“simile alla nuvola estiva che naviga libera nel cielo azzurro da un orizzonte all’altro, portata dal soffio dell’atmosfera, così il pellegrino si abbandona al soffio della vita più vasta, che lo conduce al di là dei più
lontani orizzonti, verso una meta che è già in lui, ma ancora celata alla sua vista.”
(Lama Anagarika Govinda, Le Chemin des nuages blancs)

Trasparenze

Ho ripescato dal calderone una bella giornata sui Monti della Laga:


Giro ad anello:
da Fonte delle Trocche, La Storna per il Fosso della Cavata fino a  Pizzo di Moscio, Cima Lepri, Valle del Castellano
23 Maggio 2009, con Maurizio, Lorenzo, Ilario, Mariangela, Silvia





TRASPARENZE




I gialli raggi del sole sono tutti racchiusi in una luminosa palla infuocata.
E’ sparata di fronte a me e mi viene incontro. 



Mentre mi godo il calore dei suoi contrasti la gioia si impadronisce del mio corpo e, finalmente, mi rendo conto che sto scappando da questa quotidiana frenesia, lo zaino pieno delle mie solide speranze a trovare certezze, a scoprire quegli angoli nuovi che sulla Laga si possono scovare: il selvaggio, il verde, l’incontrastato panorama, il suo vertiginoso strapiombo, il suo stratificante spazio roccioso, sovrapposto, scomposto, ripidamente ordinato.

Poco importa se dobbiamo fendere a velocità adeguata la strada con i fari nella notte più oscura, se Lorenzo deve ascoltare le mie incessanti chiacchiere spassionate, se Emma pazientemente ci aspetta anche quando dovrebbe essere coricata da due ore, se il vento alza il turbinio dei fiori di robinia regalandoci una continua danza di mulinelli bianchi, leggeri, silenziosi, fluttuanti, se le curve seguono l’orografia dei luoghi e il tuo stomaco con loro, l’accoglienza di Pietro ed il ricongiungimento mattutino con chi questa giornata non se la vuole perdere. E non ci fermano i chilometri a piedi da fare per un rientro senza neve, la calda giornata che si presagisce, la sistemazione delle macchine per la traversata: siamo lì a mettere pelli, a lasciare il materiale inutile, a spogliarci adeguatamente.

Finalmente lo scarpone calpesta questa terra dai nascenti germogli, ancora tenui nei colori, ma consistenti nell’essenza; prati di ranuncoli gialli si scoprono ad ogni avvallamento sinuoso, colorate orchidee spuntano con i loro racemi a dominare i pascoli erbosi, emergenti da pietre lastricanti l’ondulato e argilloso terreno.

Mentre mi godo questo sfavillìo di infiorescenze emergenti, un suono incessante, eppur costante, si fa strada in quell’oblio di verde: la neve grigia, sporca, rilucente è mollemente ammassata in questa enorme cavità rocciosa, si erge ripida nei pendii opposti, è attorcigliata alle pareti laddove le rocce sporgono in fuori a tentare di non cadere nel vuoto. 


E un pensiero sovrasta prepotente la mia mente, un ricordo ancora vivido di altre pieghe pirenaiche, del tutto simili a queste, nella bellezza, nella deposizione, nei colori, immerse anch’esse nella turbolenza degli schizzi, nella prorompenza della gravità trasparente, nei salti rocciosi a conquistare i vuoti e a riempire gli spazi di minuscole particelle bianche, gelate, bagnate, trasparenti.

Ci si allontana per riavvicinarci, ognuno è padrone della propria via, ad inseguire i pensieri, l’ambiente, il passo, il tempo.

Il mio è scandito da un continuo mirare a ritroso, guardo in giù mentre vado su, come se il mio corpo rifiutasse di partecipare a questa nuova scoperta. Ma vince la mia tenacia, la teoria dei piccoli passi, sapere che Maurizio è sul confine della beltà e basta poco per raggiungerlo. Seguo con gli occhi sci e fisici che, alzandosi, affrontano gli ultimi metri prima della doppia religiosità, e scelgo la via diretta, più faticosa per altri, ma che per me è diventata uno stile di salita; con il pesante fardello sulle spalle mi unisco alla compagnia gustandomi una caramella morbida alla liquirizia……offertami da una strega, ammaliandomi!

