“simile alla nuvola estiva che naviga libera nel cielo azzurro da un orizzonte all’altro, portata dal soffio dell’atmosfera, così il pellegrino si abbandona al soffio della vita più vasta, che lo conduce al di là dei più
lontani orizzonti, verso una meta che è già in lui, ma ancora celata alla sua vista.”
(Lama Anagarika Govinda, Le Chemin des nuages blancs)

Africa di Pietra - Mani nell'Arte


L'Africa di Pietra:mani nell'Arte



Un’elevata torre di granito sostiene scene quotidiane di vita africana: il lavoro dei campi, gli attimi di svago, la preparazione dei pasti, gli scambi culturali delle tradizioni, fino ad illustrare su quello sfondo bronzeo la sua evoluzione nella moderna società telematica.





Scontro di culture o crescita sociale? Contraddizioni o coesistenze?


Sotto il sole cocente delle tre pomeridiane il nostro sguardo è fortemente annebbiato: tutti quei chilometri per vedere questa alta lastra di pietra !


La situazione ci lascia un po’ perplessi. L’ombra è invitante per molti, ma restare fermi a Paolo e me proprio non va, e gironzolando qua e là, ci rapportiamo con le prime sculture, ben posizionate nel giardino naturale.


        

I primi commenti, si prosegue, e poi ognuno di noi si perde in quello che si rivelerà un  labirinto di pietra, rami, sterpaglia e paglie. 





Ogni tanto risuona un’esclamazione stupita, un richiamo alla bellezza, un’esortazione a contemplare lo stupefacente museo all’aria aperta che si va mano a mano delineando.




Sculture che parlano il linguaggio dell’Africa con l’arte delle mani, la fermezza delle linee, la precisione delle rotondità, il mimetismo con l’ambiente, l’essere ambiente, essere immobile per venir comunque trasportato in questo sviluppare e rappresentare la beltà, quasi la perfezione, l’espressione della sostanza in un cuore di pietra, e di quella più dura. 







A voler prediligere il futuro piuttosto che il passato, a sovrapporre i pezzi, e riunirne gli spezzati.







Ed eccola la sua firma: un lungo tubolare di bianco granito abbozza appena appena i caratteri di un viso, inconfondibile la mano. Siriki Ky è lo scultore locale e l’organizzatore, insieme alle istituzioni del luogo, dei Simposium internazionali che si tengono a Laongo nel corso degli anni, e che accrescono questo parco naturale e selvaggio d’arte dove riposano opere di eterno valore.




La diversità di ciascuna di esse, incomplete, appena abbozzate, crepate, mescolate, sovrapposte, in parte occultate e molte nascoste dai rami e dagli sterpi, 





si evidenzia lentamente: una continua scoperta di quella superficie scolpita che sbrilluccica dappertutto al tocco dei raggi solari, 



che contrasta con il cielo nelle sue fenditure, 



che adagia mollemente - su quel granitico substrato - le delicatezze dei corpi, dei capi, dei mezzi busti, dei volti talvolta intagliati di simboli ancestrali, e modellati con pochi colpi di sapiente mano.








Un susseguirsi ed inseguirsi di tratti, curve, solchi, levigature, alto e bassorilievi, fantasie e realtà di immagini animali, umane, storiche, irreali.





Il terreno e l’etereo, il reale e il simbolico, la Storia e i Miti; concetti e creatività da percorrere e assorbire, da distinguere e individuare, da compiacere con le pupille e il tatto, o con il limpido ma complicato intelletto.




Sulla strada delle forme e dell’eternità, rincorrere la rottura dei frammenti di quarzo per comprendere l’unicità di ciascuno di quei monumenti naturali, questo compiono i nostri passi calpestando il sentiero terroso.


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