“simile alla nuvola estiva che naviga libera nel cielo azzurro da un orizzonte all’altro, portata dal soffio dell’atmosfera, così il pellegrino si abbandona al soffio della vita più vasta, che lo conduce al di là dei più
lontani orizzonti, verso una meta che è già in lui, ma ancora celata alla sua vista.”
(Lama Anagarika Govinda, Le Chemin des nuages blancs)

Dancalia: pendici dell' Erta Ale

QUANDO LA TERRA SCOPRE SE STESSA



Sulle Pendici dell’ Erta Ale

Calpesto il terreno e sento scricchiolare la terra sotto i piedi.
E’ il panico totale!
Ad ogni passo sento franare il mio corpo verso un velo di ostia che si rompe e mi trascina in questa gabbia di incertezza, da dove ne esco solo pensando che ormai posso solo andare avanti.

Sono avvolta dal buio più intenso, tenebre che circondano la nostra perseveranza a ricercare la luce dell’esplosione vulcanica.

Ma nulla di tutto ciò.

Nel silenzio di questa oscurità, solo voci mescolate all’insistente fruscio del vento, indistinte, incomprensibili, ricacciate nella notte più scura. Flebili luci vicine, troppo deboli per illuminare l’intorno, proiettano il loro fascio di luce su questo magma avvoltolato, scuro, screziato, in rilievo, ormai freddo ed estremamente sottile.

Di nuovo il passo affonda verso le nere e impalpabili viscere della terra, di questa lava che è stata espulsa da anni immemorabili e che raffreddata si è stratificata nel corso del tempo: aggrovigliata, fulminata, accartocciata, inglobando dentro e sopra di sé tutto il mondo vivente circostante.

Temperatura che non permette vita, neanche un suo avvicinamento, splendida nella sua visione ma assolutamente impenetrabile.


Non è possibile accostarsi più di tanto, l’oscurità ha inghiottito il giusto cammino, la luna è nascosta nell’orizzonte delle tenebre, e la nostra volontà è scemata via via che la sfinente salita e il digiuno si sono aperti il varco, vittoriosi sul nostro corpo.



La delusione di questo mancato ricongiungimento per molti è cocente come il ribollire di quella massa liquida, fosforescente, incandescente, sprigionante vapori umidi e penetranti. Il suo colore rosso fuoco accende l’aria, facendo immaginare di mille scintille evanescenti danzare nel calore al suono dell’aria intermittente, dispettosa, troppo briosa per voler rimanere prigioniera in quella bollente e profonda ospitalità.


La Terra suda e si scopre, gela la sua pelle raggrinzendosi, ripiegandosi, accavallando i suoi morbidi e rilucenti strati in crespature che un non vedente non riconoscerebbe alla sua esplorazione, tanto creano un furioso labirinto al tatto.


E come ciechi scaliamo la tirata collina di fronte all’eruttare di quella Terra scomposta, che occulta a nostra insaputa precipizi ed inghiottimenti, voragini e ripidità, divorando il buio più completo insieme al nostro urlo nel momento dell’evidente, anche se timidamente illuminata, consapevolezza. Sono attimi di ansia e preoccupazione per una discesa incognita e priva di luce, su terreno sconnesso e scivoloso reso tale dalla sua infida consistenza: piccole particelle che mal rassodano il solido sull’erto sentiero, e quando il piede, rilassato, finalmente ritrova il piano viene improvvisamente inghiottito da quel nuovo esile ed instabile strato di lava scura.


La stanchezza si mescola al nostro arrampicare negli ultimi passi verso i ricoveri notturni; l’avvilimento del tenebroso spettacolo prende il sopravvento, che neanche i tarallucci e vino riescono a consolare, unitamente alla speranza di una cena ben ritardata.

Invano i cammellieri giungeranno oltre tempo; ormai ciascuno di noi è impegnato a scegliere il proprio affollato giaciglio, lì sotto il cielo stellato sfondo delle oscurità più nere, mai immaginando la spettacolare alba del giorno successivo.



Mentre contemplo la scura calotta riposando la stanchezza, scopro che non sono delusa, anche se il cammino per arrivare a conoscere l’intimità della Terra è stato faticoso: un’intera giornata nella tempesta di sabbia e calore, attraversamento desertico di vita inesistente, passaggio inerpicante su roccia concretizzata, aguzza, frastagliata, mista a terreno affondante.

by Giorgio
 Mani di bimbe alzate in questo spaventevole vuoto arido a ricercare il saluto di chi, fuggevole come noi, ricambia l’allegria di un sorriso nel deserto, nella solitudine, nella lontananza.




Il villaggio che ci ha ospitato per i preparativi         dell’ascensione pullula di calma africana, con gli Afar che contemplano indifferenti la nostra frenesia dall’alto delle loro rocce, al caldo della giornata che scema, unico baluardo a difesa della loro sopravvivenza.

Un sentiero notturno nasconde l’animo, lo ricopre dell’evidenza del nostro inconscio, ci fa regredire laddove vorrebbe andare e non placa la nostra fatica. Mille parole di incoraggiamento si uniscono nella catena verso lo spettacolo della scoperta della Terra, a formare con i suoi anelli giunti una solida guida all’essere, affinché tutti possano percepire e gioire di questa esplosiva rinascita terrena.


E sarà proprio il divampare del sole che illuminerà le nostre certezze su quella realtà cocente, avvoltolata, strabiliante, anche se totalmente concretizzata.

Erta Ale all’alba




Ripiegamenti lavici

 






Nessun commento:

Posta un commento