“simile alla nuvola estiva che naviga libera nel cielo azzurro da un orizzonte all’altro, portata dal soffio dell’atmosfera, così il pellegrino si abbandona al soffio della vita più vasta, che lo conduce al di là dei più
lontani orizzonti, verso una meta che è già in lui, ma ancora celata alla sua vista.”
(Lama Anagarika Govinda, Le Chemin des nuages blancs)

Marocco: sui Valichi e Cime oltre confine

In fuga con la Strega sui Valichi e Cime oltre confine
(Alto Atlante – scialp in Marocco
 23 Febbraio -27 febbraio 2010)



Non so perché la scopa mi abbia scaraventato qui, a migliaia di chilometri dal mio cervello.
Ma lo ritrovo forse in queste frasi :

Muoversi nell’ambiente intorno, per conoscere il mondo, è muoversi nella mente per conoscere se stessi.
Le montagne non si muovono, non ci vengono incontro. Restano immobili, ci aspettano. La loro staticità induce il nostro movimento. Se non andiamo alla montagna, la montagna viene a noi. Visita la nostra mente, occupa i nostri pensieri, diventa il nostro sogno. E’ allora che ci mettiamo in cammino.
 ……….Mettersi in cammino è ricominciare daccapo, aprendo la mente a nuovi pensieri. E’ un andare incontro al senso del proprio agire.
..…Camminare è un andare attraverso; è conoscere il durante : il tra una partenza e un arrivo, tra un inizio e una fine. La permanenza in una dimensione interspaziale che non ritrova più i propri confini e diventa esperienza ricercata e risolutiva per tutte quelle inquietudini che la possono sostenere e motivare. Attraversare è anche trapassare. Un valico è anche un passo. Una breccia nell’argine, la possibilità di un passaggio. 
…Inoltrarsi in un camminamento solitario è diventato un mezzo per la terapia della mente: un modo per creare un distacco e, nello stesso tempo, un attaccamento. Rispetto agli altri, ma anche nei propri confronti. E’ un separarsi, lasciare la propria casa e comprendere, nello stesso atto, anche il ritorno a sé.. .……. (In su e in sé Alpinismo e psicologia – Saglio G., Zola C.)


L’idea è partita con le zampe sotto al tavolo, ed è finita facendo volare le gambe; telefonate, dinieghi, ed infine la certezza di sbagliare davanti al video per fare il biglietto.

Ma tutto è andato per il verso giusto, perfino il tempo: “Insciallah”, è la risposta di Mohemad alla nostra domanda sulle condizioni meteo. E così sarà, splendida, come il tempo ce la regala, questa nostra fuga d’oltremare verso la visione del deserto dall’alto, verso le cime più alte del Marocco, verso il bianco musulmano.

Paolo ed io; lui con la sua tavola, io con i miei sci; lui con i suoi pensieri, io senza i miei; lui che si perde tutto per poi ritrovarlo subito dopo, io che semplicemente mi perdo e non so se mi ritroverò.






Una volta tanto non ho riflessioni, non ho aspettative, ho solo la voglia di andare a curiosare, e come sempre a conoscere, cosa c’è al di là: del monte, del valico, della mia mente.

E come sempre il mio viaggio inizia tra le donne, quelle protagoniste della vita africana, coloro che rimanendo nell’ombra fanno scintillare la luce dei villaggi, con il loro duro lavoro, la loro costanza, la loro volontà. 
Sedute schiena al muro, dopo aver raccolto il frutto dell’Argan, lo separano, lo sbucciano, lo dividono, lo rompono, lo frantumano ed infine raccolgono il succo del loro lavoro. E lo vendono in mille fantasie: un burro di cacao, olio e miele, olio e erbe aromatiche, unguenti, creme, condimenti.

Ti senti piccola quanto grande è il loro sorriso alla tua conoscenza, unico linguaggio che conosci e che, d’altronde, non ti abbandona mai.



24/02/2010      Imlil – Aroumd – Chamharounch (1740-2350 mt)

Questo lampo africano si è instradato così, con l’abbandono delle mie futili convinzioni per ritrovare quello che di me effettivamente non ho mai voluto affermare.






Non serve parlare lingue sconosciute; il calore delle persone che incontri lascia capire la loro e la tua allegria, la loro semplicità di vita nel tuo essere serena, il loro spontaneo saluto alla tua giornata che termina, mentre loro proseguono le quotidiane fatiche, mescolate soprattutto a festose gioie.

