“simile alla nuvola estiva che naviga libera nel cielo azzurro da un orizzonte all’altro, portata dal soffio dell’atmosfera, così il pellegrino si abbandona al soffio della vita più vasta, che lo conduce al di là dei più
lontani orizzonti, verso una meta che è già in lui, ma ancora celata alla sua vista.”
(Lama Anagarika Govinda, Le Chemin des nuages blancs)

Stregata

Ultima in ordine di apparizione, la frequentazione del mondo virtuale è stata forse l'ancora di salvataggio di quei momenti della vita in cui si arriva a fare il punto e ci si rende conto dell'effettiva realtà: il suo legame con il mio cervello mi ha consentito di uscire da un non limpido periodo di oscurità, nel quale ero calata mio malgrado.

La "rinascita" è stata possibile grazie ad un sito ed ad uno pseudonimo, o nick, nel gergo virtuale, ai quali mi sono aggrappata per risalire la china.





G.  non mi legge, ed è giusto che sia così.
Troppe parole richiedono concentrazione, pensieri, riflessioni, commenti, associazioni mentali.
Troppo impegnativo per una sorta di gioco virtuale come è la rete, dove leggi molto ma non si sa di chi, scrivi tanto ma non sai a chi, commenti il tuo grado di gradevolezza rimanendo te stesso, fai tuo ciò che è di altri.

Questo è il motivo per cui in questa pagina non riporterò tutto quello che ho scritto da un’altra parte del mondo virtuale, ma solo quelle sensazioni “immaginate”  di questo mio mondo reale proiettato nell’irreale.

Non so se G. continuerà a ‘leggermi’…… io immagino uguale….



Danza delle streghe

Le streghe non si vedono, ma le streghe ci sono
Nel buio si radunano, in riva a fiumi e laghi
Corrono senza un frullo, volano senza un suono
Non le sentono gli uomini, non le vedono i maghi.

Le streghe sono magiche, le streghe sono donne
Incendiano le tenebre con le risa e la danza
Fanno ruotar mantelli, le favolose gonne
Finché dura la notte, finché ne hanno abbastanza.

E gli umani le cercano, le vogliono vedere
Curiosi delle favole, stupiti delle grida .
E furtivi si accostano, chini nelle ombre nere
Tremanti di paura, ubriachi di sfida

Ma le streghe li sentono, corrono sulle sponde
Sopra le acque fuggono, gioiose equilibriste
E per gli umani restano i cerchi delle onde
Come gonne che ridono: "Le hai viste? Non le hai viste?"

Da: Melevisione, Il libro nero di Strega Salamandra


Questa la mia presentazione in rete:

"                       l'ultima strega allo specchio

CATARSI

Ora forse sono libera.
L'incantesimo si è sciolto.
La luce di quegli  stessi occhi che mi avevano abbagliata,
ora mi ha indicato la nuova strada.
E' stato quello stesso sorriso, a liberarmi il cuore della morsa.
Credevo di morire, guardandolo.
E invece son rinata.
Il principe azzurro, con un bacio sulla guancia, mi ha svegliato dal torpore in cui ero caduta.
Poi, a galoppo sul cavallo bianco, se n'è andato.
Per sempre.
Incontro alla sua nuova vita.
Tra le braccia della sua nuova principessa.

E' caduta una sola lacrima, che si è infranta al suolo come cristallo.
Era, quella, l'Ultima Lacrima dell'Ultima Strega.
Poi è venuto il suo turno.
Ho visto La Strega allontanarsi di spalle.
Scalza. Silenziosa. Lenta.
L'ho vista tornare là, da dove era venuta.
Si è girata solo un istante.
Ve lo giuro.
Sorrideva.

Poesia tratta dal BLOG de L'ULTIMASTREGA

La poesia non è mia, ma per me è molto bella.


Sono l’ultima entrata, per scoprire di essere diventata una strega.
In realtà lo sono da sempre, sono l’ultima strega d’Europa condannata a morte, da poco riabilitata. Anna Goldi è il mio nome, decapitata nel 1782. Ho gli stessi anni, forse le stesse passioni.


Anche nel libro di Paola Zannoner, Anna è una strega, la sesta di sette sorelle.
Sesta come la posizione nella mia famiglia, che di magiche donne ne ha nove e un solo demone.

Coincidenze o magia?

Nel suo Blog, l’ultimastrega poeticamente sorrideva, come faccio io dopo una soddisfacente gita in montagna, o semplicemente quando sono in piacevole compagnia.

E vagando per le vie della città di Ascoli, nel regno delle Streghe della Sibilla, tra incantatrici cercavamo un nome, quello che più calzava al nostro essere.
Io l’ho trovato, ed è semplicemente il mio, identificato nella storia, definito nel gioco dei numeri, sostenitore del peso degli ideali, magico e un po’ maliardo.

Ho anche uno pseudonimo, che è conosciuto per i miei racconti, e per una ostinata vanesia infanzia. Ma sono fiera di questa vena un poco scellerata, che mi permette di essere laddove molti vorrebbero, ma non sono, sopra il cielo.

E cercherò per voi di trasformare la scopa in meraviglia………
A tutti ciao, Anna   
"

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Il mio esordio nel Calderone della rete fu questo:

HO VISTO VOLTEGGIARE UNA SCOPA
…….e ho sconfitto un demone……..

