“simile alla nuvola estiva che naviga libera nel cielo azzurro da un orizzonte all’altro, portata dal soffio dell’atmosfera, così il pellegrino si abbandona al soffio della vita più vasta, che lo conduce al di là dei più
lontani orizzonti, verso una meta che è già in lui, ma ancora celata alla sua vista.”
(Lama Anagarika Govinda, Le Chemin des nuages blancs)

Alta via n.1: Croci

segue da: Montagna sgretolata dalla Storia

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Coro Enrosadira, gli alpini e comunita di Moena al Passo Lusia e Val Minera



3° Giorno.  Dal Rifugio Lagazuoi al rifugio Giussani

da Cima Falzàrego passando per Col dei Bòs, ai piedi della celebre e tragica fortezza rocciosa del Castelletto, famosa per gli eroici eventi della guerra 1915-18.





Non sei che una croce
(di R. Pezzani)


Nessuno, forse, sa più
perché sei sepolto lassù
nel camposanto sperduto
sull'alpe, soldato, Caduto.

Nessuno sa più chi tu sia,
soldato di fanteria;
coperto di erbe e di terra,
vestito del saio di guerra,
l'elmetto sulle ventitre.

Nessuno ricorda perché
posato la vanga, il badile
portando a tracolla il fucile
salivi sull'alpe; salivi
cantavi e di piombo morivi
ed altri morivan con te.

Ed ora sei tutto di Dio;
il sole, la pioggia, l'oblio
t'han tolto anche il nome d'in fronte.
Non sei che una croce sul monte
che dura nei turbini e tace
custode di gloria e di pace.







“Ho fede che tutti quei cimiteri di guerra, segnanti le tappe tragiche dell'eroica ascensione delle fanterie italiane verso le vette delle Alpi Dolomitiche, siano stati religiosamente conservati. I soldati non avranno mai, e in nessun altro luogo, sepoltura più onorata del terreno sul quale caddero combattendo.

Voi, alpigiani, e voi, appassionati della montagna, escursionisti e sciatori, passando di là in qualche bella giornata di sole, affaticati dall'erta di sentieri impervi e pericolosi, sosterete alla loro presenza. 


Col fiato grosso e col cuore in tumulto, fissando gli occhi su quelle croci, sarete compresi dell'indicibile fatica e dell'eroico coraggio di quei fanti che attaccarono quelle montagne biancheggianti di nevi e incrostate di ghiaccio. Essi, anche sotto la furia delle tormente e l'imperversare delle tempeste paurose, raggiunsero quelle vette e, con le baionette e con la dinamite, le strapparono al nemico, che le difese con ostinazione, al riparo di opere militari munitissime e apprestate con ogni insidia ...




... Di qualunque paese voi sarete, escursionisti od alpigiani, davanti a quelle croci, in quel luogo grandioso e selvaggio, vi sentirete stringere il cuore, e sarete compresi da un senso di grande ammirazione ...”

                                                           

                                                                  Ugo Cappuccino
                                 (Volontario Brigata Alpi)



Croci

Oggi la terra è silenziosa. Non un frastuono di mina si sente nell’aria, non polvere  spessa e soffocante si solleva nello spazio circostante, nessuna luce intermittente avverte il soldato dell’imminente scoppio: solo una calma spaventosa regna, e poca erba cresce ai piedi della croce spinata.

Due lunghi inverni hanno visto passare volti emaciati dal freddo e dalla fame; leggi dell’astuzia e della tecnica ingegneristica hanno consentito piccoli avanzamenti in un territorio sventrato dalle mine e dalla natura; strategie di guerra e abilità alpinistiche hanno spinto innanzi piccoli gruppi d’ardito coraggio, che mai avrebbero abbandonato il loro incarico neanche con la sopraggiunta morte; nuvole fresche di violenza inaudita hanno scaricato a valle la loro furia omicida, stanca e fresca neve che contrasta l’avanzata e al contempo incanta lo stremato soldato.

Filo spinato a segnare la trincea: quel labile confine tra la speranza e la morte, l’orgoglio e la conquista, la rassegnazione e la ritirata. Piccoli passi verso fugaci linee nemiche, per la conquista di un versante, di un fianco, di un canale.   Mai di una cima.

Elmetti che si incontrano sottoterra, nel ventre della montagna, nei corridoi a tunnel, non a progredire in avanti, ma a far crollare ancora più profondamente quel luogo già instabile per i tremendi colpi inferti dalla natura, dalle intemperie, dall’artiglieria nemica, dettati dalla speranza della sopravvivenza.

Coscienze umane si incontrano sulle pareti, si aggrappano a quei fatui appigli rocciosi, esaltando la nebbia che cela la loro presenza e garantisce la buona riuscita della sorpresa azione, quell’ardita impresa guerresca che molto spesso terminerà in una brusca ritirata di lì a breve.

