“simile alla nuvola estiva che naviga libera nel cielo azzurro da un orizzonte all’altro, portata dal soffio dell’atmosfera, così il pellegrino si abbandona al soffio della vita più vasta, che lo conduce al di là dei più
lontani orizzonti, verso una meta che è già in lui, ma ancora celata alla sua vista.”
(Lama Anagarika Govinda, Le Chemin des nuages blancs)

QET ' E (Frammenti) DI IRAN

                         

                          Paese ricco di Storia,




terra coperta da tutte le terre,

















architetture incastrate in mille pietruzze, vetri, mattonelle;



pezzi di pietra che sostengono la storia,











giochi di mattoni e di colori,
fluorescenze di specchietti e caleidoscopiche rifrangenze,

colonne,    archi,      
                     ponti,


 

costruzioni che si susseguono, svettano, svaniscono, rinascono, si abbelliscono nel corso dei secoli;

















luoghi di passaggio, calate di invasori, popolazioni scomparse, 




civiltà splendenti, successioni, imperi sfavillanti, capitali tramontate, re Grandi, vincenti, decaduti, sconfitti, difesi, traditi;




stragi di etnie e popolazioni, guerre sociali, guerre e estrazioni nucleari, rivoluzioni islamiche, repressioni civili;

terremoti, disfacimenti, crolli, rovine, ricostruzioni;














deserti,


laghi, montagne,

 
Vallate di Assassini, fuochi eterni, eterno silenzio.......











...Scritti al volo, riflessioni, flash, impressioni, scatti, riprese, videate, albe, tramonti, scale, chilometri, pezzi di mosaici passati e viventi che costituiscono i miei

QET'E  DI IRAN
___________(FRAMMENTI)___________________________________


Quando Sandra, amica modenese, mi comunicò la sua intenzione di andare in Iran la mia reazione fu violenta, lì per lì troppo eccessiva, pensando alla pericolosità del Paese, alla situazione estremamente delicata del suo governo, alle tensioni che si percepivano nelle comunicazioni dei nostri mass-media riguardo le sue attuali vicende interne ed estere.
Morale: la condannai aspramente, se non altro per la messa in pericolo della sua vita e del nostro affettuoso e amichevole rapporto.

Oggi, rientrata dallo stesso viaggio, dopo aver vissuto una minima esperienza a contatto con questo popolo e le sue convinzioni, dopo aver letto molto della sua storia, delle vicissitudini e conquiste succedute, delle perplessità e costrizioni vissute, delle violenze subite, della religione e della poesia che costituiscono la vita di questa nazione, mi sono convinta dei molteplici e anche involontari luoghi comuni e pregiudizi che circondano e circolano nel mondo occidentale intorno al Medio Oriente e ai suoi Paesi, molto lontani da noi e non solo nella distanza.

Ed il velo di certezze che fino a quel momento per me attorniava quest’area è miseramente crollato, lasciandomi ancora oggi numerosi ed irrisolti dubbi sull’interpretazione di questo sconosciuto mondo, che comunque gli garantisce, dopo una prima visita, la mia sicura volontà della sua ulteriore scoperta in tutti i campi.


La parola abbaglia e inganna perché è mimata dal viso,
perché la si vede uscire dalle labbra,
e le labbra piacciono e gli occhi seducono.

Ma le parole nere sulla carta bianca sono l'anima messa a nudo.
(Guy de Maupassant)

Per questo ciò che segue è solo l’istinto del mio vissuto che ha preso il sopravvento ed ha lasciato sulla carta quelle sensazioni che non saranno nè precise, nè giuste, nè errate, nè tanto meno certe, ma solo lasciate fluire dal mio troppo veloce pensiero e frenate dalla mia rallentata penna.


Iran: Dialoghi

TRA IDIOMA E SOCIETA’....

<<Questo paese non è fatto di individui deboli e inermi che aspettano che noi (gli Usa, gli esuli iraniani che non hanno più il polso di questa società, il mondo occidentale o qualsiasi altra entità o nazione che avanza tali protettive intenzioni) arriviamo a liberarli e li conduciamo sulla retta via.

