“simile alla nuvola estiva che naviga libera nel cielo azzurro da un orizzonte all’altro, portata dal soffio dell’atmosfera, così il pellegrino si abbandona al soffio della vita più vasta, che lo conduce al di là dei più
lontani orizzonti, verso una meta che è già in lui, ma ancora celata alla sua vista.”
(Lama Anagarika Govinda, Le Chemin des nuages blancs)

Alta Via n.1: Troni e Gioielli

5° giorno. Dal Rifugio Nuvolau al Rifugio Venezia

Dislivello in salita m.260, in discesa m 910 circa tempo 4-5 ore. Difficoltà EE  ed EEA nel primo tratto sino al Passo Giau. Si prende il s. 438 e il 443 per scendere al Passo Giau, di qui sent. 436 sino alla Forcella di Ambrizzola e alla Casera Prendera dove si imbocca il s.458 e lo si segue sino alla Forcella Col de Roan e infine al Rifugio Città di Fiume. 

Dislivello: ci dicono in salita 260 m, ma io non ci credo!
Lunghezza:  solo fino al Rif. Città di Fiume: 11 Kilometri, fino al Rif. Venezia non so, forse 7-8, ma comunque troppi!




TRONI E GIOIELLI
 

“Chi, per qualsiasi motivo, volesse terminare l’Alta Via delle Dolomiti n. 1 al Rifugio Città di Fiume o in caso di cattivo tempo, per esempio, non si sentisse di affrontare il grande giro del Pelmo attraverso la Forcella Val d’Àrcia e il Sentiero Flaibani, può prendere, dal rifugio, il sentiero n. 472 (ma anche la strada che passa per Malga Fiorentina, 1799 m) che lo porterà tranquillamente, dopo aver lambito a ovest le ghiaie del grande catino della Val d’Àrcia, in ore 1,30 al Passo Staulanza, 1766 m, sulla Statale 251. Fino al Passo Staulanza come da VARIANTE 3 in ore 1,30. Dai pressi del passo si prosegue sempre sul sentiero n. 472 (Anello Zoldano), si passa il Col delle Crépe Cavaliere e, per il Triól dei Cavài (Sentiero dei Cavalli) e la Sella di Rutorto, si raggiunge infine il Rifugio Venezia, 1946 metri.
Ore 3,30 dal Rifugio città di Fiume.”

Così recita il sacro testo, ma non è andata proprio così.




M. esce con il blocchetto in mano e la penna, pronta a raccogliere i miei desideri per la cena: spalanca gli occhi sul calzino appena levato dal piede e rabbrividisce di sdegno. Le mie piaghe sono talmente rosse e color sangue che ha già in mano la scatola dei medicinali, ha già avvertito Barbara e allertato l’ospedale per avere consigli su come trattare le mie ferite.


Sorrido di tanto daffare, ho appena soccorso le piaghe dell’animo, in questa risalita al rifugio Venezia: da lontano sembra Paolo, ma è impossibile, lui è lassù e non può intervenire, ed invece una figura spiccatamente bolzanina mi esorterà sulla mia bravura, e mi garantirà la forza di continuare su quei pochi lunghi metri che mi dividono dalla fine dell’agonia. E con le lacrime agli occhi e il sorriso sulle labbra stringo i denti e proseguo.

Il vero patrimonio dell’umanità lo incontro qui, al rifugio Venezia, nell’entusiasmo di M. a volerci rendere il soggiorno una vera vacanza piena di attenzioni; le porzioni di cibo di Barbara sono come il suo affetto e le sue parole: tante, troppe e troppo consapevoli della forza che ci vuole per gestire da sola in questi giorni un Rifugio di tale importanza strategica. 
Sotto il Pelmo, sotto questa complessa e gigantesca cima a forma di trono per il riposo del Padreterno, anche Sandra farà di tutto per coccolarci sebbene la sua esperienza di collaborazione sia ancora acerba.



E’ qui che l’umanità è diventata patrimonio del nostro viaggio ambulante, è in questo calore femminile che ho raccolto le angosce premature di un dolore familiare di Barbara, insieme all’orgoglio montanaro di M. che va fiera di una montagna che non crea incidenti e disgrazie se affrontata con i consigli di chi ci vive dentro quotidianamente; è qui che mi sono caricata dell’energia di donne montanare come Sandra che amano questi spazi difficili e talvolta troppo isolati ma che credono fermamente nella forza rigeneratrice dell’ambiente selvaggio e impegnativo, amante del lavoro destinato a te che vieni per vivere un’esperienza ricreativa ed appagante, e attraverso la tua soddisfazione le doni la gioia e la convinzione di crederci in questo cambiamento interiore.



Il sole del mattino splende sul Nuvolau: lassù è iniziata la nostra lunga giornata, quasi me la sono dimenticata per l’esteso cammino affrontato; la discesa a Passo Giau in quella ferraglia mescolata alla roccia, terreno malagevole che mette alla prova la delicatezza del cervello. 




