“simile alla nuvola estiva che naviga libera nel cielo azzurro da un orizzonte all’altro, portata dal soffio dell’atmosfera, così il pellegrino si abbandona al soffio della vita più vasta, che lo conduce al di là dei più
lontani orizzonti, verso una meta che è già in lui, ma ancora celata alla sua vista.”
(Lama Anagarika Govinda, Le Chemin des nuages blancs)

Alta Via n.1: Acqua e Silenzi



2° Giorno.  Dal Rifugio Biella al Rifugio Fanes-Lavarella
Dislivello:  in salita 565 m; in discesa 830 m
Lunghezza:  circa 14 chilometri
Dal Rifugio Fànes - Lavarella al Rifugio Lagazuòi, per la Forcella di Lech, 2486 m.
Dislivello: in salita 1070 m; in discesa 375 m
Lunghezza: circa 11 chilometri


Acqua e silenzi



2473 metri: letta la quota sull’implacabile cartello mi accascio affranta al suolo, ben sapendo quanto sarà faticoso risollevarsi con il peso dello zaino e la stanchezza ormai imponente nelle gambe.

Non mi viene neanche da pensare ai primi salitori delle pareti immense che ho di fronte: Cima Scotoni e la sua frastagliata eppur compatta balconata a picco nella Valle; quell’andare su entusiastico e ardito del trio, Lino Lacedelli, Luigi Ghedina e Guido Lorenzi nel lontano 1952,  quando salirono alla conquista della grande parete sud-ovest con passi di gatto, chiodi e tanta maestria. Non mi viene in mente perché ho il cervello annebbiato dalla stanchezza, dal gelo, dalla pioggia e soprattutto dalla certezza che lassù, a quei 2752 metri di altitudine del Rifugio Lagazuoi, non ci arriverò mai!

Faccio un lungo passo indietro a ritrovare l’inizio di quella estenuante ed entusiastica giornata, iniziata tra i richiami lunghi e ridenti di giovani marmotte ormai sveglie dal letargo invernale, scorazzanti sui prativi percorsi che si allungano dal rifugio Biella al primo rifugio Sennes, ancora emergente dalle sollevanti nebbie che in questo grigio mattino contrastano il paesaggio.

Da qui prosegue la lunga discesa, tra baranci e rododendri, tornanti e prati fino alle abbandonate case di Fodara Vedla, dove  un abbozzo di idea viaggiante lungo tracce di sentiero per non perdere quota è subito smorzato dall’impervia impresa sconosciuta: il terreno scosceso e bagnato renderebbe troppo arduo l’arrivo alla meta. L’erta discesa a picco su Ostaria Pederù mette a dura prova i nostri quadricipiti e le nostre orecchie, assordate dallo scampanellìo delle vacche, che pigre ed esortate dal malgaro risalgono la china.

Rifocillati l’animo ed il corpo, inizia la lunga ascensione nella Val di Fanes, circondati da ciclisti e pedestri, carri e civiltà. In questo percorso un po’ troppo antropizzato non mancano scorci di cultura alpina e valligiana: mulini e  vecchie case disabitate sono testimoni di vita rurale recente ancora vissuta in questa valle.

Il Torrente del Piano (Ru dal Plan) ci accompagna fino all’apertura della valle nel grandioso e romantico quadro d’autore generato dalle stesse acque, che formano in questo luogo svariate anse e cascatelle, ambiente bucolico che testimonierà una decisione importante: la giornata è lunga, il tempo migliora, la fatica ancora dorme.

E quindi si prosegue in un determinarsi con il passo: valli si aprono, panorami si scoprono, e contemporaneamente lontani ed ripidi passi circoscrivono e chiudono l’ambiente con le loro elevate pareti.

Il tutto sotto il sinuoso andamento degli strati rocciosi piegati ed avvolti su loro stessi e sull’onda del mondo.




Nuvole bianche corrono veloci sopra il nostro andare: i nostri sguardi scrutano quel mondo alpino, dove in lontananza si stagliano cime di tutto rispetto: Cime Ciampestrin, Monte Ciaval, Cima Scotoni.









Nel frattempo abbiamo girato l’intera pagina della cartina percorsa, scoperto che il rifugio Scotoni non è ancora aperto, prenotato in Valparola e deciso che forse facciamo prima, con una piccola risalita, ad arrivare al Rifugio Lagazuoi.

Da questo terminare dello scorrere delle acque inizia il silenzio, quel rispettoso andare che ascolta il tuo respiro, assorda di fatica nelle orecchie quel nulla che cede al passo e alla stanchezza; trovarsi a rincorrere le nuvole, la via, i compagni, la roccia, ed infine il grande ometto, che ti rincuora sulla quota. Un semplice numero che all’amata Forcella prende le sembianze di 2486, vestito di tutti numeri pari.

La nota stonata è l’affaccio sugli abissi di altri specchi d’acqua, aldilà del vuoto spazio: il lago è immensamente giù, ed il sentiero per il Rifugio porta inesorabilmente molto più su, linea chiara e profonda verso la stanchezza.

Ma l’incanto della luce del sole su quelle incombenti pareti aranciate cancella ogni esitazione in questa discesa che prelude la sconfitta: l’altezza guadagnata è consumata in breve con gioia e stupore.


E’ tempo di porre un punto a questo nostro vagare, e mentre osservo il passo veloce di Fernando, motivo che mi farà giungere fin dove è possibile con le mie forze, inizio il mio calvario in un tempo che cambia rapidamente. Altra acqua piove dal cielo e si confonde con gocce salate di abbattimento, sudore e sfinimento.


Poi è solo la macchia gialla della cerata di Gino ad apparirmi a tratti in quel silenzioso e sconvolgente intercedere il cammino: unita al nero della palina, sarà il segnale della mia definitiva rinuncia alla salita. La neve fino al conforto del rifugio raggela l’animo, l’aria e la determinazione, lasciando solo alla calorosa ospitalità rinfrescare le nostre gole.

Chissà cosa ha pensato il gestore alla mia serissima  richiesta: “datemi almeno un buon motivo affinché io venga lassù”, negli ultimi pesantissimi passi ancora coscienti che ho dovuto compiere prima di affrontare mille sorrisi di solidarietà per una serata ormai decisamente oscura quanto brillante per la calda accoglienza ricevuta.

E se la notte porta consiglio, il mio è quello l’indomani di lasciarsi andare all’assurdità della Storia, a scoprire animi gagliardi, sconfitte clamorose, assordanti rumori, ritirate silenti, nobiltà d’animo che hanno vissuto e combattuto in questo lembo di terra montana:


Una calma assoluta si è diffusa per tutto il Creato, come se la terra stesse trattenendo il respiro. Solo ogni tanto si sente un sasso cadere. Acque invisibili sussurrano in tono sommesso nel buio dei dirupi, mentre la brezza notturna sembra trattenuta dalle sagome tenebrose dei pinnacoli di cresta.
                                     Joseph Hosp   (Cappellano militare austriaco)

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