“simile alla nuvola estiva che naviga libera nel cielo azzurro da un orizzonte all’altro, portata dal soffio dell’atmosfera, così il pellegrino si abbandona al soffio della vita più vasta, che lo conduce al di là dei più
lontani orizzonti, verso una meta che è già in lui, ma ancora celata alla sua vista.”
(Lama Anagarika Govinda, Le Chemin des nuages blancs)

Iran: Dialoghi

TRA IDIOMA E SOCIETA’....

<<Questo paese non è fatto di individui deboli e inermi che aspettano che noi (gli Usa, gli esuli iraniani che non hanno più il polso di questa società, il mondo occidentale o qualsiasi altra entità o nazione che avanza tali protettive intenzioni) arriviamo a liberarli e li conduciamo sulla retta via.

Questo è un paese in movimento, che lentamente va evolvendosi e definendosi, venticinque anni dopo la sua Rivoluzione. Non ci sono linee di demarcazione nette nell’Islam, nella cultura, nella tradizione, non c’è un ‘giusto’ e uno ‘sbagliato’: è una società complessa, dove gli esseri umani abitano e vivono. Sta diventando sempre più difficile far passare questo semplice concetto, quando i media occidentali raffigurano il Medio Oriente o il mondo islamico (come se esistessero entità così omogenee) come regioni prive di umanità e normalità.>>
 (Narghes Bajoghli, reporter iraniana, vissuta in parte negli USA)


Dialoghi


<<Anna, scusa, è giusto dire in italiano...??>>,
La lezione di italiano a Mehran iniziava quotidianamente così, con le sue domande precise e le mie risposte spaziali, poiché tanta era la voglia di far conoscere la nostra lingua e di avere uno scambio di idee con chi come lui vive in questo Paese, ancora a noi occidentali per molti aspetti sconosciuto.

Il risultato è stato una costante altalena di dialoghi, espressioni, modi di dire, convinzioni, discussioni in italiano frammisto al farsi, di iraniano mescolato alla lirica; il nostro nazionale idioma farcito di grammatica, il suo linguaggio corrente immerso nella poesia. La correzione di una lettera d’amore ha coronato questo aulico scambio comunicativo, convincendoci entrambi che “tutto il mondo è paese”!

Come siamo finiti, poi, a parlare de “La civetta cieca”, racconto di un poeta narratore [1] “maledetto” e quasi esistenzialista, lo sa solo il nostro dar corpo alla voce del pensiero guardando scorrere il variegato panorama e le bellezze artistiche, alternando brani e leggende con squarci di Storia, interrogando il profondo dell’anima con quanto di religioso e mistico ha il quotidiano vivere iraniano.

E di riflessione in linguaggio, abbiamo scoperto centinaia di anni di storia e cultura, e coperto migliaia chilometri.

Ma lingua e farsi iniziano a mescolarsi già nei bazar, ascoltando con piacere un marito che suggerisce alla moglie poche parole inglesi per venire a conoscerci;

continua subito dopo con la risposta scanzonata e dispettosa di una ragazza, visibilmente scossa per la perdita di un parente, al fratello che la rimprovera di volerci regalare il pane, per lei occasione di conoscenza con noi - scena questa che si è lasciata immagazzinare nella mia mente come piacevole ricordo di un pomeriggio in libertà -.


E ad Isfahan, ancora rammaricata per aver ascoltato parole di sconforto sulla vita mal vissuta del venditore di pennelli, che non vuole vivere in questo Iran, continuo a mortificarmi per non avergli stretto quella mano da me spontaneamente offerta e subito dopo velocemente ritirata: sento ancora il suo amareggiato ed interrogativo sguardo che mi segue mentre esco dal negozio.


Ma sono altre le espressioni che compensano quel disagio interlocutorio: l’innocente spalancare gli occhi di un neonato in braccio a una bambina, ed il suo successivo sorriso corrisposto al mio nel bazar di Kerman; la curiosità tutta infantile di Setafhe sul mio nome all’aeroporto di Shiraz;





l’esibizione fiera ed involontaria di un fabbro, subito seguita dalla storia di un vecchio  lì presente, tanto amabile ed espressivo, dolce e gentile quanto assolutamente incomprensibile; il mio continuo ed incessante contrattare con i negozianti per il solo gusto di stabilire  e vivere quel punto di contatto che illumina entrambi: la mia memoria segna come storti gli occhiali sul volto del venditore, ma dritto arriva all’animo, e vivido, il suo soddisfatto sorriso!


Ed il muto dialogo contagia.
Mentre cerchiamo pace nel nostro girovagare, una anziana signora invita Elena a parlare con lei, e come tutte le persone di una certa età che si rispettino le racconta i suoi mali, non ultimi i suoi indecifrabili dolori articolari: il tutto termina con grande solidarietà e sorrisi, di quelli che sfuggono alla Storia ma rimangono nel cuore.


