“simile alla nuvola estiva che naviga libera nel cielo azzurro da un orizzonte all’altro, portata dal soffio dell’atmosfera, così il pellegrino si abbandona al soffio della vita più vasta, che lo conduce al di là dei più
lontani orizzonti, verso una meta che è già in lui, ma ancora celata alla sua vista.”
(Lama Anagarika Govinda, Le Chemin des nuages blancs)

Corsi e ricorsi di storie montanare

Il secondo ramo - calpestando la terra
Racconti montanari


 Corsi e ricorsi di storie montanare

14 Ottobre 2006 - Gruppo della Maiella - Dalla Maielletta a Fara S. Martino per il Sentiero dell'Aeroplano, Le Carrozze, la Valle del Forcone, ColleBandiera -                    Gita Escursionistica



Una piuma nera si aggiunge alla mia collezione, già colorita da quelle del falco e della ghiandaia. La raccolgo lungo la prima delle 4 risalite di una giornata vocata alla discesa, nell’ambiente straordinariamente panoramico della Maiella.

E la giornata ancora deve volgere al sole pieno quando il mio sguardo individua centinaia di pietre, grandi e piccole, aguzze, arrotondate, polverose, solcate e tormentate nel rilievo da particolari disegni, che la fantasia vuole associare a reperti fossili. Ogni pietra di queste recita la storia del suo esistere, ed antiche o recenti, sicuramente sono state testimoni della mia prima escursione in quella parte di ambiente naturalmente grandioso che si sviluppa alle pendici delle Murelle.

Correva il 25 giugno dell’ormai lontanissimo 1995 nel momento in cui, con una folta compagnia, tra cui Stefano e Bruno, si affrontava il lungo traverso che da sopra la Grotta del Cavone si snoda fino alle pendici dell’anfiteatro delle Murelle, issato sopra il quale si consumava la scissione con una parte del gruppo; eppure il destino della vissuta giornata ha voluto che non portassimo a termine l’attraente Sentiero dell’aeroplano, respinti allora dall’ancora tanta neve presente su quei pendii.

Stefano ed io abbiamo atteso ben quattro anni, prima di approfittare dell’ottima occasione di riaffrontarlo con Carlo, amico di data e di ‘selvaggio’. Anche quella giornata, come la presente, fu all’insegna della bellezza, tanto da rimanere stampigliata vividamente nei miei ed altrui ricordi.

Ma per cogliere appieno il gusto di questa nostra ultima lunghissima impresa, ho ancora da collegare il primo terzo del cammino con gli altri due terzi: la memoria sicuramente mi inganna, ma il mio diario no, ed eccoci al secondo terzo di storia, a discendere la traccia che dalla Sella de ‘le Carrozze’, sopra il Vallone dell’Inferno, giunge fino alla Grotta dei Callarelli, stavolta in compagnia esclusiva di Bruno, Stefano e del mio tendine appena frastagliato, nel novembre del 2000. Probabilmente è stato il dolore a farmi ricordare solo a tratti l’incantevolezza del luogo, forse troppo offuscato anche dalla giornata uggiosa.

Ma sicuramente il cielo era limpido e terso nel luglio del 1998, quando, in compagnia ancora del duetto ma anche di Benni, Angelo ed altri, affrontavamo in due giorni la Cima dell’Acquaviva, partendo da Fara S. Martino, dormendo all’addiaccio sopra le Grotte, il nostro ultimo terzo, per risalire lo splendido Vallone dell’Acquaviva.

Chi è riuscito a congiungere i tre terzi di questa nostra interminabile, splendida ed incantata giornata, ha scoperto che il filo si tende dal rifugio Pomilio a Fara S. Martino, intrecciando lungamente le pendici di diversi monti e valloni della Maiella, sotto lo sguardo incuriosito di numerosi ed agili abitanti: gli scattanti camosci che ci hanno inseguito nel sospeso Sentiero dell’Aeroplano, dove guglie e pinnacoli fanno da contorno a vertiginose precipitazioni nei valloni sottostanti.

Qui, Stefano anela il suo coltello, Fedora il suo ferro, Bruno la sua stabilità; Carlo ed Angelo arrivano ad innalzarsi più su dei pinnacoli, Flavia e Giorgio a trovare la tranquillità e le forze inghiottendo quegli sconosciuti panorami. Stefano Fr., Alessandro ed io a goderci la giornata.

Ma altri due partecipanti scenderanno entusiasti, paralleli a noi, ma su due ruote, laddove neanche noi montanari osiamo immaginarlo: Lorenzo ed il suo compagno di ruota ‘Er Pomata’ (Stefano), lanciati dapprima in salita fino alla Cima dell’ Acquaviva, e poi giù per il suo splendido Vallone, a rincorrerci pedalando fino a Fara. “Anna, siamo un pò in ritardo, perchè........ma tu l’hai fatto? questo vallone è di una bellezza devastante!!”. Cip e Ciop ride divertita, ben consapevole  che altre parole non servono a descrivere l’eccitazione di una giornata straordinaria, neanche quando la fatica annebbia il cervello e la nebbia cancella la strada.

Nella Valle del Forcone abbiamo appena lasciato decine di veloci camosci intenti a giocare e disegnare sulla neve la loro esuberanza; di fronte a noi contempliamo la discesa di numerose valanghe che hanno trascinato, annientato, divelto e piegato il verde pino mugo, fino a farlo statuare e, ormai secco, rivestire i fianchi del Vallone; stretti precipizi di roccia e verde si insinuano e spalancano baratri sotto il nostro cammino, elevandosi sopra il torrente oggi privo di acqua, ma ugualmente splendido con le sue felci, il muschio ed il verde capelvenere; ghiaie ora piccole, ora più consistenti rendono faticosa la risalita di Paolo, ultimo pellegrino della nostra compagnia, che ha ricucito in salita il lungo tratto terminale della nostra gita in discesa.

E con lui, l’incanto dei contrasti, la maestosità delle alte pareti, i mille colori caldi dell’autunno, le fresche e gelate acque delle sorgenti della Val Serviera, le sfinenti risalite, le piaghe, le sofferenti ginocchia, la pioggia, l’indecisione di Bruno, la fermezza di Carlo, la fatica, la stanchezza, il silenzio, le grotte, gli anfratti, il bosco, la discesa e di nuovo la risalita “ma quanto manca?”..” Mille metri”....”Ma sempre mille?”, la fonte, le risate, la pioggia, il pastore e le leggende, i cani.

Ancora acqua,.......la strada.

Ed uniti anche alle due + due ruote cerchiamo di porre un degno punto croce alla nostra fatica, riuscendo infine, tutti insieme, a brindare alla favolosa giornata, nel cuore della notte, con lo stesso cuore in mano, lo sguardo annebbiato ed il bicchiere tra le dita.

Così mescolando calore e ricordi, presente e passato, s’intesse il ricamo della nostra storia montanara, 
cucito per voi con affetto dall’ago

della vostra Derspina

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