“simile alla nuvola estiva che naviga libera nel cielo azzurro da un orizzonte all’altro, portata dal soffio dell’atmosfera, così il pellegrino si abbandona al soffio della vita più vasta, che lo conduce al di là dei più
lontani orizzonti, verso una meta che è già in lui, ma ancora celata alla sua vista.”
(Lama Anagarika Govinda, Le Chemin des nuages blancs)

Tra Storia e Memoria: parole di pietra

Abbiamo parole di pietra
e voci trascinate dal vento
nella bellezza delle donne
che solcano il mare negli occhi
e la sabbia impastata tra le rughe delle mani
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di Pierfranco Bruni ,“Cantos” (Briganti e brigantesse il nostro destino è altrove),
Editore Luigi Pellegrini di Cosenza, 2011.

Guardo il panorama davanti a me: pietre, muretti, pozzi, alberi isolati, verde, vallette; lontano la foschia di Terelle, quasi in primo piano la sinuosa forma del Monte Cairo.




Doveva essere quest’ultimo il mio obiettivo di oggi, ma la sera prima davanti alla cartina, mia sorella pronuncia una parola che non lascia dubbi sulla scoperta di un nuovo itinerario: “briganti, case di pietra, villaggio”, e so già quale sarà la mia mèta. Incrociando i miei occhi che scintillano, lei contrappone un debole: - Ma è lunga, non ce la farai mai! – sapendo già di perdere, io neanche l’ascolto.



E così parto, lasciando lei e le altre sorelle a riscoprire una ciclopista della Memoria, lungo quella via che fu la storia del fronte di Cassino e le linee Gustav e Hitler, in quella parte di mondo che ha visto la Storia più cruenta di attacchi, resistenze, morti, distruzioni, ma anche sacrifici, rinascita, speranza, vita.
Anche il mio cammino è all’insegna della Storia, in prossimità di riscoperti posti di soccorso tedeschi durante la Seconda Guerra, quelli che raccoglievano i feriti giornalieri del campo di battaglia nelle retrovie della Linea Gustav. Il paese d’origine della mia infanzia, trascorsa anche in questi luoghi, fu in prima linea al centro del conflitto mondiale, le storie dei prozii, dei nonni, e oggi di queste ritrovate costruzioni ambientali, lasciate così come sono state vissute, emergono con il favore della riscoperta, della volontà di non demandare solo alla Storia il compito di trapassare gli anni, ma di recuperare “il ricordo di quelle emozioni” lasciando alla Memoria i racconti, le sensazioni, i sentimenti di un pezzo di vita vissuto dai protagonisti.
Dopo due anni di ricerca sul campo, nell’anno in cui ricorre il settantesimo anniversario delle battaglie di Montecassino, apre i battenti a Colle San Magno il Museo vivo della memoria. «I testimoni diretti di quegli eventi raccontano in prima persona i nove mesi in cui questo piccolo centro fu la principale retrovia tedesca del fronte sulla linea Gustav - spiegano dal Comune - Perché in questo piccolo paese, originariamente centro agricolo di montagna, furono concentrati i depositi di munizioni, i posti di pronto soccorso, le cucine da campo, le antenne di comunicazione dei tedeschi sul fronte di Cassino. Lo stesso comando strategico del generale Frido Von Senger era a pochi passi dal paese. Ogni sera le colonne di muli partivano per il fronte, con il rancio e le munizioni, e tornavano cariche di feriti e di caduti».
«La narrazione del Museo ruota attorno al punto di vista della popolazione civile, assunto come base per una ricostruzione di una delle pagine più emblematiche della Seconda guerra mondiale in Italia. Deportazioni, distruzioni dei bombardamenti, danni dovuti all’occupazione tedesca rivivono nelle memorie raccolte in video di chi allora era giovane. Il ricordo di quelle emozioni è espresso anche in alcuni oggetti conservati per decenni e in documenti originali spontaneamente donati dalle famiglie del paese», spiegano i curatori.

E allora su queste montagne si intrecciano le determinazioni di chi non vuole perdere le testimonianze di quelle che furono cruente pagine di una storia di battaglie, molto spesso compiute uomo a uomo, di resistenza, di ricostruzione, della voglia di tornare a vivere e di continuare in pace.





Per questo ancora non si spengono le note della musica di pace che è stata raccolta dalla popolazione, in occasione del primo concerto di montagna, sotto il MonteCairo, che canta la pace, attraverso il coro della città di Cassino che rievoca il dolore innalzando al cielo gli inni dei protagonisti di quel sanguinoso passato, con i Musicisti del Basso Lazio che faranno ballare insieme le giovani generazioni, diversamente abili e non, e da ultimo si espande la poesia cantata di un Sud da non dimenticare nelle canzoni di Eugenio Bennato, che dall’alto del palco esordisce: “Non esistono guerre giuste o guerre ingiuste. La guerra è uno schifo sempre. 


 
 



Seguendo questa scia emozionale, mentre salgo, ascolto il silenzio fatto di urla, di spari, di scoppi, di parole di conforto per la viva sofferenza che si perdono nel verde della vegetazione e del fosso, parole di speranza di una guarigione monca di arti, o di un ardire nel tornare al combattimento.