Una palla iridescente traspare tra la sottile nebbia: aranciata, sfumata, gigantesca. Ci affogo dentro, nelle onde del suo vapore acqueo, e sono già felice di immergermi nel centro, di spostare i suoi raggi, di carpirne il calore.

Al termine di questo lungo incantesimo, i miei occhi si sono finalmente aperti al mondo, e si sono specchiati nel candore della neve, nel  blu del cielo, nel tenue verde del bosco, nel biondo dei ricci di Pantaleo, nella risata schietta di Lorenzo.

Chiudo gli occhi di Cip e Ciop e li riapro sapendo che:


hanno visto emergere gli esili alberi del bosco, e ho goduto della loro ombra,
hanno visto la lunghezza del sentiero, e ne ho sentito la fatica;
hanno visto solcare la neve, e ne ho sentito il torrente scorrere sotto;
hanno visto la punta degli sci e ne hanno seguito la traccia;
hanno visto due figure avanzare, ma le ho sentite lontane;
hanno visto due figure raggiungerci, ma erano troppo lontane;
hanno visto un viso grondante di sudore, e ne ho sentito la tristezza;
hanno visto salire una tavola lucente sulle rocce e ho sentito la picca sul muschio.

Appoggio la testa sul masso e alzo lo sguardo al cielo: la scopa volteggia nell’aria a scoprire una danza di bianchi veli fatui che si rincorrono, si avvolgono, si alzano, precipitano, si dissolvono. Ammassi di zucchero filato che velocemente scorrono, si inseguono, si fondono, si dividono, si perdono.
Vedo le nuvole che mi inglobano e sento la loro impalpabilità;
vedo il sole che emerge dal gioco delle nebbie e rapidamente mi viene incontro abbagliante, abbacinante, infuocato.
Vedo le pietre che si staccano dal pendio, e sento il loro incessante rotolare a valle;
vedo sfumati i contorni frastagliati delle creste e sento l’incombenza dell’aria grigia che le circonda;
vedo gli strati sovrapposti di questa montagna e ne sento l’attorcigliamento su se stessa;
non vedo la trasparenza delle mie lacrime, ma ne sento la limpidezza.

Scandisco la fattura mentre giro il pentolone, ed improvvisamente scorgo un gran fuoco ed un immenso fumo nero: la strega ha finalmente sconfitto il demone, relegandolo nell’abisso degli inferi.

Al suo posto è rimasto solo un chiodo, in mezzo alla parete…ed è lì che attacco gli sci.


RICETTA PER SCONFIGGERE IL DEMONE

La pozione della fattucchiera prevede:

  • 4-5 sassi sbriciolati dei racconti un po’ ‘sghembi’ di Ste;
  • un quadrato del biglietto della corriera melanconica di GiovanniBusato;
  • un ciuffo di peli geometrizzati di Grizzly/Valentino 52;
  • almeno 10 capelli (biondi?) di JJ6, un po’ rari a trovarsi (non si sa se il colore o i capelli, ma ci si prova);
  • un pezzo di gnokka scovata da Gianko (se quelli sopra sono un po’ rari, questa diventa quasi unica!)
  • almeno uno degli occhi azzurri del bell’aspetto di Renrav;
  • un morso del wurstel&senape del panino di Enrico r.  per riattizzare il calderone;
  • un pizzico di ‘normalità’ di Simonrussi, per riportare la strega sulla terra;
  • una frase algebrica di @le, con la traduzione di Nicola;
  • 10 cc di cornice caduta in prossimità di Garmont2005;
  • 1 profonda striscia di soletta degli sci di Arno, per abbassare il dislivello della pozione;
  • almeno 3 maglie della catena di Ape277, per diminuirne il kilometraggio;
  • un velo apparente dell’effige di Asterix, ma giusto un velo;
  • 4-5 anni della giovinezza di Nick;
  • due 'cannilicchie’ dentro mezzo foglio strappato dell’infanzia di Zeta zeta;
  • una spolverata di neve gessosa prodotta dalla tavola di Zurich;
  • una parentesi quadra e un thumbnail, maggiore o minore non fa differenza, per quotare la minestra della sensibilità informatica di Admin;
  • molta moderazione nei piani B, esclusi quelli del Capitano (a quando la festa delle streghe?);
  • 1 goccia della birra rimasta nella lattina in mano alla magica figlia di ViKtor;
  • da una a tre cellule del suo tallone, per diminuirne la forza;
  • una cospicua fettina delle capacità di Selig, mescolata alla magia della Gardenese e di Luisa-Ve,
  • 2 fili di fibra del crociato di Barbara;
  • non apro il barattolo delle quote di Franco F, perché poi non lo so richiudere, ma ci andrebbe qualcosa;
  • la frase magica, mai ripetuta, di Topo Gigio;
  • una colonna della copertura scoperta di Ldl;

il tutto documentato dal servizio fotografico di Annibale, meglio se coadiuvato dall’occhio regista di Cristiano…
Supervisori della ricetta: Frifri e Robferri (edonisti e emuli per eccellenza!)


Infine non può assolutamente mancare il condimento al peperoncino del fuoco benefico di Casmau, delle altre streghe, una goccia di genziana di Tavernello, la forza delle braccia di I. e S., che girano con me il pentolone, a scacciare gli spiriti maligni!!

