Maghi, Arcangeli e Streghe: il suono del silenzio.
Gran parte del lavoro delle streghe e dei maghi è "MAGIA RITUALE", in cui il potere viene concentrato e indirizzato mediante riti o cerimonie, che possono essere brevi e semplici per piccoli incantesimi, ma lunghi e complessi per altri scopi forse più ambiziosi... La maggior parte dei riti è una combinazione di diversi elementi, fra cui ripetizione di parole o suoni speciali,...
Gli Arcangeli…(…)....lavorano sull'essere umano ad un livello più sottile. Ci aiutano a sviluppare la funzione mentale, ad avere la capacità di discernere tra il bene ed il male, tra il vero ed il falso. Gli Arcangeli ci possono aiutare anche a comunicare, fattore questo molto importante nell'evoluzione dell'essere umano.L’arcangelo …..(..). E' l'ispiratore degli artisti, colui che fa risuonare alle orecchie degli uomini più sensibili l'armonia delle sfere perchè venga riscritta sotto forma di musica da ascoltare attraverso gli strumenti del pianeta Terra. (da www.bethelux.it)
Le miofibrille dei miei muscoli urlano a gran voce la loro presenza, richiamando dolorosamente la mia attenzione, e lasciando a me sola l’ingrato compito di attutirne la compagnia.
Anche se altruista non mi lascio commuovere, ormai sono in ballo a 50 metri dalla cima, e raggiungere l’arcangelo, il mago e le altre streghe è un incantesimo che mi posso permettere anche con la sofferenza che respinge il movimento.
L’inizio è stato il buio della grande città, muovendoci al chiarore del primo mattino, a rinfrescare alla memoria il volto appena conosciuto di GiovanniB., il primo arcangelo dell’Ultima Strega, e a ritrovare quelli affettuosi del mago Casmau e delle altre streghe, la Strega Maestra e l’Apprendista.
La giornata è tersa, troppo, per non lasciarci convincere a salire direttamente verso il punto più alto del Murolungo, laddove lo sguardo dominerà incontrastato le cime che spaziano dal Terminillo alla Maiella, dal Parco Nazionale al Terminillo, in un caleidoscopico volteggiare a 360° di cime, versanti, regioni, nuvole, e…ometti!
Salgo concentrata nel tratto più spettacolare di quella gola incassata, ascoltando l’illimitato silenzio delle parole mute: non un cinguettìo, non un fruscio attira la mia attenzione, ma un roboante rincorrersi di rumori afoni, rapidi e così fulminei da non riuscire ad essere catturati dal labirinto umano.
E per riempire il vuoto, i miei neuroni lasciano riaffiorare le tacite parole di una farfalla che oggi vola per sempre intorno al Dhaulagiri, quelle di Chantal Mauduit, nella sua “ scrittura del vuoto. "
Le catene legano le mani alla roccia, e la roccia imprigiona gli occhi dell’arcangelo, trasmettendo così la potenza della sua trasformazione, ora solida e compatta, già friabile e sbriciolosa, disseminandola oltremodo e ovunque in quel baratro cupo e chiuso, dove solo il letto di foglie ne attutisce l’asprezza.
Il mago ha lasciato libere di volare le sue streghe, ed è alle prese con la consueta magia rituale, catturando con la sua bacchetta l’attimo di luce e splendore dell’aria.
E finalmente lo sento, bussa da lontano lui, lo scampanellìo del vento, il richiamo invisibile delle molecole addiacciate, la patina gelata che ricopre ogni singola vena o sottile strato erbaceo delle figlie di quegli esseri decennali.
Il tintinnìo leggero dello strofinarsi delle foglie, l’una contro l’altra, è la loro risposta per impedire alla tepida brezza il passaggio, a garantirsi ancora per un attimo lo stillicidio dell’ormai esaurito fluire della sostanza vitale, quel liquido che ancora lega il picciolo al materno fusto: sventolanti e attorcigliate su loro stesse negano al calore dei raggi lo sciogliere inesorabile di quel sottile filo esistenziale.
