“simile alla nuvola estiva che naviga libera nel cielo azzurro da un orizzonte all’altro, portata dal soffio dell’atmosfera, così il pellegrino si abbandona al soffio della vita più vasta, che lo conduce al di là dei più
lontani orizzonti, verso una meta che è già in lui, ma ancora celata alla sua vista.”
(Lama Anagarika Govinda, Le Chemin des nuages blancs)

Alta Via n.1: Acqua e dialoghi


DA UN PATRIMONIO DELL’UMANITA’ ALL’ALTRO



Dolomiti care, incanto delle Alpi, gemme del mondo, superba fusione dell'orrido con il divino, sublime architettura di un paesaggio da sogni.
                                                                                                                                       Giovanni Sala   (Capitano degli Alpini)



LUNGO I SENTIERI DELL’ALTA VIA DELLE DOLOMITI

di Piero Rossi

 

“Qua e là dove la montagna è rimasta ferma ai tempi dei pionieri, e solo i camosci vivono indisturbati, esistono difficoltà maggiori, per lo più di ordine psicologico, date dall’isolamento, dai notevoli dislivelli, dall’ambiente severo, dalla mancanza d’acqua, dal grande silenzio… E dalle nebbie che spesso calano veloci ad ovattare l’ambiente!
Comunque sia, questa Alta Via passa per luoghi veramente straordinari e unici, nel cuore selvaggio delle Dolomiti.”(Italo Zandonella Callegher)


1° Giorno. Dal Lago di Bràies al Rifugio Biella alla Croda del Becco
Dislivello: 900 m ; Lunghezza: circa 6 chilometri

Acqua e dialoghi

Cosa avranno da dirsi di così intenso questi cieli sopra di me lo scoprirò solo più tardi, quando il pianto ininterrotto di ciascuno di essi mi convincerà della solitudine dei loro sentimenti. Per adesso che devono rassicurarsi solo di non essere soli, che la loro disperazione è condivisa con quanti hanno deciso di solcare queste terre silenziose a picco su altri specchi d’acqua, il loro frastuono mi garantisce la compagnia di salita. E l’unione di queste lacrime fa sì che il dialogo dei cieli sia schietto e potente, circondato da un alone di contrasti tra roccia, nebbie, soffi di vento e neve.
Come ci sono finita a portare in giro 13 chili di sofferente peso sulle spalle, proprio non lo so. Il dato certo è che mi sono ritrovata entusiasta alla stazione di Pescara, in piena notte, tra lo zaino gigantesco di Gino e quello più adeguato di Fernando, alla volta del Lago di Braies, specchio d’acqua di verde splendente circondato da strapiombanti pareti.
Eh già, l’idea e la realtà è quella di affrontare la più classica delle Alte Vie, la prima, la numero 1; quella che ti dovrebbe far entrare trionfante a Belluno, dopo aver macinato chilometri di sentieri, ferrate, guglie, panorami, tramonti, varianti, marmotte.
Ma per adesso la verità è un’altra: il peso sulle spalle mi inchioda al terreno, ascolto la furiosa ira dei cieli che ce l’hanno con qualcuno, ma per fortuna non con noi, visto che la loro discussione è poco fuori dal nostro percorso, anche se la mia ansia cresce ad ogni schicchera di quel collerico vociare.
La mia atavica paura dei temporali mi fa camminare a scatti con il viso alto, a contemplare alternativamente con fermissima apprensione quei pinnacoli frammentati in forma di alberi, tesi e mozzi verso il cielo, bruciacchiati ed isolati, ed il collo rincarcato verso il terreno sconnesso sotto i piedi. I flash che si susseguono non sono l’aprirsi e chiudersi del mio occhio, ma lo scintillio delle risate generato da quel divertimento giocoso degli ampi spazi grigi che lassù continuano a divertirsi alle nostre spalle.
Cascate d’acqua dall’alto, molto più copiose, irrompono nella stretta valle andando ad alimentare ruscelletti che scompaiono nelle viscere della terra; mi ritrovo a parlare la lingua degli stranieri con un cacciatore (?), ampi sorrisi per un’incomprensibile idioma, mentre ascolto disperata i tremori della terra.
La ricongiunzione con i compagni di cammino è nella valletta verdeggiante cosparsa da isolati e giganteschi massi, scenario lunare in quel plumbeo paesaggio, ma il disseminato e  cospicuo percorso di ancora isolati e slanciati alberi non mi tranquillizza per nulla. La salita riprende più dolce e più aspra: è questa roccia così fessurata, incombente, appagante che mi incanta, tanto da non sentire le gocce d’acqua più abbondanti che cascano da quel cielo parlottante.
Chiuso il paesaggio ed il panorama, si procede in un ambiente selvaggiamente roccioso,  tra acqua che ormai scende lungo il corpo e su ogni dove; rimbombanti discussioni che si alimentano sulle creste ai nostri fianchi, accelerano involontariamente il nostro passo verso l’uscita dell’anfiteatrale Forno.
Alla Forcella cedo, un attimo di riflessione all’involontaria ricerca di quella tanto decantata dalle guide cappelletta votiva, ma una fragorosa esortazione mi costringe a precipitarmi verso quello sventolìo di bandierine miste, nepalesi, italiane, ladine, che circoscrivono l’accogliente rifugio.

Zuppi ma contenti, il tempo implacabile ancora si prende gioco di noi, impedendo all’irrequieto Fernando di giungere in cima alla Croda, ormai avvolta dalla più completa umidità dell’aria, lasciando a me l’ingrato compito di gustarmi una delle più buone torte alle noci che abbia mai assaggiato in vita mia!

E sulla speranza di una giornata migliore per l’indomani calano le nebbie sulla valle, lasciando scoperte cime e picchi a custodire l’ampio, grigio, plumbeo cielo.




segue con : Acqua e Silenzi

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