“simile alla nuvola estiva che naviga libera nel cielo azzurro da un orizzonte all’altro, portata dal soffio dell’atmosfera, così il pellegrino si abbandona al soffio della vita più vasta, che lo conduce al di là dei più
lontani orizzonti, verso una meta che è già in lui, ma ancora celata alla sua vista.”
(Lama Anagarika Govinda, Le Chemin des nuages blancs)

L'incanto della Porta Nera

11-18 Marzo 2006  SVIZZERA ghiacciai del Monte Rosa

L’INCANTO DELLA PORTA NERA 


“Anna qui con me”. Il richiamo di Alberto è inesorabile.
La frase a lungo temuta, è arrivata. La punta del suo bastoncino ad indicare le code dei suoi sci.

Ma il terrore che credevi ti avrebbe soverchiato, alla fine non è arrivato: la concentrazione per  voler scendere nel migliore dei modi ha prevalso, e ha vinto. Ogni cellula del tuo essere era lì pronta a reagire e ad essere conscia che in un’eventuale emergenza la mente deve sentire il corpo e separarlo dall’immaginario fino a farlo aderire al reale.
Prima dell’iniziale curva sulle bocche sottostanti già sapevi che non ci sarebbe stata la paura del giorno prima, dovuta a quell’inconsapevolezza del non vedere: i gorghi ghiacciati erano lì a portata di pupilla, nessun apparente salto nel vuoto, a richiamare le dritte o strapiombanti vie di arrampicata.
Solo due strisce bianche e parallele, ad unire i vuoti del cristallino ambiente.
Perchè alla fine hai capito che è l’incognito che ti rapisce, ti preleva la linfa vitale fino a negarti tanta bellezza, richiamando ogni singolo ione a catalizzare il positivo e il negativo, al punto che il nucleo così ingrandito annienta la luce della tua essenza e diventa il tuo terrore.

Ma tutto questo non c’è stato.
L’ansia che ha pervaso il tuo corpo fino agli attimi prima della fatidica frase si è sgretolata all’immagine della realtà: un ambiente da sogno, dove ogni cerchio insegue il successivo, ogni curva si avvolge all’altra, il grigio in sostituzione del celeste, il verde del cristallino, il bianco con l’azzurro.....il giallo dei tuoi sci.











Ti sei sempre chiesta cosa si prova ad attraversare il mondo dei crepacci, verticali e orizzontali, gli infiniti disegni modellati con due atomi, stati fisici a rincorrersi, a chiudersi, a sciogliersi e a riaprirsi, lasciando inghiottire gocce essenziali ora per nascondere e celare la vera identità di quella distesa gelata, ora a renderla manifesta negli azzurri vortici, via via più scuri, fin nel profondo dei suoi abissi.




La lucentezza di quegli strati, apparentemente appoggiati gli uni agli altri, con indifferenza, ma con costante sovrapposizione, sono a fondersi in un’unica vitrea scultura unita nelle sue pieghe da mille interruzioni del corpo, immobile e cinta a sua volta da altre luminose ed iridescenti opere della natura, a comporre un abbraccio glaciale e caloroso di monumenti splendenti.












Il ponte: simbolo di attraversamento delle coscienze, legame tra due opposti, aldilà e al di qua delle rive, punto di partenza per l’ignoto, approdo per la percezione.
Da un vortice all’altro, dalla superficie all’inferno, dall’alto verso il basso, l’inseguimento dei binari a superare piane, rocce, avvallamenti, pendii, fianchi, a solcare la traccia nell’immensa vastità glaciale e ammantata, ad intuirne i tranelli, sotto l’occhio vigile e freddo delle lingue di ghiaccio del Monte Rosa, del Liskamm, del Castore e del Polluce, delle cornici del Breithorn.
L’attraversamento del Triftjigletscher dalla Cima di Jazzi, ai piedi dello Stockhorn, percorso distratto dall’incantevole e rilucente ambiente circostante, ad invitarti  ad intuire vie e passaggi, storie ed emozioni, al cospetto delle tue prime Signore Montagne; il lungo inseguimento delle curve e delle linee nel Gornergletscher, in discesa e poi in salita, nella bianca vastità ad intervalli celata e manifesta, fino al toboga finale, gelato e trasparente; i freschi e gustosi pendii del Furggletscher, oceanica distesa di sabbia bianca alle pendici del Matterhorn, tra salti e grida di gioia ad intrecciare linee e curve; i pieni e boscosi pendii di Schwarzsee, a ritrovarti seppellita nella candida e fresca neve delle sue cunette; ed ancora le serpeggianti curve del Zchwarzegletscher, ricadenti dalla Porta Nera, tante e corpose, sinuose e interminabili, così decise e divertenti da farti dimenticare l’emozione.

Il traverso: abbandono del noto, sospeso ago di un pendolo sul vuoto, dove solo una sottile linea ti àncora alla conoscenza, filo affusolato che ingrossa solo se si intreccia ad altri filamenti.
Il primo filo, fino come una punta di matita, a tracciare il percorso dello Stockhorn, verso la Cima di Jazzi: neve dura a disegnar la virgola, e consistente, a differenza del tuo animo, combattuto tra calde righe bagnate e solidità delle tue lamine, alla ricerca dell’equilibrio interiore ritrovato solo in cima.





Il secondo filo, molto più esile del precedente, a rincorrere le pieghe del traverso del Triftjigletscher, sotto un Piccolo Cervino avvolto e circondato da miriadi di particelle colorate e sospese nell’aria, esplose in tutte le gradazioni dell’arcobaleno, ma che non sono riuscite a tinteggiare lo spettacolare manifestarsi del gelo in superficie e della tua psiche, abbandonata a ben altre gocce trasparenti, costantemente accompagnate da un rimbombante, vertiginoso e intermittente balletto di ossicini nel tuo orecchio.
Ed infine il terzo filamento, quello più robusto, dal Plateau di Breithorn al superamento della Porta Nera.





Sola.


Unicamente con la certezza di un tesoro in più: niente più virgole,
solo un punto.

By Derspina 

Nessun commento:

Posta un commento