Si riparte verso il vento, quell’alito trasparente che circonda la materia, da essa fugge per trascinare ora verso di te, ora via lontano, le timide paure di una sottile cresta, i cui fianchi si allargano quel tanto che basta a renderli verticali, strapiombanti, sfuggenti, inesistenti, pur consolidandosi in un’unica parete.

Sei costretta a distogliere lo sguardo: Lorenzo con tre curve è appeso ad un sottile strato di neve nel vuoto, traversando delicatamente quel mondo sospeso di cui non si vede la fine ma se ne intuisce il risucchio. Sottovoce, come a non distrarlo da quella delicata incoscienza, mi allontano a cercare con altri occhi analoghi strapiombi vicini e lontani. Lo sguardo spazia a digerire quei rivoli bianchi che riempiono le pieghe precipitose di questi picchi, di queste enormi cenge sospese nell’aria. E ancora più in là a scorrere le cime note del Massiccio Abruzzese: la Vetta Occidentale, il Corno Piccolo, Pizzo Cefalone e parte della cresta delle Malecoste, Pizzo Intermesoli con la sua splendida discesa ovest, tutta la candida cresta del Monte Corvo con i suoi imbiancati e pieni anfiteatri, gli adagiati canali, perfino il lontano Pizzo Camarda…….Spettacolo di cime imbiancate addormentate al sole…

Ancora spicchi di roccia e verde in traverso, obliquanti lo spazio, perpendicolari ad altre verticalità; vorresti essere lì, sulla lama affilata a dominare il vuoto, a lanciare un grido che si perde nell’aria e da essa raccolto, custodito e rilanciato. Ma con l’occhio segui i contorni in salita di questa selvaggia montagna: Cima Lepri è lì a portata di gamba e non è sola.

Dalla cima, altra acqua è l’interprete principale di questo mondo sospeso: il lago di Campotosto e il piccolo lago di Scandarello, azzurre vasche riflettenti i colori ormai decisi di questa avanzata primavera.

Il tappo che salta, i calici e il cristallino vetro a coronare lo sforzo e a rinsaldare conoscenze, amicizie, sguardi, battute, dolci, formaggi, e un fiume di parole, racconti, sole e brezza.

Tutti indifferenti alla discesa, tutti già pronti per il gran finale, a far scorrere gli sci, a trovare il passaggio giusto, la velocità, la gaiezza, la beltà.





La neve che corre from casalini maurizio on Vimeo.


E gli occhi di Cip e Ciop quieti fino a quel momento si risvegliano lucidi di sì manifesto incanto: la luce trapassa la neve, la scalda e la riflette; le rocce disegnano con la loro veste il nostro correre incontro all’incredulo, il loro confluire nel nulla, la nostra caparbietà nel credere, nello sperare ed infine nel racchiudere nel nostro cuore tanta, infinita e immacolata assurdità di contrasti, pendenze, perfezione, vastità.

La forza della natura ci si para davanti all’improvviso: la pesantezza della sua naturalità fangosa chiude la nostra spensieratezza, avvolgendoci in un anello pietroso dove solo al trasparente fluido è lecito passare….e a Lorenzo!

L’ultimo sguardo è al di sopra di noi, al cospetto dei superbi spalti di Pizzo di Sevo con i suoi ripidi passaggi, le sue cascate, i verdi prati, la roccia strapiombante, i rami intrecciati, il sole abbacinante, la confluenza delle acque, quell’incessante scorrere tumultuoso che allarga la neve per vincere lo spazio, luogo che non potrà mai essere la sua casa perché è già schizzata via, giù verso valle.

Sarà il frastuono delle sue particelle urtanti i confini a cadenzare il nostro passo fino alle placide pendici di questo ambiente naturale, ormai già maturo nel suo lento percorso, ma ancora troppo giovane per confonderne i colori.

L’esplosione di vita del bosco accompagna l’ormai affaticato movimento verso il riposo, il ristoro, il brindisi di rito alle prime streghe, alla memoria telematica di Ilario, al dignitoso piatto di fettuccine di Lorenzo, all’immortale occhio vagante di Maurizio,

e alle mie parole che catturano in un solo colpo i russi e rossi simboli dello stare bene insieme, passato e presente, consistente e fluido, corposo e dolce,
racchiuse per tutti in un fiore all’occhiello, lei, la genziana, simbolo floreale della montagna per eccellenza,

donato a voi con tutto il cuore,  
dalla vostra Derspina  




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