“simile alla nuvola estiva che naviga libera nel cielo azzurro da un orizzonte all’altro, portata dal soffio dell’atmosfera, così il pellegrino si abbandona al soffio della vita più vasta, che lo conduce al di là dei più
lontani orizzonti, verso una meta che è già in lui, ma ancora celata alla sua vista.”
(Lama Anagarika Govinda, Le Chemin des nuages blancs)

La Via dell'Acqua - Profondità

Burkina Faso - BENIN


L’AFRICA DEL BIANCO E DEL NERO



LA VIA DELL’ACQUA


Profondità


Ma sono ancora una volta le donne protagoniste detentrici del trasparente tesoro: alle umide profondità scavate con i primitivi utensili giungono cariche di taniche gialle, lasciando filtrare acqua e sabbia nei colorati recipienti, sotto lo sguardo sbalordito di ciascuno di noi che di quelle regali perle vediamo solo l’opacità del fondo oscuro.



Affiancati lenzuoli di terra, 2 metrix4 - tanto sono grandi -, ripuliti per coltivare l’essenza della vita con il dolore dei muscoli e della fatica, generata dal frutto dell’amicizia della solidarietà internazionale: orti irrigati e curati a mano, schiene piegate e sformate dall’esercizio forzato e dalle necessità familiari, per far crescere un pugno di verde e sfamare i propri piccoli.


Questo difendono con tenacia e rabbia.


E lungo la strada verso il più vasto oceano, ancora acqua affoga le reti di solitari pescatori: canne e melma per avanzare la vita, giochi di bimbi in riva al fiume, a rendere evanescente il caldo evaporato.
               


Un pomeriggio in libertà alle cascate di Kota ci ridona le energie nell’acqua cristallina, fresca quanto basta a ritemprare il corpo e la mente, donando allegria anche a chi il coraggio di bagnarsi non ce l’ha!



Al villaggio taneka, Maurice è fiero di illustrarci la struttura dei pozzi, regalo unico dell’amico Aime, salvezza di vita e della schiena delle donne: girare una coclea tirando su gocce preziose restituisce tempo e felicità alla loro stanchezza quotidiana.





Teli bloccati su lunghi pali di legno, svolazzanti alle brezze lacustri, anticipano la vita di Ganviè, villaggio a palafitta sorto sulle acque non proprio profonde del Lac Nokouè.







In un pomeriggio umido e afoso ci ritroviamo proiettati tra cesti da pesce abbandonati, lunghe piroghe galleggianti, ed un’immensa distesa di verdeggiante vegetazione immersa nell’acqua mista a mota, interrotta solo da reti perimetrali, quest’ultime ancorate a storti ma efficaci tronchi per catturare il pasto del giorno e garantire il mercato locale.


Abdou ci racconta la storia della nascita del villaggio da una fuga di schiavi, ma mentre parla questa è già confusa con la fantasia: narrazione leggendaria che si riscrive e vive diversamente per ciascuno straniero uditore. E così, oltre al lento rimestìo dell’acqua sui fianchi dell’instabile imbarcazione, le parole accompagnano i gesti mentre si svuota la piroga da quel liquido inestimabile che involontariamente cerca di riappropriarsi del suo spazio.


Ed eccola Ganviè:



 la luce ovattata del pomeriggio avanzato risalta in lontananza gli scheletri di grandi e vuote palafitte senza muri esterni; nelle abitazioni chiuse, scuri quadrati aperti simili a bocche spalancate aspettano di essere serrati per poter preservare l’intimità casalinga; svettanti tetti in lamiera sorretti da longilinei pali lasciano scoperti i loro confini inferiori per aprirsi alla socialità, unico luogo di incontro degli abitanti per condividere le attività quotidiane.



Ma il vero mercato di scambio appartiene all’acqua: cariche piroghe di ogni bene - umano, animale o vegetale – fan vendere la sussistenza su quei barconi galleggianti, dove il pelo dell’acqua, muovendosi costantemente, evidenzia la loro fragile stabilità.













Curioso e affascinante l’incontro con l’infanzia di una stessa famiglia: su quella originale piroga comanda un unico e solo pezzo di stoffa, che copre indistinguibilmente gli esili e ridanciani corpi del trio, diversificati solo da stravaganti occhiali gialli, simbolo di dominanza, schiettezza ed allegria.







Le luci del tramonto, riflesse sulle delicate increspature d’onda regalano gioia, competizione e spiccato romanticismo: 






Tu sogni e guardi lontano, vedi un gran fiume che scorre pian piano, che scorre pian piano. Sul fiume c’è una piroga e dentro a questa c’è un negro che voga, un negro che voga ”, è il lontano richiamo musicale di un’infanzia vissuta a sognare “il cielo pieno di stelle”, mentre lento un  aranciato sole si perde nell’acqua al ritmo dell’agile ombra della vogata.




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