E ancora, per strada, chi non sa parlare ad un folto gruppo di indiscutibili turisti come noi, ma lo vuole, si aggrappa alle conosciute ed internazionali occasioni: i nomi dei calciatori italiani e stranieri sono sciorinati solo per la gioia e la fierezza di aver dialogato con noi, e... noi con loro.

Ma il culmine è raggiunto dalla ritardata infanzia di Giulia e Dario, che tra una giostra e l’altra, una partita a calcio coi bimbi e uno sguardo fuggevole al passato, intrattengono svariati minuti e parole con tutta la gioventù iraniana. I temi affrontati, però, sono per noi, vissuti del gruppo, ancora un mistero!

E agli sguardi e al linguaggio seguono i gesti, quell’idioma internazionale che fa intendere centinaia di popolazioni, etnie, civiltà: vederci offrire frutta, sorrisi e alimenti, dolci o salati, solo a sentirci parlare; ricercare in una foto insieme, italiani e iraniani, l’orgoglio di condividere con l’occidente la loro essenza del tradizionale; quello scambiare pane, farsi e inglesi frasi a Kandovan con la sorella di un immancabile fratello; o l’invito a visitare l’ abitazione antica di una donna iraniana vissuta a Torino e tornata a vivere le contraddizioni dei due mondi nel suo Paese.

Il colmo è superato nella buia Teheran, quando M.E. chiede entusiasta ad un gruppetto di vigili di illustrarci la via,  - chi meglio di loro? - e loro, dopo lungo parlottare e decidere insieme, si sono rivolti ad un passante, che in perfetto inglese ci ha così edotto:” Can I help you?”. E noi, con celata ilarità, ci siamo lasciate pazientemente erudire!!


Ma non è ironia quella che suscita il ruhani incontrato: in un'ora e mezza di scambi espressivi, le parole della conoscenza più profonda della Sunna mal si legano con i concetti di libertà e diritto concessi a una popolazione troppo schiva e schiava dello scheletro nel cassetto, demonizzato sotto forma di americanizzazione o influenza occidentale. Ancora rimbomba nella sala dell’udienza - esposta in perfetto italiano da chi ha origini e vita miste -  la negazione del peggior crimine perpetrato nei confronti del popolo ebraico, attraverso parole d’ odio verso la nazione che descrive la Palestina ‘Terra senza popolo, per un popolo senza terra’, quest’ultima soffocata nei più elementari diritti civili. Frasi che risuonano come eco della somma  autorità religiosa iraniana oggi scomparsa e del suo attuale governatore : <<Qualsiasi Paese islamico che riconosce Israele, commette un crimine imperdonabile e dovrà affrontare l'intera comunità islamica”, “Israele dev'essere cancellata dalle carte geografiche >>, questo scandisce il mullah, suscitando irruente reazioni scaturite dalle nostre inorridite menti.

E l’acceso scambio d’idee continua, stavolta tutto in casa italiana, tra le convinte e sostenute tesi di G. e lo svizzero M., che supporta deciso contrarie scelte politiche italiane, seppure a ragion tacendo con il suo inseparabile compagno di stanza, di fermissime idee contrapposte, condividendone appieno solo l’anticipata quotidiana levataccia!

Malgrado l’individuale curiosità di ciascuno di noi nei confronti di questo sconosciuto Paese, tra una lezione e l’altra, il silenzio ha sovrastato per gran parte degli spostamenti e non per una qualche incomprensione di linguaggio, ma semplicemente perché il gusto stava assaporando tutte le squisite bontà dolci e salate, in forma di amaretti, pistacchi, banane, yogurth, caprino, miele, uvetta e dolciumi di tutti i tipi, prodotti dalla saporita terra.

....E chiamatemelo IDIOMA!....



[1] [Sadegh Hedayat, autore de “La civetta cieca” e “Tre gocce di sangue” non racconta gli innamorati e le loro disavventure, gli intrighi della corte, le gesta eroiche, neppure favole o storie edificanti, bensì il male di vivere in un paese antico che deve fare i conti con la modernità, con il capitalismo che bussa alle sue porte e con una nascente borghesia ancora priva di identità e culturalmente incerta. È stato un testimone sincero del passaggio incompiuto e doloroso dell’Iran dalle tradizioni feudali all’era moderna....Il suo stile è uno strumento per raccontare i suoi sentimenti. Ciò che pensa lo trasferisce direttamente sulla pagina: non sceglie le parole e non cura la bellezza della composizione”. (Bijan Zarmandili, gennaio 2006)]


segue con :Iran - il peso del Velo

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