Un concerto di suoni argentei, che colmano il silenzio e lo vestono, rendendolo regale allo sguardo, mescolando ad esso il variopinto succedersi di tutte le tonalità dei caldi colori autunnali: platani, aceri, olmi lasciano che il loro giallo, ocra, verde si distingua nell’uniforme marrone delle foglie, ormai a terra, del faggio.
Un quadro d’autore che lascia spazio al verde ormai sbiadito dei pascoli delle Capannie e all’alternarsi delle tonalità dal bianco al grigio della roccia sovrastante.
La prima pozione magica è offerta e accettata ai tenui raggi del sole, favorendo la crescita del cuore e l’energia necessaria per colmare gli spazi aerei: il sofferente cammino culmina lassù, nella beltà del vuoto sopra la testa.
Chiacchiere di streghe e maghi, ispirazione di arcangeli, calore del sole e strani strumenti accompagnano lo sguardo della decina di occhi alla conoscenza dei luoghi: magnifici anfiteatri ci invitano nelle loro ammalianti semicirconferenze; ripidi canaloni circuiscono l’arcangelo, non riuscendo però a svelargli apertamente il segreto della loro immensa potenza nell’abito invernale: lui dovrà attendere il passaggio nella valle sottostante per capirne la forza e la spietata violenza.
Tra avvallamenti e scollinamenti, radici, foglie ed invitanti inghiottitoi ghiaiosi e scoscesi, ci si immerge nel Malopasso, affiancando per tutta la sua scricchiolante calata il muto grido di una ormai riposata valanga, i cui stanchi resti resteranno per lungo tempo a memore ricordo d’incontrastata e prepotente autorità.
Di nuovo formule sussurrate dalle Streghe a riempire gli spazi vuoti del silenzio, e ancora gli arcangeli occhi a cercare un passaggio in quelle verticali pareti, dove solo gli alti fusti possono avere la gloria di ergersi tra una pietra e l’altra.
Ed infine, i magici corpi si rifocillano attuando il piano del suo Presidente, secondo solo a se stesso: accolti dalla umana e unica bontà d’animo di Angela, dai ricordi clericali ancora vivi di un’ottantenne Costanza e…da un’impervia scalata su un piatto fumante si ricostituiscono le riserve per le prossime stregonerie.
Ed il saluto di commiato delle Streghe, dove? se non in quel luogo che lascia in pace anime e santi, maghi e arcangeli, a festeggiare appieno la loro festa, nella notte di quasi luna piena, dove solo i lumini segnano la via al nuovo anno e lasciano spazio alla magia…nera.
By Derspina, l’Ultima strega
1/11/2009 – Cima del Murolungo dalla Val di Fua e Direttissima – Discesa per il Malopasso e Val di Teve.
Le Streghe passano attraverso il Murolungo
(di Maurizio Casalini)
Gli occhi della Duchessa (di Giovanni Busato)
Fossi un gufo volerei in Val di Teve.
Su, su fino al Malopasso, oltre il quale il Lago della Duchessa è intrappolato
tra gli avvallamenti di un altopiano tormentato, dimenticato là dall’antico ghiacciaio
che dai circhi sommitali si aprì, devastante, la strada verso il mare.
E’ verde scuro di acque calpestate, il lago;
come gli occhi di Costanza che io so, essere stata Duchessa
di queste terre bellissime e del suo Velino,
che si erge sopra il Borgo con le sue linee perfette che sfumano nel cielo.
Il gufo vola basso sui faggi centenari,
luoghi di gnomi, folletti e streghe danzanti,
tra pareti di calcare cangiante che incombono sul bosco che dirada
verso l’alto in ripidi pascoli e instabili ghiaioni fino nel cielo dei grifoni.
Fuori dal bosco vibra la magia dell’Appennino; in basso la pianura,
i paesi, a volte il mare.