In questa veloce fuga ritroverò me stessa, sempre alla ricerca incessante della sconfinata umanità, ruberò il sorriso di chi incontrerò, regalerò il mio alla fatica inesistente di chi mi aiuterà, custodirò gelosamente l’orgoglio dell’anziano alpino che con il nostro incontro rivive il suo passato; solidarizzerò con donne cariche della loro prole, e con loro saluterò questa celeste giornata; mi sconcerterò dei bimbi troppo piccoli che si caricano di cemento per la loro futura casa, troppo presto per costruire parte della loro solida vita.
 
Nella valle, in salita, ascolto la compagnia del canto del mulattiere, a cavallo del suo placido animale. Libera note forse d’amore, senz’altro di vita. E cantilenando, ti invita a cambiare versante di fermata per il suo passaggio, è sensibile al senso della tua vita, e ti vuole dall’altra parte, dove l’incontro con il suo animale ti fa rimanere incolume.   




Chamharounch - Rifugio Toubkal (ex Neltner)  (2350-3207 mt)


Vorrei essere una pietra di questa valle: sentire l’acqua che gelidamente mi scorre sopra, fino a consumarmi e rotolare sul fondo di questo luogo silenzioso, dove solo l’infrangersi del torrente ed il fischio del vento tengono compagnia ai muli.
Animali, questi, immobili, silenziosi, indifferenti al via vai di uomini, sci impronte, fango, sassi, acqua neve, riverbero. Il thé è calorosamente offerto in queste capanne mimetizzate nella rimbombante valle; mentre sali senti tutta la fatica del fiato che se ne va e dei muscoli che ti rallentano.

Se non arrivi stremata al rifugio più di quanto il tuo fisico e razionale cervello sopporta è solo per il richiamo del tuo nome da parte di un ragazzo dal suo impronunciabile, ma dal sorriso sincero: ”Anna, hai bisogno di aiuto?” , e per la prima volta, squagliato il tuo orgoglio al calore dei raggi del sole, rispondi di sì, affermando te stessa nella difficoltà.




Il torrente si ingrossa man mano che si snoda, incuneandosi nei massi giganteschi, attorniati dalla neve accumulata a balze che d’intorno crea il suo spazio vitale a disegni livellati.
     
E’ lunga la scivolata in salita, in traverso e sospesa sull’acqua che scorre, talvolta senza trovare terreno, solo sul peso delle lamine, sottili e fragili binari paralleli.

Vorrei essere neve di questa valle, in attesa di essere calpestata, corsa, sciata, massacrata dal ferro dei ramponi, tagliata dalle lamine affilate, squagliata dall’acqua del fiume, sopra, sotto, rumore assordante nel silenzio maestoso.

Vorrei avere la vista del gipeto, che scruta il territorio a perdita d’occhio a cercare la sua preda, occhi di lince, velocità del falco.

Nelle luci indefinite di un sole ormai nascosto, nere costruzioni si affacciano all’orizzonte, generando sufficiente energia per far scivolare gli ultimi passi, ad intuire il percorso, a segnarne la via. E il calore di un fuoco e di sconosciuti pellegrini si mescolano allo scintillìo di questo lampo africano.





Rifugio Toubkal (ex Neltner)  (3207 mt s.l.m.)  


7 parlano la nostra stessa lingua, con 4 ci si capisce arrabbattando spagnolo, inglese, francese, italiano, ma il senso è sempre quello della comunicazione, della conoscenza, delle risate sugli spaghetti sconditi, di informazioni su luoghi sconosciuti, e …insciallah… ah!  sapere che si farà domani, come sarà il tempo, come agirà la quota nella tua testa.




Le cantilene dei portatori e degli accompagnatori si mescolano al riverbero accecante del sole; al rientro di ogni gruppo ciascun ragazzo di quel luogo selvaggio e isolato che li ha accompagnati vuole mettere alla prova il coraggio acquisito: sui ramponi, sugli sci, sulla tavola da snow.


E la solidarietà tra di loro si arricchisce non solo di alpina esperienza, ma di risate e divertimento schietti, quel tanto che basta a strapparti e condividere con loro quel magico e sdentato sorriso.

Il rito del thè è partecipato da tutti, ancora fuso alle sempre serene note dei canti sul lavoro, sciogliendosi di dolcezza in quei glaciali ambienti.





25/02/2010        Verso Cima Toubkal


Dopo il traverso verso Cima Toubkal

Fino all’ultimo l’indecisione, poi il suggerimento, e dentro al cuore la certezza che l’impresa più impegnativa è vicina, molto più di quanto la tua ragione impiega ad elaborare che sei in ballo, e tanto vale danzarla questa “verde milonga” (Paolo Conte).

Al suono di lenti e ritmici passi, il tuo piede si unisce ad altre impronte; calpesta le intenzioni di chi ti ha preceduto, ed in solido si unisce alla fermezza di quell’attimo, quel breve scambio di pesantezza nella delicatezza della via.