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LA MIA RINASCITA:    NERO e BIANCO



Buio e luce, oscurità e chiarore, tenebre e sole, ossidazione e lucentezza, ossessione e chiarezza, nero e bianco, plumbeo e neve, terrore e libertà, offuscamento e lucidità.

Nero come la notte e la non conoscenza, bianco come il sorriso illuminato di chi ti conosce;

nere come la solitudine e l’inquietudine, bianca come la neve che ci circonda;

nera come la croce che si staglia lontano; bianca come la luce che risaltandola l’attornia;

neri sono i puntini che distanti, scivolando, si perdono in questo mare di bianco;

neri sono gli ammassi calcarei, scuri, immobili, che risaltano nel candore delle guglie immacolate, unite insieme in un unico, severo gendarme a guardia della croce, baluardo difensivo dei nostri abbracci, dei nostri sguardi, dei nostri sorrisi.

Il buio di un appuntamento, l’emozione di un ritrovamento, lo sconcerto di un mancato riconoscimento, la novità, il ricongiungimento.

Parole che scorrono come i muscoli che spingono in avanti gli sci quando il tuo corpo vorrebbe tornare indietro; parole che si rintanano dentro le tue cellule ma il cervello le rifiuta e le espelle, insieme alle lacrime e ai fantasmi, e a quella voglia di non andare avanti che solo Brunella capisce, e impedisce che prenda il sopravvento con le sue domande, la sua tenacia nei miei confronti, le sue paure che si mescolano alle mie.


Parole che non servono quando ti ritrovi nell’abbraccio di chi ti attende, nella ricerca con gli occhi dei puntini semoventi, scrutando la montagna e i suoi bordi, inghiottendo la visione degli alberi nodosi, emergenti, attorcigliati, crescenti, giganteschi, immobili eppure avvolgenti, caparbiamente ancorati al terreno, in primo piano nella scena delle incontrastate cornici sullo sfondo, ammassi di neve sospesa nel plumbeo del cielo e nell’umido dell’aria, fatue come la nostra vita, in attesa solo di cadere al calore di un abbraccio solare.

La neve compatta è adagiata sui monti, li ricopre totalmente, bianco e nero, clik e clak spalancano i ritrovati occhi di Cip e Ciop. La breve cavalcata in cresta illumina le lontane Rave, i pendii scoscesi di Pizzo Deta, i canali ripidi delimitati da frastagliati contorni rocciosi, strapiombanti, affinati nel vuoto, aggettanti sulla valle e sul mondo sottostante.

Lo stomaco si svuota di quel macigno pesante che è cresciuto in te fino ad oggi, pietruzza dopo pietruzza, che ha appesantito il cervello, che ha cristallizzato il gelo dentro, in questo freddo inverno che non vuole finire.

Ma i gesti sono i consueti: leva le pelli, ritempra il tuo corpo, siedi al calore della compagnia, spazi lo sguardo alla ricerca dei puntini e di quello che ti è mancato di più, tutto questo e oltre, il blu del cielo e sopra niente, insieme alla certezza che sei lì e non vorresti essere da nessun’altra parte, semplice frase intuita da Brunella e da lei accompagnata fino in cima.

I movimenti ritrovati:
le mani riattivate nella circolazione da nuovi guanti,
le smorfie del viso all’ennesima vescica cara un euro,
calzare gli sci,
piantare la racchetta,
la foto con le streghe per sventolare via i fantasmi,
fiaba a lieto fine raccontata con le curve,
i voli all’indietro,
la ricerca della via migliore,
l’intrigo del bosco,
la magia dei pendii e della scopa,
che spazza via il mal vissuto e vola in alto fino a ritornare, con aeree circonvoluzioni, nelle mani della sua padrona,
ad incantare altre storie, trasformandosi in penna.

Trovare nuovi amici, come Brunella e Fabio, condividere con i vecchi la ricongiunzione e la rinascita, quell’andare in su che ti riporta in te, e dagli altri.

Grazie Brunella, e…bentornata Derspina!





5 Streghe e l'Uomo che parlava ai cavalli

In compagnia di 5 Donne in fuga verso la libertà
(di Maurizio Casalini - Monte Viglio 2009)


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L’Armata Brancaleone e la nuvola fantozziana




Era il 15 giugno quando: HO VISTO VOLTEGGIARE UNA SCOPA…….e ho sconfitto un demone……..

Ma il chiodo arrugginito cede sotto il peso degli sci, con uno schianto.
Corro al calderone, lo giro, e leggo la sfera di cristallo: invano!
Polvere bianca si mescola nell’aria, nulla vedo, solo gelo, vapor acqueo, e un’esile traccia.
La seguo, dove andrà a finire? Non so, difficile ch’io perda la via, ma la testa…….


"..Sento che sto per mollare, tutte le fibre dei miei muscoli si ribellano al movimento, “pizzicandomi” con cattiveria, fino a farmi rallentare, tanto, quasi a fermarmi.

Mi lascio incantare dallo spazio splendente circostante: lo sguardo cattura la neve appena sospesa sui rami, gelata nelle sue nervature; in controluce i rami riflettono tutti gli scintillii dell’aria.



