“simile alla nuvola estiva che naviga libera nel cielo azzurro da un orizzonte all’altro, portata dal soffio dell’atmosfera, così il pellegrino si abbandona al soffio della vita più vasta, che lo conduce al di là dei più
lontani orizzonti, verso una meta che è già in lui, ma ancora celata alla sua vista.”
(Lama Anagarika Govinda, Le Chemin des nuages blancs)

WALLS 1 - Avdat

WALLS 1


Terra di Palestina, terra di muri e di mura, polvere e sabbia che salvano la storia, insinuandosi nelle crepe del tempo.

Così ai nostri giorni ritornano alla luce, intatte, le pareti di difesa e di sangue, di confine e di bellezza, di comunicazione e d’orgoglio: la casa nella casa, cittadella sotterranea nella cittadella, fortezza inespugnabile sul colle, cupola di volti nel muro della memoria.


Dalla sabbia al deserto – AVDAT



Avdat, acropoli nabatea alle soglie del deserto, là dove nella sua prossimità si sono assetate le genti di Mosè e di Aronne, sulla via delle spezie a garantire rifugio per i passanti, nomadi, mercanti e commercianti. 

Fortezza arroccata che ha resistito nei secoli a domini e religioni: la triade che caratterizza la Terra Santa, Terra di Palestina, Terra d’Israele. Cristiani, islamici, ebrei: tre culti, tre popoli, un unico calvario.


Mura che parlano dell’antico splendore; si mescolano attrezzi, croci, simboli ed opere, il sacro con il profano; 





spianate di basiliche introdotte da portali di templi, spazi di fortezza difendono le antiche chiese, le case bizantine, i depositi e le grotte. 









La sua magnificenza, più volte annientata ed altrettante ricostruita, seppellita per sempre nel calore della sabbia da più fulgide e trafficate vie marittime, oggi si consegna ai nostri sguardi con la storia scritta sulle pietre, nella pesantezza degli utensili agricoli e nella pienezza della sua vastità, lungo la strada che porta all’arsura.




Monasteri, cappelle, chiese e battistero si allineano con le abitazioni, i quartieri, le cantine all’aperto. 



Un canto di comunione si innalza tra le crepe di queste rovine, rendendo eletto ciò che l’empio ha trasformato per il vivere quotidiano o per la sua difesa, quassù ad un passo dal cielo e dal divino, laggiù nel buio delle grotte e nel silenzio del raccoglimento.



Vagabondando tra le mura spezzate, strutture ricostruite, colonne mollemente appoggiate, ammiro archi, disegni, escavazioni, incisioni e cavità, immortalando nel ventunesimo secolo ciò che è scomparso fin dal primo secolo d.C..







In questo flash di migliaia di anni la cittadella nabatea viene alla luce nelle sue ancestrali attività: la lavorazione dell’uva, l’artigianato ceramico, la preghiera, la difesa, la vita, rimanendo per noi conservata nelle calde pieghe della Terra madre.






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