Non è più andare in montagna partendo dalla montagna dove già vivi,
è abbandonare di colpo un mondo che va dritto per la sua strada,
e ha il viso assonnato ed indifferente della gente seduta sui tram
che passano per Roma alle sei del mattino,
quando i sampietrini luccicano di umidità, alla luce gialla dei lampioni
ancora accesi anche a Campo, dove Mario scarica, per l’ennesima volta,
le sue casse di frutta.
Si parte dal piano, magari dal mare per trovarsi improvvisamente
in una terra di mezzo; terra rassicurante, amica,
come il sorriso caldo delle streghe che incroci
ad ogni loro sguardo distolto rapido ai frequenti crocicchi,
fonti di arcane formule.
Il grifone vola altrove oggi.
Come i nostri pensieri che corrono tra le mille cose che vorresti dire
e che poi rimangono là, non dette, assieme a mille abbracci, non dati.
Montagne di un giorno,
perché la sera giunge troppo svelta che già ti saluti:
“all’anno prossimo, magari prima,.. chissà”
E una dolcissima sensazione di pura amicizia ti pervade mentre volti le spalle
a queste terre di Mezzo e ti immergi,
zaino in spalla, di nuovo tra la folla che sciama indaffarata.
Ed è di nuovo notte, allegra, colorata, calma come un mare in bonaccia
dalla superficie luminescente;
berrei volentieri un bicchiere di vino rosso Maurizio,
ancora uno, tra noi con le nostre splendide streghe,
ma sarà per un’altra volta, verrà altro tempo.
Su, su fino al Malopasso, oltre il quale il Lago della Duchessa è intrappolato
tra gli avvallamenti di un altopiano tormentato, dimenticato là dall’antico ghiacciaio
che dai circhi sommitali si aprì, devastante, la strada verso il mare.
E’ verde scuro di acque calpestate, il lago;
come gli occhi di Costanza che io so, essere stata Duchessa
di queste terre bellissime e del suo Velino,
che si erge sopra il Borgo con le sue linee perfette che sfumano nel cielo.
Il gufo vola basso sui faggi centenari,
luoghi di gnomi, folletti e streghe danzanti,
tra pareti di calcare cangiante che incombono sul bosco che dirada
verso l’alto in ripidi pascoli e instabili ghiaioni fino nel cielo dei grifoni.
Fuori dal bosco vibra la magia dell’Appennino; in basso la pianura,
i paesi, a volte il mare.
Non è più andare in montagna partendo dalla montagna dove già vivi,
è abbandonare di colpo un mondo che va dritto per la sua strada,
e ha il viso assonnato ed indifferente della gente seduta sui tram
che passano per Roma alle sei del mattino,
quando i sampietrini luccicano di umidità, alla luce gialla dei lampioni
ancora accesi anche a Campo, dove Mario scarica, per l’ennesima volta,
le sue casse di frutta.
Si parte dal piano, magari dal mare per trovarsi improvvisamente
in una terra di mezzo; terra rassicurante, amica,
come il sorriso caldo delle streghe che incroci
ad ogni loro sguardo distolto rapido ai frequenti crocicchi,
fonti di arcane formule.
Il grifone vola altrove oggi.
Come i nostri pensieri che corrono tra le mille cose che vorresti dire
e che poi rimangono là, non dette, assieme a mille abbracci, non dati.
Montagne di un giorno,
perché la sera giunge troppo svelta che già ti saluti:
“all’anno prossimo, magari prima,.. chissà”
E una dolcissima sensazione di pura amicizia ti pervade mentre volti le spalle
a queste terre di Mezzo e ti immergi,
zaino in spalla, di nuovo tra la folla che sciama indaffarata.
Ed è di nuovo notte, allegra, colorata, calma come un mare in bonaccia
dalla superficie luminescente;
berrei volentieri un bicchiere di vino rosso Maurizio,
ancora uno, tra noi con le nostre splendide streghe,
ma sarà per un’altra volta, verrà altro tempo.
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