Lo sguardo è fisso e concentrato in basso; abbandoni ad altri occhi il ripido pendio precipitante nelle acque del torrente, percorso teso e sfuggente verso i grandi massi emergenti.


Il vento gioca a acchiapparella con se stesso: turbini di neve rincorsi a formare mulinelli che rendono visibile e reale la sua potenza; il suo urlo sibillante si perde nel vuoto dei salti, nello strapiombo verso il deserto; il suo innalzare microbiche particelle iridescenti verso il cielo celeste trasforma in un caleidoscopio il muro trasparente.

Vorrei essere la croce della cima, ferma, statica, in attesa del suo conquistatore. Memoria eterna di sterminati panorami, monumento immobile di variegate vittorie, muto testimone di gioie alpine e sorrisi soddisfatti. 





Sella di Tizi n’ Toubkal (3950 mt)

La tua cima è lì, lontana, severa, in mezzo ai massi. 

Dal rimbombare del fiato spezzato nei polmoni e dalla pesantezza nelle gambe sai che oggi è irraggiungibile.




Il tuo corpo si ribella mentre la mente sorvola i rilievi innevati, contrastati da ammassi di pietra nera, degradanti verso la pianura che ha tutti i colori di questa terra, immersa nelle nebbie leggere, a rendere sfumati e indefiniti i loro contorni.






Ma oggi non c’è rimpianto per una cima mancata; lo spettacolo di questo mondo dall’alto ripaga comunque di una sconfitta vittoriosa.












La discesa è un continuo cercare il pendio più ripido, a far reagire le gambe su quel terreno sostenuto e sostenente, a disegnare l’ennesima curva che risponde all’eleganza del movimento, a risollevare il corpo per il pennello successivo.

 Paolo, non pago, riparte, ad inghiottire nuove discese, ad individuare sconosciute salite:





Dal Colle di Toubkal verso l'Akiud (4010 mt)




Nel pomeriggio si chiacchiera, ci si scopre conoscersi già, e si tende quel filo trasparente ma resistente che unisce gli uomini nelle situazioni forzate: il giorno successivo tutti in fila alla forcella, e la sera a dispiacersi di non aver scambiato i recapiti per ritrovarsi.

Ma in Marocco, si sa, Insciallah, e la coincidenza ci farà rincontrare casualmente comunque a scambiarci l’ultimo saluto in una città affollata come Marrakesh.




26/02/2010             Sella di Tizi n’ Ouagane (3735 mt)



Alle spalle del rifugio si risale il colle che nasconde la più ampia valle in fondo. Il vento che ci ha accarezzato alla partenza, man mano sbuffa la sua irrequietezza, obbligandoci man mano che il pendio si erge, a compiere esercizi di equilibrio con il fiato corto.
Lentamente salgo la mia strada, anche oggi impegnativa, e solo la caparbietà di una curiosità latente, mi fa arrivare a quell’aperto colle. La stanchezza è tanta per godere appieno dei panorami che si aprono: scorgo Paolo impegnato nella salita verso il Timesguida, ma a malincuore lo vedo rinunciare.


La discesa è comunque un godimento di neve perfetta, soda quanto basta a farci divertire fino in fondo.




Ma anche oggi Paolo non è sazio, e risale Tizi n’Ouanaoumss, mentre l’aspetto al Rifugio, tra attimi di panico per una brutta scivolata di un accompagnatore dal traverso del Toubkal.



Rifugio Toubkal (ex Neltner)  (3207 mt s.l.m.) – Imlil (1700 mt)


E sotto il sole cocente della fine mattinata, si riparte verso valle, i muli, Imlil, ed infine Marrakesh, non negandoci le ultime saporite curve obliquando nel lungo traverso, lasciandoci alle spalle la bocca spalancata dell’igloo degli spagnoli, regalo glaciale e caloroso di un giorno di maltempo.



A malincuore ricalchiamo i passi dell’andata, cantando comunque di gioia per una ritrovata forma, nell’incontro con questo popolo che nulla pretende se non un tuo divertimento insieme a loro.




L’ingarbugliamento dei rami è l’ultima visione alla quale non so resistere, simbolo fatalista e reale dell’ intreccio delle nostre vite.






Scrive Marco Aime: Non è vero che i viaggi avvengono nella testa, che si può viaggiare rimanendo a casa, che si possono fare viaggi stupendi con la mente. No, non è vero. Il viaggio nasce nella testa, matura, ma per esistere ha bisogno di linfa attraverso i sensi, toccare, sentire, annusare, assaggiare.
Quello mentale è un sogno, non un viaggio. …
....Il viaggio ti strappa dall’attesa, ti costringe, in qualche modo, a ricominciare.” (da ‘Sensi di viaggio’)

Io l’ho fatto.

By Derspina

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