi, le montagne e i fiumi, i villaggi e la gente, i monasteri”.
E così sarà: di tutto un pò; di tanto, molto: itinerario desertico sebbene costantemente si viaggi a precipizio sul fiume vorticoso, strade sterrate lambenti pareti a picco e strapiombanti, sassi pericolanti che incombono, cartelli stradali minacciosi di pericoli; 

valli arse dal sole, verdeggianti, avvolte nella nebbia, umide, profumate, ovunque popolate seppur l’ambiente che si attraversa è deserto.



Bandiere tibetane sventolano in prossimità di ogni casa, anche al di là del fiume agitato, senza ponte, senza legami con l’altra sponda, incongruente alla logica terrena, eppure è là, saldamente ancorata al terreno con i suoi centimetri quadrati di meli, di orto, di verde.

Sentieri che partono ma si perdono sulla montagna, massi precipitati che si bloccano in bilico, fiumi che si incrociano e si sposano in un unico letto nuziale, grande, maestoso, lento, ma ovunque di ineguagliabile potenza rotante, inesorabilmente in viaggio ......come noi......






La spinta dell’aereo è verso l’alto, il sedile è all’altezza dell’ala, ma lo sguardo è già proiettato verso questa terra sconosciuta, che tra non molto aprirà i battenti per farsi scoprire, conoscere e, alla fine, amare.




Dopo una lunga corsa a ritrovare caos, motociclette, auto contromano, Ganesh, carri trainati, covoni di paglia e tramonti, ti accorgi ridendo che le posate sono ancora nella borsa: ma si mangia anche con le mani e devi chiudere gli occhi per assaporare il gusto di una terra da poco conosciuta e che ritrovi nei suoi sapori, nei suoi aromi, nel suo piccante.






Anche la notte è la stessa, ci accoglie stanchi ma pronti a ripartire il giorno dopo, alla scoperta della nostra prima mèta: la capitale SHIMLA.




Fumo negli occhi - Vietnam



Ancora frastornata dal rombo dell’aereo, lascio vagare il mio sguardo vacuo in quel misto di figure grottesche, enormi, incombenti, senza riuscire a comprendere il significato intrinseco che forse possiedono.



Catapultati da Milano ad Hong Kong e poi ancora da lì a Saigon, il caldo asfissiante carico di umidità ci investe già dall’aeroporto, spossandoci molto più di quanto ormai siamo dopo quasi 12 ore di volo. Ma non possiamo riposare, altrimenti vorrebbe dire sfasarsi per altri giorni, portandosi appresso il jet lag, e trascinarci in questa città sconosciuta come fantasmi. 

La decisione è presa: cominciamo dalle pagode a visitare la città, quelle più lontane, così nei giorni successivi ci possiamo godere l’intera città senza dover schizzare troppo velocemente da un polo all’altro dei suoi 22 distretti!



Sono sempre atterrita dinanzi a ciò che non conosco, e queste figure gigantesche non mi ispirano proprio serenità, ma piuttosto confusione, smarrimento, incomprensione. 


Un ambiente colmo di fumo rende l’aria pungente, annebbiata, sfocata, e quell’insieme di legno scuro, caratteri sconosciuti sulle colonne e sulle porte, ceramiche dai tratti indistinguibili, statuette di dei, lasciano cadere ogni sorta di razionalità: bastoncini infilzati nella cenere o tenacemente congiunti nelle mani dei devoti distribuiscono profumi penetranti saturando l’aria; le candele, oltre all’offuscata luce artificiale, espandono solo poca illuminazione, lasciando nell’oscurità inquietante quelle figure mastodontiche.


Terra Rossa - Vietnam

Dieci anni ha impiegato a scrivere il suo “Dispacci”, Michael Herr; quaranta ne ha impiegati Karl Marlantes a pubblicare il suo “Matterhorn”; e altri dieci ne ha impiegati Nick Turse a ricucire gli orrori delle stragi di guerra nel suo libro “Così era il Vietnam”: non sono riuscita a finirlo, ci vuole tutto il fegato e il coraggio per essere indifferenti anche a situazioni non vissute, prerogative che attualmente non ho.
Ha le pagine gialle e consunte il “Niente e così sia” di Oriana Fallaci, riesumato dai miei anni giovanili in cui timidamente mi volgevo alle donne e a una guerra sconosciuta; Anna Moi canta nel suo “L’eco delle risaie”: <<La maestra di canto mi ha detto: ‘Cantare non è una questione di voce, ma di respiro’. Ho respirato con forza ed è sgorgato il do acuto. Una porta si è spalancata all’improvviso e mi ha scagliata dal trampolino di dieci metri nel vuoto, nel terrore, nello stupore, nella vertigine, nella libertà.>>


Scrive Roberto Saviano nella sua introduzione a ‘Dispacci’: “Herr trascina il lettore in guerra. Ma per davvero. Non gli restituisce solo le immagini, ma i comportamenti. Il lettore non sente solo il puzzo del sangue e del napalm, ma sente lui stesso la rabbia e la paura, sente come sarebbe stato feroce, sente come è l'uomo quando per sopravvivere deve smettere di essere uomo.


E’ difficile descrivere una guerra, capirne le radici, spiegarne le strategie, analizzarne la Storia, denunciarne gli orrori, comprenderne il significato.
Mi sono trovata mio malgrado in questo labirinto di incertezza, cosa ci andavo a fare in Vietnam? La risposta più semplice poteva essere: “io viaggio regolarmente, e non sono mai stata ad Est, dicono tutti che è bello”. Ma in cuor mio sapevo dell’enorme menzogna dei miei pensieri consci: forse ci sono andata per capire, per vedere con i miei occhi solo un barlume di ciò che è stato, visitare solo il contesto in cui è avvenuto il girotondo dei numeri, dei vivi, dei morti, dei mutilati, dei vincitori, degli sconfitti, del giusto e dell’ingiusto, della paura e della razionalità, dell’orrore e della speranza, della rassegnazione e della crescita.




Qualunque sia stato il motivo inconscio, la parola Vietnam rievoca la Guerra, con la G maiuscola, quella che non sarà dimenticata, perchè sebbene non più presente, raccoglie il vuoto di generazioni che non ci sono più e non ci potranno essere, e quella che resta è mutilata, dilaniata nel fisico e nella psiche, nella memoria e nella coscienza.

Se si vuole dimenticare, lì non si può: i siti storici oggi sono musei a cielo aperto, lo stesso tragitto di orrore e violenza esiste ancora, silenzioso, nascosto oltre la vegetazione, muto nella crescita, celante la presenza di migliaia di uomini e pensieri, sensazioni, coscienze, vite. Ogni parola scritta sulla G vorrebbe essere infinita, come senza fine è stata la sofferenza, la tristezza, il dolore, la rinascita.