Foglie e ghiaccio

 
I giochi del sole


Seguo a tratti una traccia che va su, dritta per dritta, sperando di abbreviare il tragitto che mi separa dalle uniche altre due donne dell’Armata. Invano.

Come provo ad accelerare, sento il tonfo ritmico del cuore che rimbomba espanso simile al tamburo africano.

Il brusco passaggio dai 35 gradi, percepiti 40, ai -2 della partenza si sente tutto, ma non ho freddo, sono solo impaziente di lasciar perdere e ritirarmi al caldo di una stufa.

Stelle di meraviglia
Ed invece lo sci continua a scivolare, in realtà molto poco, sulla neve fresca, quel tanto che basta a farmi andare avanti a distinguere i binari già segnati, le tracce delle unghie affilate del Cane Macchia, le parole non dette di Zeta Zeta affogate in quel mare d’acqua, le foto di Danilo alle streghe, e le mille stelle scintillanti depositate su quel manto candido, in attesa di essere raccolte dalle madri d’Africa e consegnate come dono di gioco ai propri figli.


Ancora contrasti
 

A questo pensiero, ogni altro è cancellato, e ritorna la consapevolezza dell’essere di nuovo su una scia che mi porterà in cima, anche se non vedo, anche se non sento.

Delicati ed agghiacciati cumuli di meringhe fulminate dal gelo sono sparse e disseminate nel nulla, le microfossette affilate dei coltelli sono la sola macchia scura che spicca sul terreno, e da lontano ascolto la ritmica battuta di uno scarpone sullo sci. A sentire il suo nome e appellativo, Luca ‘Regazzino’ mi guarda perplesso e sorpreso, chissà cosa ha pensato, ma è una frazione di secondo… è già stato inghiottito dalla coltre bianca, e con lui la mia compagnia fino alla vetta.

Sono ancora sola in questo grigiore evanescente e sospeso, ed eccole figuri informi che si stagliano in controluce nel biancore dell’aria.
                          

 Ed una grande massa scura mi indica che sono in capo al mondo, lassù, dove sopra il cielo c’è il vuoto, sferzata da un vento gelido che porta lontano la mia gioia e con questa la mia fatica.

Anche se so che me ne pentirò scatto due foto, e siamo già in discesa, mani insensibili, di nuovo nel nulla, nel grigio, nel piatto.












La neve si confonde con l’intorno, solo voci che si chiamano e cercano il percorso, piangono del gelo, si rifocillano, aspettano.
Ma non vuole fare capolino, questo pallido sole, e ci lascerà rammaricate di una neve stupenda che poteva regalarci una folle sciata, a noi, tre streghe e un demone.

Lungo la discesa il ricongiungimento al resto della compagnia,
ed infine appare il lato B di questa sfera magica, che specchia tutti i componenti dell’Armata con le zampe sotto al tavolo e un sorriso splendente sui volti, ad illuminare finalmente questa magica giornata."


Pizzo di Sevo – Montagne della Laga – 10 Gennaio 2010
By Derspina


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Monte Semprevisa




vola clikkando il Bosco delle Streghe 


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Maghi, Arcangeli e Streghe: il suono del silenzio.


Gran parte del lavoro delle streghe e dei maghi è "MAGIA RITUALE", in cui il potere viene concentrato e indirizzato mediante riti o cerimonie, che possono essere brevi e semplici per piccoli incantesimi, ma lunghi e complessi per altri scopi forse più ambiziosi... La maggior parte dei riti è una combinazione di diversi elementi, fra cui ripetizione di parole o suoni speciali,...
Gli Arcangeli…(…)....lavorano sull'essere umano ad un livello più sottile. Ci aiutano a sviluppare la funzione mentale, ad avere la capacità di discernere tra il bene ed il male, tra il vero ed il falso. Gli Arcangeli ci possono aiutare anche a comunicare, fattore questo molto importante nell'evoluzione dell'essere umano.L’arcangelo …..(..). E' l'ispiratore degli artisti, colui che fa risuonare alle orecchie degli uomini più sensibili l'armonia delle sfere perchè venga riscritta sotto forma di musica da ascoltare attraverso gli strumenti del pianeta Terra. (da www.bethelux.it)


Le miofibrille dei miei muscoli urlano a gran voce la loro presenza, richiamando dolorosamente la mia attenzione, e lasciando a me sola l’ingrato compito di attutirne la compagnia.

Anche se altruista non mi lascio commuovere, ormai sono in ballo a 50 metri dalla cima, e raggiungere l’arcangelo, il mago e le altre streghe è un incantesimo che mi posso permettere anche con la sofferenza che respinge il movimento.

L’inizio è stato il buio della grande città, muovendoci al chiarore del primo mattino, a rinfrescare alla memoria il volto appena conosciuto di GiovanniB., il primo arcangelo dell’Ultima Strega, e a ritrovare quelli affettuosi del mago Casmau e delle altre streghe, la Strega Maestra e l’Apprendista.

La giornata è tersa, troppo, per non lasciarci convincere a salire direttamente verso il punto più alto del Murolungo, laddove lo sguardo dominerà incontrastato le cime che spaziano dal Terminillo alla Maiella, dal Parco Nazionale al Terminillo, in un caleidoscopico volteggiare a 360° di cime, versanti, regioni, nuvole, e…ometti!