Sfilano i casali di questo cammino agricolo, realtà che fino a non molto tempo fa era il sostentamento delle famiglie contadine,
oggi luogo spopolato, ma pur sempre vivo nel nitrito dei cavalli e dei muli lasciati allo stato brado e nello scampanellio delle vacche al pascolo. 
Scappano sorprese del mio apparire all’improvviso, mentre cerco la traccia principale che si confonde in mezzo a tutte quelle altre da loro frequentate, o anche aperte dai mezzi per il taglio del bosco o per la cura del verde.

Le rasate radure tranquillizzano l’animo; 
 

mentre riposo, il mio pensiero va al ricordo di questo percorso già affrontato anni addietro, e della curiosità che mi avevano suscitato le linee imperfette degli impluvi della montagna, quell’Obachelle di cui mi piace la fonia, ma che rimane misteriosa anche nel suo apparire. 

Poco più avanti, eccolo il mio desiderio, l’aprirsi del panorama su tutte le vallecole che portano aldilà, immaginando oltre lo svilupparsi della linea Gustav, sfilata irreale di soldati, cannoni, trincee, circondati dall’aridità carsica, pietre grigie che risaltano nel poco verde di stagione, ma che l’inverno si confondono tra neve e nebbia nei fumi del gelo.




La mia sete di andare a vedere cosa c’è oltre farà abbaiare tutti i cani di questa silenziosa valle, e mentre controllo la cartina, il sentiero non segnato è già scritto nei miei passi: linea verticale dritta per dritta, a non perdere neanche una foglia di quell’esplosione di verde che ho davanti, il Monte Cairo, mèta mancata, desiderio incombente.

Un vecchio ramo in cima al Monte Denti mi appagherà dello sforzo di salita, lo sguardo spazia nel corso dei secoli, abbandonando per un momento la violenza della guerra per tuffarsi in altrettanta non reale crudeltà.

E’ Terra di Briganti quella che mi si apre davanti: sorrido di gioia nell’immedesimarmi nel secolo e mezzo indietro, la campagna popolata di uomini armati, schivi, decisi. 




 

Complottano ai piedi di alberi isolati le prossime azioni di giustizia e ribellione, vendetta e sopravvivenza.

Muri a secco, vallecole pietrose, alberi isolati narrano di vicende scabrose, di terrore ripagato con altro terrore, nascondigli perfetti per un popolo alla macchia: intravedo sotto l’albero il brigante Colamattei e la sua druda, chissà se non brigantessa anche lei, i suoi seguaci armati fino ai denti, le risate sguaiate rilasciate all’orlo di una fiasca, e il sussurro di voci sommesse di chi nell’ombra deve coprire cotanta anarchia.

E tornano emozionanti le parole in musica del concerto recente:



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Bella 'sta storia E chi la sente, Bella la gente Ca la racconta, Bella la terra Ca nun sâ scorda, Bella Michela Ca nun s'arrènne… 
Tu che stai lì, prigioniera, perché sei donna del Sud, Così bella, così fiera, nella consapevolezza Che più forte del brigante non può esserci che la sua brigantessa.
................

Girovago alla scoperta di questo villaggio ombra, riarso al sole delle pietre bianche, delimitanti muretti a secco, pozzi per le riserve di acqua, confini inesistenti protetti dalla fama del loro ardire, nessuno osa passare là, dove scorre violenza e ruberia, sfregio e irriverenza. Mi siedo sopra la collina dove il mio sguardo può spaziare, le orecchie ad ascoltare le parole che volano tra le pietre, di una vita vissuta di fughe, di tranelli, di incertezza, di amore e di coraggio. 



Non ne perdo neanche una, intrappolate nella rete del cervello, e ancora quella strana forza a proseguire su questo sentiero sanguinoso, di vinti “senza re e senza regni”:

Qui si muore e si vive
si vive e si muore
danzando sotto le stelle
e con i ricordi ricamati
tra le parole che hanno
la pioggia delle pietre
mai nascoste
e sempre vissute
sino all’ultimo sogno o l’ultima piega
di una bandiera
giocata tra il riso e la malinconia
nel peso delle tragedie e dell’ironia.
di Pierfranco Bruni (Op.Cit.)


Sul percorso verso la cima, altre pietre parlano, mi piace pensarle fossili, antico e preistorico passato che rimane come traccia reale tra Storia e Memoria. 






E di parola in parola arrivo dal tratturo di cresta sull’Obachelle, quella cima dalla fonetica tanto attrattiva, da cui si dominano ancora doline, pozzi, altre brulle colline, e lontano, la piana di Cassino.







L’esperienza montanara ritrova la discesa per una calata a valle di cresta, dove segni labili fanno solo intuire il giusto percorso, il resto è solo un calcare sicurezza nel terreno aspro e scosceso, fino al verde lussureggiante del fosso, spartiacque di altre scoperte e zone vissute.


Corono la giornata con il ricordo del passato, insieme a colei che nelle mattine d'infanzia portava alla maestra Ottavia le ricotte appena fatte, calde, saporite; la sua ammirazione negli occhi non tanto per la ritrovata genìa, quanto l’orgoglio di conoscere chi vuole continuare attraverso la scoperta dei suoi luoghi a trasmettere la Memoria, di vita familiare o di Storia, qualunque essa sia.


I miei prozii: Ottavia, M.Emilia, Giustina, Corrado

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