“simile alla nuvola estiva che naviga libera nel cielo azzurro da un orizzonte all’altro, portata dal soffio dell’atmosfera, così il pellegrino si abbandona al soffio della vita più vasta, che lo conduce al di là dei più
lontani orizzonti, verso una meta che è già in lui, ma ancora celata alla sua vista.”
(Lama Anagarika Govinda, Le Chemin des nuages blancs)

Raccontare con la musica - Pire e Spade

Raccontare con la musica, incontrare melodie come s’incontrano in viaggio persone, le loro storie, quelle delle loro mani, degli zigomi, del loro cammino: non ci si ferma alle note o alle parole, si va sempre al di là.........  



In un volo sono sulla cima del castello di Jaisalmer, richiamato dal color oro dei bastioni orlati, opachi, di arenaria gialla mista a sabbia. Un suono dolce di sarahgi attira i passanti, le armoniose note si spargono nell’aria, il sussurro del cantastorie invita all’ascolto.


Mi siedo, non credendo ancora alla fortuna che ho avuto: spalanco gli occhi e cerco di capire la lingua di quel cantore. Ci sono! E’ un CHARAN, un nomade cantore della casta guerriera dei Bardi: coloro che, girovagando, narrano le gesta dei maharaja rajput - figli di re - e delle virtù delle donne maharani.

Rimango incollato alle crome, e ad una ad una quelle soavi parole entrano nel mio cuore, rapiscono la mia mente e lentamente mi trascinano in quel mondo avvolto di veli, di silenzi, di gesta eroiche, di castelli, di sacrifici, di storie romantiche e di disperazione, di guerre e fuochi, roghi e colori, odori, saggezze e bugie, tranelli, inganni e tradimenti, magnanimità e magnificenza.

Ascolto incantato ogni vocale musicale, ed ecco che le nere sillabe si depositano su uno spartito avvolto, che piano piano si srotola a comporre la storia più lunga del Rajasthan.
Adesso intorno a lui siamo più d’uno, tutti attenti a non calpestare quel fiume di parole musicate, liberate nei secoli dalla storia di armi e di devozione, di amore e di fierezza.

Lentamente, come una favola inizia il suo lungo racconto:



PIRE E SPADE
ovvero, il coraggio delle donne rajasthane attraverso storie di donne


“C’era..., prima dell’anno mille a.C.,


..un giovane principe ambizioso, che voleva carpire il segreto dell’immortalità al suo saggio maestro. Ma il suo comportamento fu tale da far arrabbiare così tanto l’uomo, il quale, pestando i piedi sul terreno, fece un buco da cui cominciò a sgorgare una sorgente.


Intorno a quella raccolta di acqua sorsero cittadelle e villaggi, e, molto tempo dopo, il Palazzo della principessa Padmini.


Alla città così sorta fu dato il nome di “Chittaurghar, o forte di Chittor”.

Questa città-fortezza visse per diversi secoli fiera di nobili gesta, coraggio, ammirazione, valore e ardimento, tenacia e resistenza, caparbietà e sacrificio, immolazione e codice d’onore, valori intrecciati a uomini valorosi come i Rajput e alle loro cavalleresche imprese.


Tre volte resistette all’invasione straniera, tre volte dette prova di  perseveranza ed eroismo: il sacrificio supremo collettivo, il Jauhar - in cui il riscatto della dignità maschile si univa al virtuosismo femminile, nell’estremo onore verso la morte collettiva per la salvezza dall’onta,  - allontanò da questo orgoglioso popolo la vergogna di una disonorevole e umiliante sconfitta.

“”Narrano i Veda:
Daksa, il primo sacerdote brahamano, era stato creato da Brahma per svolgere anche i sacrifici rituali, poichè senza di essi le divinità venivano considerate incapaci di aiutare gli uomini a far sorgere il sole del mattino. Maggiori erano i sacrifici, più forte diventava la casta dei sacerdoti, garantendo la custodia della parola sacra, che doveva essere trasmessa all’umanità come “rivelazione” dalle sacre scritture dei Veda. Tutte le offerte sacrificali venivano donate agli déi attraverso l’azione di fuochi sacrificali.
Daksa aveva una figlia, SATI,  che voleva andare in sposa a Shiva. Ma Shiva è un dio ambivalente , egli è infatti il Signore della vita e della morte, nemico di riti e regole. La sua natura distruttiva, intesa però non come dissoluzione ma come necessità di rigenerazione e di rinascita, viene rappresentata dalla cenere del fuoco sacrificale. Nel suo aspetto ascetico,  il suo corpo è seminudo ed è cosparso di cenere;  attorno alla vita indossa una cintura di teschi umani, con la quale chiede l’elemosina, e sul collo una collana di serpenti. Ma Sati lo sposò e andò a vivere con lui sul Monte Kailasa.
Un giorno, durante i riti sacrificali,  il padre Daksa officiò le offerte a tutti gli dèi,  escludendo però Shiva. Sati, per la vergogna, si lanciò sul fuoco, lasciandosi bruciare viva. L’ira di Shiva fu tale che, attraverso una sua orrida creazione, distrusse tutto ciò che in futuro si sarebbe contrapposto tra seguace e divinità.
Il sacrificio di Sati fu tragica usanza di immolazione delle vedove, volontaria o meno, il cui numero arrivò a corrispondere con l’ onore della fortezza: maggiori erano gli assedi e le jauhar, più grande era il rispetto per quel popolo guerriero.””