Salgo concentrata nel tratto più spettacolare di quella gola incassata, ascoltando l’illimitato silenzio delle parole mute: non un cinguettìo, non un fruscio attira la mia attenzione, ma un roboante rincorrersi di rumori afoni, rapidi e così fulminei da non riuscire ad essere catturati dal labirinto umano.

E per riempire il vuoto, i miei neuroni lasciano riaffiorare le tacite parole di una farfalla che oggi vola per sempre intorno al Dhaulagiri, quelle di Chantal Mauduit, nella sua “ SCRITTURA DEL VUOTO .


Le catene legano le mani alla roccia, e la roccia imprigiona gli occhi dell’arcangelo, trasmettendo così la potenza della sua trasformazione, ora solida e compatta, già friabile e sbriciolosa, disseminandola oltremodo e ovunque in quel baratro cupo e chiuso, dove solo il letto di foglie ne attutisce l’asprezza.

Il mago ha lasciato libere di volare le sue streghe, ed è alle prese con la consueta magia rituale, catturando con la sua bacchetta l’attimo di luce e splendore dell’aria.

E finalmente lo sento, bussa da lontano lui, lo scampanellìo del vento, il richiamo invisibile delle molecole addiacciate, la patina gelata che ricopre ogni singola vena o sottile strato erbaceo delle figlie di quegli esseri decennali.
Il tintinnìo leggero dello strofinarsi delle foglie, l’una contro l’altra, è la loro risposta per impedire alla tepida brezza il passaggio, a garantirsi ancora per un attimo lo stillicidio dell’ormai esaurito fluire della sostanza vitale, quel liquido che ancora lega il picciolo al materno fusto: sventolanti e attorcigliate su loro stesse negano al calore dei raggi lo sciogliere inesorabile di quel sottile filo esistenziale.
Un concerto di suoni argentei, che colmano il silenzio e lo vestono, rendendolo regale allo sguardo, mescolando ad esso il variopinto succedersi di tutte le tonalità dei caldi colori autunnali: platani, aceri, olmi lasciano che il loro giallo, ocra, verde si distingua nell’uniforme marrone delle foglie, ormai a terra, del faggio.
Un quadro d’autore che lascia spazio al verde ormai sbiadito dei pascoli delle Capannie e all’alternarsi delle tonalità dal bianco al grigio della roccia sovrastante.

La prima pozione magica è offerta e accettata ai tenui raggi del sole, favorendo la crescita del cuore e l’energia necessaria per colmare gli spazi aerei: il sofferente cammino culmina lassù, nella beltà del vuoto sopra la testa.

Chiacchiere di streghe e maghi, ispirazione di arcangeli, calore del sole e strani strumenti accompagnano lo sguardo della decina di occhi alla conoscenza dei luoghi: magnifici anfiteatri ci invitano nelle loro ammalianti semicirconferenze; ripidi canaloni circuiscono l’arcangelo, non riuscendo però a svelargli apertamente il segreto della loro immensa potenza nell’abito invernale: lui dovrà attendere il passaggio nella valle sottostante per capirne la forza e la spietata violenza.

Tra avvallamenti e scollinamenti, radici, foglie ed invitanti inghiottitoi ghiaiosi e scoscesi, ci si immerge nel Malopasso, affiancando per tutta la sua scricchiolante calata il muto grido di una ormai riposata valanga, i cui stanchi resti resteranno per lungo tempo a memore ricordo d’incontrastata e prepotente autorità.

Di nuovo formule sussurrate dalle Streghe a riempire gli spazi vuoti del silenzio, e ancora gli arcangeli occhi a cercare un passaggio in quelle verticali pareti, dove solo gli alti fusti possono avere la gloria di ergersi tra una pietra e l’altra.

Ed infine, i magici corpi si rifocillano attuando il piano del suo Presidente, secondo solo a se stesso: accolti dalla umana e unica bontà d’animo di Angela, dai ricordi clericali ancora vivi di un’ottantenne Costanza e…da un’impervia scalata su un piatto fumante si ricostituiscono le riserve per le prossime stregonerie.

Ed il saluto di commiato delle Streghe, dove? se non in quel luogo che lascia in pace anime e santi, maghi e arcangeli, a festeggiare appieno la loro festa, nella notte di quasi luna piena, dove solo i lumini segnano la via al nuovo anno e lasciano spazio alla magia…nera.

By Derspina, l’Ultima strega

1/11/2009 – Cima del Murolungo dalla Val di Fua e Direttissima – Discesa per il Malopasso e Val di Teve.