I contrasti delle piccole gugliette rocciose, quei solidi pinnacoli che emergono dalla terra a confondere il percorso: ci sei dentro, e al tocco delle asperità senti la solidità della sua genesi, nella sua friabilità la stanchezza del trascorrere del tempo, nel verde che la circonda percepisci la gioventù del suo futuro.



Allontanarsi dal caos del Passo è un sollievo, alla scoperta del silenzioso susseguirsi di forcelle, nuovi panorami, altri versanti di questa montagna sconfinata: le sue creste, i suoi tesori antropologici, le sue pendici innevate, i suoi gioielli monumentali.

Scorrono allo sguardo il Pelmo, il lontano Civetta, altri sconosciuti rilievi, mentre le forcelle inseguendosi sui confini dell’aereo paesaggio spalancano le ali abbracciando i rami delle sottostanti valli.


La decisione è presa, una volta tanto arriveremo al rifugio presto, a goderci la restante giornata nella calma del ricovero, nelle chiacchiere degli ospiti, nella saturazione dei nostri sguardi verso quell’impietrito trono.


Ma come al solito non abbiamo fatto i conti con la realtà: il rifugio Città di Fiume è pieno, neanche un capello entrerebbe più; l’indisponibilità del gestore ci delude anche sul rifocillarsi, non c’è cortesia neanche per avere un pezzo di pane, e sono avvilita.

L’alternativa è intraprendere 500 metri di aspra salita sotto il sole delle tre pomeridiane, o gettarsi nel giro megagalattico in pianura dell’anello zoldano; neanche a pensare la rinuncia a Passo Staulanza.


La recente esperienza del rifugio Lagazuoi obbliga la scelta; si affrontano così chilometri infiniti di caldo e tenacia, piaghe e lacrime; zaino in spalla e tanta, troppa buona volontà.

Il periplo del Pelmo, le sue forcelle al Pelmetto, i baranci sterminati a portata di piede, sali e scendi sui colli, i compagni che si allontanano nella tenue oscurità che già contrasta i rilievi.




Quando levo il calzino non sono stupita: le fitte che sentivo nei passi già preannunciavano la tortura della pelle, e guardando M. mi rassegno al riposo forzato del giorno successivo.



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 6° giorno. Rifugio Venezia, salita alla cima del Pelmo per i miei compagni


E’ ora di alzare la testa sullo spigolo a sinistra, mi sono trattenuta per troppo tempo, e l’ora dovrebbe essere quella giusta.


La giornata è stata delle migliori, neanche una nuvola all’orizzonte dopo aver augurato alle prime luci del giorno in bocca al lupo a Gino e Fernando.
Ma adesso vorrei scorgere un segnale di presenza, la certezza dell’avvenuta cima, di un gustarsi la meritata birra e i nostri sorrisi.

La mia tenacia è stata premiata, un riflesso del sole illumina per un attimo il colore aranciato di una presenza sulla parete, ed ho la certezza che sono loro, confermata poco dopo da Oreste, che silenzioso e schivo non ha proferito parola sino a quel momento. La sua tristezza per il lutto materno è tutta concentrata in quelle poche parole di sollievo per me.
La sua ripartenza renderà angosciata anche Barbara, che vorrebbe partecipare da vicino a questo suo dolore, ma non può, al rifugio passa ancora gente, e sono troppi i lavori da affrontare ora che sono arrivati i rifornimenti. Mi confida il difficile travaglio vissuto dal compagno di vita, dalla perdita degli amici di cordata, non ultimo Giuliano De Marchi, ai suoi incidenti di salute, fino a quest’ultimo lutto.




Il mio tentativo di sollevare il suo dolore è come il calore del fuoco che fa riflettere le sue lacrime fissando le mille scintille che si alzano al cielo.

   


Scorgo un movimento in mezzo ai baranci: non faccio in tempo a fare i complimenti che sono già compresi nell’abbraccio di arrivo. Volti stanchi e provati, cotti dal sole e alimentati da una luce splendente: la cima, i precipizi, il cammino, l’attenzione, tutto ciò concentrato nelle pieghe del sorriso finale, nella fatidica frase “una volta nella vita basta”, nel racconto di ogni singolo passaggio affrontato nelle viscere di questa sedentaria montagna.

La sera i racconti di Gordon, davanti al bicchiere di vino e alle prelibatezze di Barbara, la gioia della cima, la mia tacita preoccupazione per i piedi ed il lungo cammino verso il Coldai, e, chissà!, verso il Tissi?














A   rivederci, Trono….







Il video di una bella giornata di un amico (Clark) sul Pelmo:
Ascesa al Monte Pelmo (3168 m) per la via normale che percorre la cengia di Ball




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