Da Campo Imperatore, Vetta Occidentale per la via Direttissima – Discesa per la Cresta Occidentale (via delle Creste)- 16 Giugno 2013
Nel canale rimbombano solo le nostre
voci, allegre, tese, stupite; in quell’aria ferma e calma si perde il silenzio
dell’austriaco che sale concentrato, taciturno, serio. Le sue scarpette gialle
la dicono lunga sulla sua velocità di salita: neanche il tempo di stupirci di
nuovo, che eccolo in discesa, muto, misterioso, evanescente come la sua ombra.
Sarà mai veramente passato?
Lo snodarsi del sentiero permette di
allungarci a far respirare i nostri passi, salire ciascuno al proprio ritmo in
questo panorama di cime, zebrato di
bianco e verde, macchie di fiori e pietra riflettente.
Maria, Antonietta, l’esordiente Catia,
il suo Maestro Gino, l’amico di passo Fernando. Tutti da Pescara, io sola
l’intrusa.
Ma l’isolamento è un attimo che fugge
nell’aria limpida della montagna, il resto è uno scintillante vocìo che si
dipanerà lungo la Direttissima, in cima alla Vetta Occidentale, per rimanere
imbrigliato nell’attenta discesa della Via delle Creste, per me da sempre conosciuta
come Cresta Occidentale.
La giornata è limpida, il sole abbagliante
come i corpi spalmati di crema, il silenzio sarebbe d’obbligo, ma ci riesce
solo in cima al comando di Catia, per un tempo troppo breve.
Quello che ne esce è un’allegra giornata, piacevole al tatto, incantevole all’occhio, salutare all’animo, circondati dallo svettare delle guglie che dal basso troneggiano nell’aria, per porsi in rilievo ostinate e decise quando si raggiunge il loro livello, fino a confondersi definitivamente in discesa in modo uniforme nella ripidità dei fianchi rocciosi.
Si voleva godere il tramonto, e ci
siamo quasi riusciti, tra il nostro chiacchierare e un improvviso soccorso
altrui, per fortuna concluso serenamente.
Una giornata in cui il Bivacco Bafile sembra
qui essere a portata di mano, la cima della vetta Orientale regala nitido il
profilo di chi l’ha appena conquistata; poco oltre, all’orizzonte nord, la
lunga schiera di formiche sul Corno Piccolo viene dipinta dai suoi modelli;
Valentina e Mattia si uniscono al nostro coro di cima per non rimanere esclusi
della nostra gioia, e, soprattutto, della loro, aquilani doc che conquistano la
loro vetta di casa.
In salita i consigli di Gino si
perdono nelle mani di Catia, nei suoi passi che cercano la sicurezza, ma l’istinto
regna sovrano sul suo esordio, e la sua gioia contagia anche noi, come fosse la
nostra prima volta.
Nessuno si lascia intimidire dalle
prese sfuggenti, taglienti o allisciate, da quella lingua di neve che
interrotta non permette il proseguo su di essa, ma ci devia sulla classica
salita rocciosa, ad alternare il movimento di opposizione frontale con i fuggevoli
passaggi dell’occhio verso il fianco precipitoso delle pareti adiacenti.
Questo serpeggiare nel mondo calcareo
invita alla conoscenza delle nostre ansie, delle certezze, delle nostre
sicurezze: il filo “psicologico” lascia unire la cordata nei suoi legami
profondi, l’intimo del momento sovrasta quel semplice nodo interiore con
l’inconscio, e la via è superata nell’eccellenza del sorriso di soddisfazione,
di tranquillità, di gioia, di crescita nell’esperienza.
E se è vero che ogni consapevolezza
arricchisce, ognuno di noi oggi si è portato via una pietruzza calcarea da
attaccare nel muro più solido.
Al tramonto, l’incontro è con Linda,
anima fuggente la frenesia della città, che invano cerca nella sua evasione il
ritrovare se stessa e qualche momento riflessivo. Conoscerà tutti i nostri
sorrisi e la speranza che un giorno riuscirà anche lei, semplice cittadina, a
godere la luce decrescente del sole e l’incanto dei monti dall’alto del colle.
Il suo sogno ci accompagna sul
piazzale dei ricordi e dei ritorni: l’inaspettato saluto ad un caro compagno di
solidarietà ritrovato corona la mia giornata, con questa compagnia ridente e travolgente,
mentre lento è l’ adagiarsi degli animali sui prati a riposarsi per vivere un
altro giorno.
Con Maria, Fernando, Antonietta, Gino, Catia
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