Le Streghe passano attraverso il Murolungo 
(di Maurizio Casalini)



Gli occhi della Duchessa  (di Giovanni Busato)


Fossi un gufo volerei in Val di Teve.
Su, su fino al Malopasso, oltre il quale il Lago della Duchessa è intrappolato
tra gli avvallamenti di un altopiano tormentato, dimenticato là dall’antico ghiacciaio
che dai circhi sommitali si aprì, devastante, la strada verso il mare.
E’ verde scuro di acque calpestate, il lago;
come gli occhi di Costanza che io so, essere stata Duchessa
di queste terre bellissime e del suo Velino,
che si erge sopra il Borgo con le sue linee perfette che sfumano nel cielo.
Il gufo vola basso sui faggi centenari,
luoghi di gnomi, folletti e streghe danzanti,
tra pareti di calcare cangiante che incombono sul bosco che dirada
verso l’alto in ripidi pascoli e instabili ghiaioni fino nel cielo dei grifoni.
Fuori dal bosco vibra la magia dell’Appennino; in basso la pianura,
i paesi, a volte il mare.
Non è più andare in montagna partendo dalla montagna dove già vivi,
è abbandonare di colpo un mondo che va dritto per la sua strada,
e ha il viso assonnato ed indifferente della gente seduta sui tram
che passano per Roma alle sei del mattino,
quando i sampietrini luccicano di umidità, alla luce gialla dei lampioni
ancora accesi anche a Campo, dove Mario scarica, per l’ennesima volta,
le sue casse di frutta.
Si parte dal piano, magari dal mare per trovarsi improvvisamente
in una terra di mezzo; terra rassicurante, amica,
come il sorriso caldo delle streghe che incroci
ad ogni loro sguardo distolto rapido ai frequenti crocicchi,
fonti di arcane formule.
Il grifone vola altrove oggi.
Come i nostri pensieri che corrono tra le mille cose che vorresti dire
e che poi rimangono là, non dette, assieme a mille abbracci, non dati.
Montagne di un giorno,
perché la sera giunge troppo svelta che già ti saluti:
“all’anno prossimo, magari prima,.. chissà”
E una dolcissima sensazione di pura amicizia ti pervade mentre volti le spalle
a queste terre di Mezzo e ti immergi,
zaino in spalla, di nuovo tra la folla che sciama indaffarata.
Ed è di nuovo notte, allegra, colorata, calma come un mare in bonaccia
dalla superficie luminescente;
berrei volentieri un bicchiere di vino rosso Maurizio,
ancora uno, tra noi con le nostre splendide streghe,
ma sarà per un’altra volta, verrà altro tempo.            

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Monti dell'Atlante:





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Lui e lei,

riempire di sospiri
lunghe pause di pensieri
mentre il suono del silenzio
li accompagna...           


(Francesco Guccini - Due Anni Dopo (1970)



Lui, il buio della notte,
Lei l’alba rosea sulle nuvole

Lui, il torrente in piena
Lei, la magia di una cima

Lui, il sole che gioca a nascondino,
Lei, la nebbia leggera che corre,

Lui, un pino solitario,
Lei, la via che si perde,

Lui, un raggio di sole
Lei, la luce che fende

Lui segue la sua ombra,
Lei calpesta la sua impronta,

Lui rincorre i pensieri,
Lei li perde nel vuoto,

Lui, lo strapiombante filo di cresta,
Lei, l’ acuminata parete rocciosa,

Lui, il prato ingiallito,
Lei, la neve sull’erba,


Lui, un cavallo affamato,
Lei, una mucca assetata,

Lui, il passo affondante,
Lei, la cornice pendente,

Lui, il vortice di vento,
Lei, l’ onda di neve,

Lui, il panorama mozzafiato
Lei, la vastità dell’ambiente

Lui, il Monte S. Nicola
Lei, la Cima

Lui prepara il filmino,
Lei brucia tutte le foto,

Lui, Zeta Zeta,
Lei, l’Ultima Strega





Abruzzo - Catena del Sirente- Monte S. Nicola da Gagliano Aterno 
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Ricomincio dal buio



L’ombra si allunga davanti a me, e si frappone tra la realtà e il sogno.

Mille granelli lucentemente bianchi attorniano l’immagine, mettendone in risalto la sagoma nera.

Sono accecata dalla potenza di questa luce che regala i suoi raggi luminosi a random nella notte, catalizzando il nostro sguardo pur nell’oscurità più nera.

Ci sono cascata non da sola in questo splendido inferno scuro, lasciandomi tentare da una luna piena che piena non è più, ma che regala sprazzi di luce laddove l’oscurità vuole nascondere la bellezza di quest’atmosfera.
Mi sono lasciata convincere che l’avvicinamento terrestre alle soglie lunari mi avrebbe riportato indenne alla riconquista di questa maledetta passione, che dalla lontana scivolata nelle pieghe della Val Setus mi aveva abbandonato per far posto al caos della mente e alla nuova realtà di vita.

E mi sono lasciata scaraventare in questo spassionato pensare, ammirare questo buio nel più grandioso dei silenzi, lasciando la mente visitare con gli occhi quell’oscurità di luce nascente laddove “io non vedo altro che neve e roccia”, recita sconsolato il nostro Leo.

Ma bisogna esser ciechi per leggere il buio, e bisogna che ci sia la Luna che scopre la sua scrittura e traduca quanto è scritto sulla Montagna.

E mi ritrovo con il passo baldanzoso a rincorrere forse troppo velocemente i miei incubi di un abbandono voluto inconsciamente, per non perdere questa opportunità di continuare a scrivere la gioia della traccia, quell’incessante intercedere del passo verso la direzione di una meta infinita, lassù, dove più su del cielo non c’è nulla.

Ma la lunga sosta lontano dalle montagne mi costringe improvvisamente a rallentare, anche se ostinata proseguo laddove un razionale pensiero consiglierebbe di fermarsi.

