da panoramio - di lucabellincioni |
Lentamente mi volto, prima con lo sguardo poi
con tutto il corpo, le punte dei piedi alla parete, seduta nel vuoto. Sospesa a
venti metri da terra guardo il mondo alle mie spalle: quella pianura offuscata
dai vapori e dal ristagno di umidità, sagome sbiadite nella piattezza del
paesaggio senza contrasti.
Sono contenta, senza nè lacrime, nè pensieri,
solo l’entusiasmo di sentire quella roccia “viva”, puntare la punta della
scarpetta sulle tacche minuscole, sentir tendere le fibre muscolari fino
all’acciaio, quel dolore che urla ‘resistenza’, che grida di non mollare. Ma il
mancato allenamento di 10 anni è lì presente, mi ricorda che per continuare
devo ricominciare, ma riprendere oggi con una consapevolezza in più rispetto al
passato.
Perchè mi ritrovo sotto le pareti di Bassiano
non lo so neanche io, devo ringraziare Cristiano che tra libro, serate e presentazioni
oggi si vuole allenare in mia compagnia.
dalla rete |
Avvertito che il mio rientro sulle pareti
potrebbe essere traumatico, in realtà quest’uscita diventa per entrambi
un’occasione di maggiore conoscenza, confidenza, scoperta.
E la carezza sulla roccia lascia al tatto una
certezza, quella che non ho mai abbandonato queste rugosità, quel cercare
nell’asperità della parete l’appiglio giusto, la pressione delle dita e dei
polpastrelli sulla superficie grigia, adattabile alla pelle, nutriente per
osmosi.
Anna, come hai fatto a starne lontana tutto
questo tempo? Lei lì che ti aspettava nella rigidità della sua veste,
perfettamente consapevole che il tocco gentile sarebbe prima o poi arrivato.
La guardo come se non l’avessi mai
abbandonata, mi avvicino silenziosa, la mano affondata nella farina bianca a
trovar secchezza per il sudore, a lasciarle un segno della mia ritrovata
confidenza. Punto l’estremità della scarpetta e spingo, ed in un unico gesto
sento il corpo partire verso quella comunione di sensi e di tatto, di agilità e
di armonia che mi sposa con questa superficie.
La gioia si mescola alla fatica della
staticità fisica obbligata da tanti anni, ma nulla toglie alla soddisfazione di
ritrovare i gesti familiari: abbassare i talloni pronta al riposo, scrutare la
parete per trovare l’asperità da scegliere, guardare in basso per decidere in
un unico sguardo come calpestare delicatamente quella via verticale.
Lo sguardo è incollato alla parete, come le
mani, che spaziano sulla sua superficie, liscia, a tratti bucata, a volte
spezzata, ma fortemente generosa di farti ritrovare i semplici gesti assopiti e
il delicato sfiorare le sue irregolarità.
Non aspetto di arrivare in catena per
voltarmi, è l’appagamento di tanti anni di desiderio, di abbandono del bello,
del ritrovamento di una familiarità di gesti dura e inflessibile, eppur così
attraente ed invitante.
E se questo costa un apprensivo sguardo al
vuoto circostante, ci posso stare, resisto alla paura incombente e a quel senso
di insicurezza che sempre mi dà il rimanere sospesa alla corda, quel
centellinare la fiducia nell’altro, che oggi Cristiano si merita tutta.
Grazie Cristiano.
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