Tutto YEMEN
Il mio viaggio in Yemen è iniziato con l’assegnazione o la conquista del posto in macchina.
Chi come Antonio soffre l’auto, è costretto a viaggiare con essa guardando il mondo in una sola direzione avanti a sè; chi come Stefano è fortunato e vede il mondo prima di tutti, perchè è alto più centimetri degli altri, è quindi destinato al posto d’onore, a fianco del guidatore; chi, come me, ha una atavica paura del mezzo e di chi lo guida è costretto a scegliere il meglio del peggio, cioè un magnifico predellino in terza fila con lo sguardo rivolto a quel mondo circostante che mai si osserva: le spalle!
Forse sono fortunata, perchè questo mondo non è mai descritto, si guarda sempre avanti e poco alle spalle, molto al futuro e poco al passato.
Chi come Antonio soffre l’auto, è costretto a viaggiare con essa guardando il mondo in una sola direzione avanti a sè; chi come Stefano è fortunato e vede il mondo prima di tutti, perchè è alto più centimetri degli altri, è quindi destinato al posto d’onore, a fianco del guidatore; chi, come me, ha una atavica paura del mezzo e di chi lo guida è costretto a scegliere il meglio del peggio, cioè un magnifico predellino in terza fila con lo sguardo rivolto a quel mondo circostante che mai si osserva: le spalle!
Forse sono fortunata, perchè questo mondo non è mai descritto, si guarda sempre avanti e poco alle spalle, molto al futuro e poco al passato.
Ma il paese visitato è immerso in un passato il cui futuro va a rilento, seppur con la frenesia dei suoi personaggi e l’accelerazione della tecnologia.
Un paese in cui il tempo è fermo all’era degli spaccapietra e delle semine a mano, della mola con il dromedario e dei dossi al posto dei cartelli; un paese che vuole un’antenna su ogni collina, dove le colline sono infinite, e per questo anche nel deserto non ti senti mai solo.
Nel mio mondo di spalla guardavo la macchina che ci seguiva e mi divertivo a parlare quel linguaggio muto che solo i pesci sanno fare, e per questo motivo alla fine della prima giornata i miei compagni di viaggio già mi avevano appellato ‘Anna nell’ acquario’.
Col senno di poi questo appellativo mi piace: le sensazioni sono mute, e lo sguardo del mondo alle spalle permette di catturare con maggior dettaglio l’esperienza, i chilometri, i panorami.
E dal mio essere un pesce fuor d’acqua in un paese straniero, sconosciuto e da scoprire, ho elaborato mille volte queste storie: smontate, riscritte, pensate, riadattate, appuntate, sconclusionate, ma sicuramente vissute, fino a farle diventare “storie di un pesce nell’ acquario”.
Nel mio mondo di spalla guardavo la macchina che ci seguiva e mi divertivo a parlare quel linguaggio muto che solo i pesci sanno fare, e per questo motivo alla fine della prima giornata i miei compagni di viaggio già mi avevano appellato ‘Anna nell’ acquario’.
Col senno di poi questo appellativo mi piace: le sensazioni sono mute, e lo sguardo del mondo alle spalle permette di catturare con maggior dettaglio l’esperienza, i chilometri, i panorami.
E dal mio essere un pesce fuor d’acqua in un paese straniero, sconosciuto e da scoprire, ho elaborato mille volte queste storie: smontate, riscritte, pensate, riadattate, appuntate, sconclusionate, ma sicuramente vissute, fino a farle diventare “storie di un pesce nell’ acquario”.
Buona lettura! (ottimizzala a 125%)
By Derspina
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