Ed è lì che vedo l’ombra stagliarsi su quel manto grigio di specchi scintillanti: ascolto impressionata il tintinnìo di mille scintille che rotolano verso quell’inghiottire ombre scure e fantasmi, creando un suono di cascata che inganna la nostra realtà. La consapevolezza di questa musica scoperta che si espande sotto il nostro passo mi aiuta a colmare il vuoto che manca a quell’ abbraccio in cima, tra il calore della croce e quello dei miei compagni di questa splendida avventura.

Alla vista della croce un pensiero spontaneo va a dedicare questa mia faticosa cima a Paolo Chiti, le sue tracce ormai perenni sulla neve a guidarmi in quello spazio che resta tra la vista e l’abbraccio commosso con l’altro Paolo, mio caro amico snow di fughe solitarie, oggi silenziosamente tenace a convincermi in quest’impresa. Il terzo Paolo, anche lui si assicura la mia stretta, per avermi sostenuto nel momento del mio involontario rifiuto a tutto questo, lasciandomi superare con rallentata tranquillità quella difficoltà tramutata piano piano in ostinazione per la vittoria su me stessa.

Ma ovviamente non ero la sola Strega in questa notte meravigliosa e ammiccante: avanti a me, il passo gentile di Marta che troppe volte mi ha permesso di arrivare a sua insaputa laddove io ero certa di mollare prima; la placida fuga della quarta Strega, ammaliata anche lei da questa gigante Luna, la più grande sfera che ci ha regalato la nostra recente Storia, ed infine Massimiliano, conosciuto solo in questa silenziosa notte, ma assolutamente certo che, chissà, forse abbiamo già incrociato le nostre orme.

E se l’ora tarda ha cercato di riunire il tramonto della Luna con il sorgere del Sole, a noi è sembrato che sia giunto fin troppo presto il momento di dover abbandonare quello scenario di beltà e silenzio, lasciando vagare le nostre risate e la nostra gioia lungo le pendici di quelle dolci vallate fino al ritorno in una frenetica realtà ancora assopita nelle pieghe dei sogni.

In attesa che questa notturna magia si trasformi ancora in meraviglia,

Buona notte Luna, e..
..bentornata traccia.

By Derspina


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Ho ripescato dal calderone una bella giornata sui Monti della Laga:


Giro ad anello:
da Fonte delle Trocche, La Storna per il Fosso della Cavata fino a  Pizzo di Moscio, Cima Lepri, Valle del Castellano
23 Maggio 2009, con Maurizio, Lorenzo, Ilario, Mariangela, Silvia





TRASPARENZE




I gialli raggi del sole sono tutti racchiusi in una luminosa palla infuocata.
E’ sparata di fronte a me e mi viene incontro. 



Mentre mi godo il calore dei suoi contrasti la gioia si impadronisce del mio corpo e, finalmente, mi rendo conto che sto scappando da questa quotidiana frenesia, lo zaino pieno delle mie solide speranze a trovare certezze, a scoprire quegli angoli nuovi che sulla Laga si possono scovare: il selvaggio, il verde, l’incontrastato panorama, il suo vertiginoso strapiombo, il suo stratificante spazio roccioso, sovrapposto, scomposto, ripidamente ordinato.

Poco importa se dobbiamo fendere a velocità adeguata la strada con i fari nella notte più oscura, se Lorenzo deve ascoltare le mie incessanti chiacchiere spassionate, se Emma pazientemente ci aspetta anche quando dovrebbe essere coricata da due ore, se il vento alza il turbinio dei fiori di robinia regalandoci una continua danza di mulinelli bianchi, leggeri, silenziosi, fluttuanti, se le curve seguono l’orografia dei luoghi e il tuo stomaco con loro, l’accoglienza di Pietro ed il ricongiungimento mattutino con chi questa giornata non se la vuole perdere. E non ci fermano i chilometri a piedi da fare per un rientro senza neve, la calda giornata che si presagisce, la sistemazione delle macchine per la traversata: siamo lì a mettere pelli, a lasciare il materiale inutile, a spogliarci adeguatamente.

Finalmente lo scarpone calpesta questa terra dai nascenti germogli, ancora tenui nei colori, ma consistenti nell’essenza; prati di ranuncoli gialli si scoprono ad ogni avvallamento sinuoso, colorate orchidee spuntano con i loro racemi a dominare i pascoli erbosi, emergenti da pietre lastricanti l’ondulato e argilloso terreno.

Mentre mi godo questo sfavillìo di infiorescenze emergenti, un suono incessante, eppur costante, si fa strada in quell’oblio di verde: la neve grigia, sporca, rilucente è mollemente ammassata in questa enorme cavità rocciosa, si erge ripida nei pendii opposti, è attorcigliata alle pareti laddove le rocce sporgono in fuori a tentare di non cadere nel vuoto. 


E un pensiero sovrasta prepotente la mia mente, un ricordo ancora vivido di altre pieghe pirenaiche, del tutto simili a queste, nella bellezza, nella deposizione, nei colori, immerse anch’esse nella turbolenza degli schizzi, nella prorompenza della gravità trasparente, nei salti rocciosi a conquistare i vuoti e a riempire gli spazi di minuscole particelle bianche, gelate, bagnate, trasparenti.