Compiere il sati a Chittor, l’incandescente ed infuocato atto di fedeltà al marito fu, per le donne nobili trascinanti, massima azione esemplare, seguita da migliaia di altre vittime innocenti: la baldanzia dei loro uomini rajput, agghindati per l’ultimo dignitoso sacrificio con vesti colorate color zafferano e ghirlande di fiori, ha finito per incantare e renderli ammirevoli agli occhi degli invasori, permettendo per tre volte una strenue riconquista del loro potere secolare.


Cadeva l’anno 1303, nel grande regno Mewar, sulle terre dei Sisodia, e la bella Padmini, sposa del principesco Ratan Singh, contemplava la bellezza del luogo circostante riflessa nelle acque del suo lago, ignara che la sua stessa delicatezza aveva già impressionato un ben altro specchio nemico, stregandolo.

Ala-ud-din, sultano di Delhi, da quel momento, decise di essere disposto a tutto, pur di conquistare siffatto splendore, e con caparbietà e tenacia spinse la già assediata Chittor al suo primo estremo sacrificio umano, avviato dalla stessa Padmini pur di non cedere al turco baratto.

Contemporaneamente, il triste e onorevole destino delle aristocratiche e principesche donne si espanse in tutti i territori del Rajasthan: ovunque veniva ospitata la casta guerriera il rito della jauhar esauriva con una  sacrificale vittoria l’atroce sconfitta. La rossa testimonianza delle mani, quegli arti immersi nella sostanza colorata – l’hennè – avrebbero lasciato ai posteri storie di coraggio e virtuosismo, gloria e fedeltà, macchiando di rosso la porta, unico accesso al trionfo nemico, ultima dimostrazione di una fiera salvezza.

Jaisalmer, la città d’oro, anch’essa vide per tre volte il fuoco delle pire levarsi nell’aere saturo di sabbia, e laddove non si potè con l’incandescenza, la Khandra – valorosa arma rajput – pose fine al disonore femminile per mano stessa del regnante, sebbene il coraggioso valore militare dei guerrieri  assediati rese vano il sacrificio delle reali dame, riconquistando la battaglia dopo tenace resistenza.

A rimbalzare sui territori l’eroiche gesta, anche nella città blu, l’azzurra Jodhpur, si consumò la nobile immolazione: il castello di Meherangarh, oltre a celar tesori e intrighi, segna l’illustre dinastia sulla sua settima porta: la Loha Gate, o Porta di Ferro, dove 36 mani femminili dichiarano l’olocausto di altrettante donne sacrificate per amore o condizione, quali mogli e concubine dei maharaja.





Ancora oggi, con l’abolizione del Sati dal 1829, a Jhunjhunu, al tempio di Rani Sati, si venera una donna che si immolò nella sati.



-          A questo punto, gente, che ascoltate questa mia nenia,  è ora che vi racconti chi, nel presente, e come me, viene girando il mondo a stanare le ingiustizie e le schiavitù, a lottare per narrar di altre donne: recluse, emarginate, punite.
E’ donna piccola, Mahasweta Devi, ma ottantanni di immenso coraggio. Decisa canta con il mio mestiere le sue parole, raccolte in molte lingue e in molti dialetti, escluse dalla storia, ma che sono la storia, e nella storia le rilancia con la sola abilità di stravolgere il prevedibile, di essere ‘intoccabile’ pur appartenendo all‘alta casta; instancabile a stanare, testimoniare, oralmente tramandare, ed infine comporre destini di soprusi, miserie, crudeltà, tirannie, sfruttamento, annientamento, dolore, assurdità legati al rigido assetto sociale; decisa a ribaltare la storia per restituire la dignità, quella vera, quella non scritta, ma solo vissuta e da lei raccontata in ogni angolo e in ogni dove.-




We cannot expect miracles  by Paolo Guglielmo Sulpasso





"Trilogia del seno" e "Invisibili"  by  Ribelle Web




segue clikkando ............Qualcuno canta a Chittor

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