“simile alla nuvola estiva che naviga libera nel cielo azzurro da un orizzonte all’altro, portata dal soffio dell’atmosfera, così il pellegrino si abbandona al soffio della vita più vasta, che lo conduce al di là dei più
lontani orizzonti, verso una meta che è già in lui, ma ancora celata alla sua vista.”
(Lama Anagarika Govinda, Le Chemin des nuages blancs)

Il coraggio di voltarsi indietro

da panoramio - di lucabellincioni

Lentamente mi volto, prima con lo sguardo poi con tutto il corpo, le punte dei piedi alla parete, seduta nel vuoto. Sospesa a venti metri da terra guardo il mondo alle mie spalle: quella pianura offuscata dai vapori e dal ristagno di umidità, sagome sbiadite nella piattezza del paesaggio senza contrasti.

Sono contenta, senza nè lacrime, nè pensieri, solo l’entusiasmo di sentire quella roccia “viva”, puntare la punta della scarpetta sulle tacche minuscole, sentir tendere le fibre muscolari fino all’acciaio, quel dolore che urla ‘resistenza’, che grida di non mollare. Ma il mancato allenamento di 10 anni è lì presente, mi ricorda che per continuare devo ricominciare, ma riprendere oggi con una consapevolezza in più rispetto al passato.

Perchè mi ritrovo sotto le pareti di Bassiano non lo so neanche io, devo ringraziare Cristiano che tra libro, serate e presentazioni oggi si vuole allenare in mia compagnia.

dalla rete
Avvertito che il mio rientro sulle pareti potrebbe essere traumatico, in realtà quest’uscita diventa per entrambi un’occasione di maggiore conoscenza, confidenza, scoperta.
E la carezza sulla roccia lascia al tatto una certezza, quella che non ho mai abbandonato queste rugosità, quel cercare nell’asperità della parete l’appiglio giusto, la pressione delle dita e dei polpastrelli sulla superficie grigia, adattabile alla pelle, nutriente per osmosi.

Anna, come hai fatto a starne lontana tutto questo tempo? Lei lì che ti aspettava nella rigidità della sua veste, perfettamente consapevole che il tocco gentile sarebbe prima o poi arrivato.

La guardo come se non l’avessi mai abbandonata, mi avvicino silenziosa, la mano affondata nella farina bianca a trovar secchezza per il sudore, a lasciarle un segno della mia ritrovata confidenza. Punto l’estremità della scarpetta e spingo, ed in un unico gesto sento il corpo partire verso quella comunione di sensi e di tatto, di agilità e di armonia che mi sposa con questa superficie.

La gioia si mescola alla fatica della staticità fisica obbligata da tanti anni, ma nulla toglie alla soddisfazione di ritrovare i gesti familiari: abbassare i talloni pronta al riposo, scrutare la parete per trovare l’asperità da scegliere, guardare in basso per decidere in un unico sguardo come calpestare delicatamente quella via verticale.
Lo sguardo è incollato alla parete, come le mani, che spaziano sulla sua superficie, liscia, a tratti bucata, a volte spezzata, ma fortemente generosa di farti ritrovare i semplici gesti assopiti e il delicato sfiorare le sue irregolarità.

Non aspetto di arrivare in catena per voltarmi, è l’appagamento di tanti anni di desiderio, di abbandono del bello, del ritrovamento di una familiarità di gesti dura e inflessibile, eppur così attraente ed invitante.

E se questo costa un apprensivo sguardo al vuoto circostante, ci posso stare, resisto alla paura incombente e a quel senso di insicurezza che sempre mi dà il rimanere sospesa alla corda, quel centellinare la fiducia nell’altro, che oggi Cristiano si merita tutta.


Grazie Cristiano.

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