Ci si allontana per riavvicinarci, ognuno è padrone della propria via, ad inseguire i pensieri, l’ambiente, il passo, il tempo.

Il mio è scandito da un continuo mirare a ritroso, guardo in giù mentre vado su, come se il mio corpo rifiutasse di partecipare a questa nuova scoperta. Ma vince la mia tenacia, la teoria dei piccoli passi, sapere che Maurizio è sul confine della beltà e basta poco per raggiungerlo. Seguo con gli occhi sci e fisici che, alzandosi, affrontano gli ultimi metri prima della doppia religiosità, e scelgo la via diretta, più faticosa per altri, ma che per me è diventata uno stile di salita; con il pesante fardello sulle spalle mi unisco alla compagnia gustandomi una caramella morbida alla liquirizia……offertami da una strega, ammaliandomi!

Si riparte verso il vento, quell’alito trasparente che circonda la materia, da essa fugge per trascinare ora verso di te, ora via lontano, le timide paure di una sottile cresta, i cui fianchi si allargano quel tanto che basta a renderli verticali, strapiombanti, sfuggenti, inesistenti, pur consolidandosi in un’unica parete.

Sei costretta a distogliere lo sguardo: Lorenzo con tre curve è appeso ad un sottile strato di neve nel vuoto, traversando delicatamente quel mondo sospeso di cui non si vede la fine ma se ne intuisce il risucchio. Sottovoce, come a non distrarlo da quella delicata incoscienza, mi allontano a cercare con altri occhi analoghi strapiombi vicini e lontani. Lo sguardo spazia a digerire quei rivoli bianchi che riempiono le pieghe precipitose di questi picchi, di queste enormi cenge sospese nell’aria. E ancora più in là a scorrere le cime note del Massiccio Abruzzese: la Vetta Occidentale, il Corno Piccolo, Pizzo Cefalone e parte della cresta delle Malecoste, Pizzo Intermesoli con la sua splendida discesa ovest, tutta la candida cresta del Monte Corvo con i suoi imbiancati e pieni anfiteatri, gli adagiati canali, perfino il lontano Pizzo Camarda…….Spettacolo di cime imbiancate addormentate al sole…

Ancora spicchi di roccia e verde in traverso, obliquanti lo spazio, perpendicolari ad altre verticalità; vorresti essere lì, sulla lama affilata a dominare il vuoto, a lanciare un grido che si perde nell’aria e da essa raccolto, custodito e rilanciato. Ma con l’occhio segui i contorni in salita di questa selvaggia montagna: Cima Lepri è lì a portata di gamba e non è sola.

Dalla cima, altra acqua è l’interprete principale di questo mondo sospeso: il lago di Campotosto e il piccolo lago di Scandarello, azzurre vasche riflettenti i colori ormai decisi di questa avanzata primavera.

Il tappo che salta, i calici e il cristallino vetro a coronare lo sforzo e a rinsaldare conoscenze, amicizie, sguardi, battute, dolci, formaggi, e un fiume di parole, racconti, sole e brezza.

Tutti indifferenti alla discesa, tutti già pronti per il gran finale, a far scorrere gli sci, a trovare il passaggio giusto, la velocità, la gaiezza, la beltà.





La neve che corre from casalini maurizio on Vimeo.


E gli occhi di Cip e Ciop quieti fino a quel momento si risvegliano lucidi di sì manifesto incanto: la luce trapassa la neve, la scalda e la riflette; le rocce disegnano con la loro veste il nostro correre incontro all’incredulo, il loro confluire nel nulla, la nostra caparbietà nel credere, nello sperare ed infine nel racchiudere nel nostro cuore tanta, infinita e immacolata assurdità di contrasti, pendenze, perfezione, vastità.

La forza della natura ci si para davanti all’improvviso: la pesantezza della sua naturalità fangosa chiude la nostra spensieratezza, avvolgendoci in un anello pietroso dove solo al trasparente fluido è lecito passare….e a Lorenzo!

L’ultimo sguardo è al di sopra di noi, al cospetto dei superbi spalti di Pizzo di Sevo con i suoi ripidi passaggi, le sue cascate, i verdi prati, la roccia strapiombante, i rami intrecciati, il sole abbacinante, la confluenza delle acque, quell’incessante scorrere tumultuoso che allarga la neve per vincere lo spazio, luogo che non potrà mai essere la sua casa perché è già schizzata via, giù verso valle.

Sarà il frastuono delle sue particelle urtanti i confini a cadenzare il nostro passo fino alle placide pendici di questo ambiente naturale, ormai già maturo nel suo lento percorso, ma ancora troppo giovane per confonderne i colori.

L’esplosione di vita del bosco accompagna l’ormai affaticato movimento verso il riposo, il ristoro, il brindisi di rito alle prime streghe, alla memoria telematica di Ilario, al dignitoso piatto di fettuccine di Lorenzo, all’immortale occhio vagante di Maurizio,

e alle mie parole che catturano in un solo colpo i russi e rossi simboli dello stare bene insieme, passato e presente, consistente e fluido, corposo e dolce,
racchiuse per tutti in un fiore all’occhiello, lei, la genziana, simbolo floreale della montagna per eccellenza,

donato a voi con tutto il cuore,  
dalla vostra Derspina  




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Se si parla di Raduni............:



Goditelo a schermo pieno............

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