Ma questa guerra di morte ha conosciuto la vita una ad una, il dolore, la fame, la stanchezza, la tenacia, la rassegnazione, ma mai la sconfitta del singolo soldato. Ogni passo indietro del nemico è stata una trincea avanzata di caparbietà nella vittoria sulla montagna, sul gelo, sugli stenti, sul quotidiano futuro.


Conquistare un fianco di parete è stato ogni volta pari ad aver fatto sventolare la bandiera sulla cima; artiglieria che supera ostacoli pietrosi e insormontabili, e ciascun soldato carico del proprio pesante fardello vince la sua battaglia contro quelle forze naturali ed umane che gli garantiranno la vita, e con essa il ricordo.

Oggi, noi spettatori di quel domani ci facciamo carico della memoria di altri: nel ritrovare una lamiera o una scatoletta arrugginita riportiamo in vita quella miseria di guerra, episodi funesti di Storia italiana e straniera stampigliati nelle pieghe del cervello di chi è rimasto su questa terra a raccontarne la disperazione o a cancellarne per sempre la tragedia.

Tanti sono stati, troppi ne abbiamo persi sotto l’incitamento dei loro capitani, tenenti, caporali, generali; a centinaia sono rimasti lassù, a non doversi arrendere neanche davanti all’evidente sconfitta, nello stupore di essere ancora vivi dopo aver sfiorato il nemico ed aver incrociato il suo sguardo, quel fugace scintillìo di pietà umana che talvolta sopravvive nelle storie più inverosimili di civile solidarietà.

Italiani e Austro-ungarici, sfilate di uomini in divisa ciascuno a baluardo della propria e personale linea di confine, quell’aleatorio vuoto che oggi è pieno di vittoria, domani è inghiottito nella disfatta. Fratelli nell’ordinaria giornata di un giorno di pace, tatticamente feroci nemici in un giorno di quotidiana guerra di posizione.

Artiglieria, muli, vettovaglie, legna da ardere, corde, tende, sigarette si mescolano agli animi affranti dalla lontananza degli affetti, troncati da un destino incognito, restando solo fucili e baionette imbraccati a puntellare lama e proiettili nel coraggioso cuore nemico.

Albe e tramonti si susseguono nello stesso grigiore, lampi temporaleschi nella notte si confondono con le luci degli schioppi o con i potenti colpi di granate, urla di vittoria irriconoscibili nelle detonazioni della montagna, furiosi blocchi di calcare che sbarrano la strada e creano vie di fuga o di avanzamento per una libertà mai evidente, così come silenziosa  e sotterfuga può essere la vittoria.


Filo spinato intorno alla croce, unica difesa di un gelido abbraccio concesso ai caduti, che lì resteranno a memoria d’acciaio, intrecciato ciascun ago per ogni vita rimasta lassù, a braccia aperte a circondare scenari di frantumi naturali e umani, pensieri inimmaginabili e realtà vissute.

Alzo lo sguardo dei miei pensieri e vedo lei, lontana, vicina, a Sud, ad est, e anche dal lontano ovest: è la croce della Rozes, alto pinnacolo che si erge fiero su tutto lo scenario ampezzano. 


Qualunque lato della Regina delle Tofane incontri, lei si staglia dappertutto, a ricordare che c’è, testimone di vicinanza al cielo e alla vittoria, alla speranza e alla fatica, alla soddisfazione e alla grinta, unica veste di spigoli e pilastri che la sostengono per oltre 1000 metri di parete, frastagliata, corrosa, a tratti solida e impertinente.






Dopo quieto girovagare nella Storia, lascio correre lo sguardo a quelle strapiombanti pareti che appiccano vie famose di tutto rispetto, attirando arrampicatori e salitori di tutto il mondo, non ultima in questo giorno la nuova via aperta dagli sloveni.


Affronto i larghi tornanti sempre con l’occhio attratto da queste guglie che precipitano verso il cielo, nell’appiombo dell’aereo abisso, pareti verticali che svettano confondendosi nel colore delle sottostanti ghiaie. Sopra di esse, nevai che dalle forcelle scendono imperfetti come scivoli a delimitarne la cornice.


Ai piedi delle bandiere del rifugio, ascolto trasecolata il suono della sponda che sibila al fresco vento: guardo l’incanto di questa Forcella stretta e arroccata ed immagino schiere di soldati che silenziosamente abbandonano il loro territorio di conquista, lasciando nelle fredde postazioni solo gelo e disperazione.
Ma quella croce onnipresente ci accompagnerà ancora nel giorno che verrà, a ritrovare l’immagine di giorni sereni in cui la Storia ha restituito a ciascun soldato la propria civile dignità.



Segue con : Enrosadira, la Leggenda del Rosengarten

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