“simile alla nuvola estiva che naviga libera nel cielo azzurro da un orizzonte all’altro, portata dal soffio dell’atmosfera, così il pellegrino si abbandona al soffio della vita più vasta, che lo conduce al di là dei più
lontani orizzonti, verso una meta che è già in lui, ma ancora celata alla sua vista.”
(Lama Anagarika Govinda, Le Chemin des nuages blancs)

NEBBIE E PASSI



Leggendo, di là su un forum, questa illuminante fraseologia, mi si è aperto un mondo..... in mezzo alla nebbia! :

“Se scendi al Rif. Croz poi ti fai un mazzo come un cammello per andare al Grostè, mentre il discorso Vallazza e c. , non conoscendo la zona, io lo eliminerei perchè se ti prendi i nebbioni tipici del luogo non ne vieni fuori. la zona è complessa, dalla Bocca della vallazza la nebbia ha creato problemi a noi per scendere alla Flavona, il che dice tutto. E'una delle zone del "Brenta nascosto" come le chiamiamo noi, e venendo da fuori, quando sei sul campo, le cartine le puoi usare come carta igienica: o sai dove sbattere per non infognarti e sai riconoscere dove sei da una sfolata di nebbia all'altra o sono rogne.”

Con Ivan e Erica ne siamo venuti fuori, e ho detto tutto!



Mercoledì 17  Dal Rif. Croz dell’Altissimo (1430m) – Vallazza – Busa dell’Acqua – Bocca della Vallazza (2453 m) – Pendici Turrion Alto – Passo della Gaiarda – Malga Spora (1854 m)
Sentieri 322, 314, variante Turrion, 301.
Dislivello: circa 1000 mt in salita, 600 mt in discesa; 5,30 ore con calma compreso il tè 


Non sto più nella pelle, sono così contenta che vengono Ivan ed Erica per accompagnarmi in questa tappa, che continuo a fare su e giù lungo il torrente in secca per tentare di prendere la linea e scoprire che non ci sono messaggi in arrivo. Eh sì, loro sono in ritardo e ho il timore che all’ultimo minuto non possano più raggiungermi. Ed infine eccoli, e provo un piacere immenso a rivederli, peccato solo per oggi.

Dopo un caffè ristoratore, si parte per questa valle massacrata, il primo tratto già affrontato ieri, ma oggi ho dovuto cedere alle insistenze gentili di Ivan che si è voluto caricare il mio fardello di 14 chili, così sono libera di chiacchierare e salire rilassata. Mi sento un pò in colpa, dai consigli che mi darà, lo zaino anche per lui non è proprio leggero, però..... :-))


Alla Vallazza non troviamo più i cartelli del giorno prima, il sentiero cambia continuamente ed è quasi impossibile rimanere sulla traccia ‘ufficiale’. Poco male, la mia soddisfazione è grande quando mi tiro sui cavi di questa via sconnessa: stiamo andando verso il mio desiderio di ieri, verso quella Busa dell’Acqua così misteriosa e occulta che ci si mettono anche le nuvole a celarla.


E allora salire è una magia, tra l’umidità che cresce, il bisbiglìo delle nostre parole, la contentezza di non essere da sola ma con due amici il cui legame non è rimasto imbrigliato nei meandri di una rete sconosciuta, ma è lì, evidente e palpabile come la neve che calpesteremo di lì a breve.




I nomi delle cime li imparerò solo al rientro, per adesso il mio sguardo gioca con le nuvole, a seguire il passo sicuro di Ivan che sembra esserci nato dentro queste pieghe martoriate, chiuse, disfatte.
La mia scarpa rinforzata stride a confronto della scarpetta leggera di Erica, dei suoi pantaloncini, abbigliamento assai curioso per un tragitto immerso nella neve fin nella parte terminale. Pietraia sconnessa, in bilico, inospitale cerca di respingere il passo, il gioco delle nuvole è dispettoso, calando su ogni cosa a permeare tutti gli spazi, persino le nostre parole. Pensarla d’inverno, questa valle, diventa una magia, uniforme canalone circondato intimamente da alte rocce, via obbligata tra le pareti aggettanti, ma che d’estate uniscono la ripidezza all’instabilità, rendendo estremamente faticosa un’ascesa lineare.




In questo paesaggio vanesio, etereo, impalpabile sfilano a fianco a noi le rocce martoriate di Cima Roma e poi di Cima Vallazza; l’impluvio del torrente, quando non coperto dalla neve, ci impegna a ritrovare costanza.

Il sole sembra beffeggiarci, e si manifesta solo nella parte più alta, al raggiungimento della sella, e noi per brindare ai suoi raggi ci prepariamo un tè. 


Il povero Ivan sembra stremato sotto il peso di una valorosa piccozza e tanto altro materiale, ma soprattutto è molto sorpreso che possa girare con tutto quel carico. In realtà la più meravigliata sono io, ma ormai il fardello è fatto e non si può lasciare. 


Col senno di poi, è stata una stagionaccia che mi ha costretta ad essere oltremodo prudente, sia per il tragitto sconosciuto che per il tempo, essendo nevicato fino alla settimana precedente la partenza.
Tè, frutta secca, cibarie e chiacchiere, ecco la nostra pausa che ci prendiamo alle pendici dei Mandrini: un lussureggiante ribaltamento di paesaggio ci accompagnerà verso il passo della Gaiarda, procedendo a contornare le pendici del Turrion Alto.


Quanto ho sognato e immaginato questi terreni sulla cartina, e scoprirli ora mi dà un gusto particolare, per il verde acceso dei prati che si mescolano alla più solida roccia, dapprima tappezzante e bianca, e poi via via più frastagliata, fino a che il prato zolloso riesce a sovrastarla. 


Il cielo è cupo come le chiazze pietrose, nuvole plumbee si posano e d’improvviso si sollevano, fino a che, scavallato il passo, non entriamo in un altro ambiente, decisamente più appagante ed umido, di rigoglioso verde e generoso sole.


Verso la Malga, costeggiamo le pendici del Monte Fibbion con il naso per aria e la macchinetta in mano: Ivan ci precede solo perchè vuole studiare la montagna per l’inverno, e si assicura gli scatti persino rallentando il passo!



I prati riposanti di Malga Spora sono invitanti e ridenti come i loro ospiti: l’accoglienza di Paolo, la simpatica frenesia di Cesarina la dicono lunga sulla vita non facile e la permanenza in questo posto isolato.




Peccato che la compagnia sia terminata: Ivan ed Erica devono ripartire per la Valle, il giro è lungo, e non sembra ma di fatica un pò se ne è fatta. Con rammarico li vedo scomparire aldilà dei prati, sul quel sentiero che mi attende per il giorno dopo.


Tra asini, vacche e un gioco di palla aspetto il buio e il sorgere della luna, ammirando scomparire piano piano quei confini montagnosi e misteriosi che si stagliano al tramonto, quando le ombre si allungano e calano le nebbie, così come il mio sonno.





Nessun commento:

Posta un commento