Questo è un paese in movimento, che lentamente va evolvendosi e definendosi, venticinque anni dopo la sua Rivoluzione. Non ci sono linee di demarcazione nette nell’Islam, nella cultura, nella tradizione, non c’è un ‘giusto’ e uno ‘sbagliato’: è una società complessa, dove gli esseri umani abitano e vivono. Sta diventando sempre più difficile far passare questo semplice concetto, quando i media occidentali raffigurano il Medio Oriente o il mondo islamico (come se esistessero entità così omogenee) come regioni prive di umanità e normalità.>>
 (Narghes Bajoghli, reporter iraniana, vissuta in parte negli USA)


Dialoghi


<<Anna, scusa, è giusto dire in italiano...??>>,
La lezione di italiano a Mehran iniziava quotidianamente così, con le sue domande precise e le mie risposte spaziali, poiché tanta era la voglia di far conoscere la nostra lingua e di avere uno scambio di idee con chi come lui vive in questo Paese, ancora a noi occidentali per molti aspetti sconosciuto.

Il risultato è stato una costante altalena di dialoghi, espressioni, modi di dire, convinzioni, discussioni in italiano frammisto al farsi, di iraniano mescolato alla lirica; il nostro nazionale idioma farcito di grammatica, il suo linguaggio corrente immerso nella poesia. La correzione di una lettera d’amore ha coronato questo aulico scambio comunicativo, convincendoci entrambi che “tutto il mondo è paese”!

Come siamo finiti, poi, a parlare de “La civetta cieca”, racconto di un poeta narratore [1] “maledetto” e quasi esistenzialista, lo sa solo il nostro dar corpo alla voce del pensiero guardando scorrere il variegato panorama e le bellezze artistiche, alternando brani e leggende con squarci di Storia, interrogando il profondo dell’anima con quanto di religioso e mistico ha il quotidiano vivere iraniano.

E di riflessione in linguaggio, abbiamo scoperto centinaia di anni di storia e cultura, e coperto migliaia chilometri.

Ma lingua e farsi iniziano a mescolarsi già nei bazar, ascoltando con piacere un marito che suggerisce alla moglie poche parole inglesi per venire a conoscerci;

continua subito dopo con la risposta scanzonata e dispettosa di una ragazza, visibilmente scossa per la perdita di un parente, al fratello che la rimprovera di volerci regalare il pane, per lei occasione di conoscenza con noi - scena questa che si è lasciata immagazzinare nella mia mente come piacevole ricordo di un pomeriggio in libertà -.


E ad Isfahan, ancora rammaricata per aver ascoltato parole di sconforto sulla vita mal vissuta del venditore di pennelli, che non vuole vivere in questo Iran, continuo a mortificarmi per non avergli stretto quella mano da me spontaneamente offerta e subito dopo velocemente ritirata: sento ancora il suo amareggiato ed interrogativo sguardo che mi segue mentre esco dal negozio.


Ma sono altre le espressioni che compensano quel disagio interlocutorio: l’innocente spalancare gli occhi di un neonato in braccio a una bambina, ed il suo successivo sorriso corrisposto al mio nel bazar di Kerman; la curiosità tutta infantile di Setafhe sul mio nome all’aeroporto di Shiraz;





l’esibizione fiera ed involontaria di un fabbro, subito seguita dalla storia di un vecchio  lì presente, tanto amabile ed espressivo, dolce e gentile quanto assolutamente incomprensibile; il mio continuo ed incessante contrattare con i negozianti per il solo gusto di stabilire  e vivere quel punto di contatto che illumina entrambi: la mia memoria segna come storti gli occhiali sul volto del venditore, ma dritto arriva all’animo, e vivido, il suo soddisfatto sorriso!


Ed il muto dialogo contagia.
Mentre cerchiamo pace nel nostro girovagare, una anziana signora invita Elena a parlare con lei, e come tutte le persone di una certa età che si rispettino le racconta i suoi mali, non ultimi i suoi indecifrabili dolori articolari: il tutto termina con grande solidarietà e sorrisi, di quelli che sfuggono alla Storia ma rimangono nel cuore.


E ancora, per strada, chi non sa parlare ad un folto gruppo di indiscutibili turisti come noi, ma lo vuole, si aggrappa alle conosciute ed internazionali occasioni: i nomi dei calciatori italiani e stranieri sono sciorinati solo per la gioia e la fierezza di aver dialogato con noi, e... noi con loro.

Ma il culmine è raggiunto dalla ritardata infanzia di Giulia e Dario, che tra una giostra e l’altra, una partita a calcio coi bimbi e uno sguardo fuggevole al passato, intrattengono svariati minuti e parole con tutta la gioventù iraniana. I temi affrontati, però, sono per noi, vissuti del gruppo, ancora un mistero!

E agli sguardi e al linguaggio seguono i gesti, quell’idioma internazionale che fa intendere centinaia di popolazioni, etnie, civiltà: vederci offrire frutta, sorrisi e alimenti, dolci o salati, solo a sentirci parlare; ricercare in una foto insieme, italiani e iraniani, l’orgoglio di condividere con l’occidente la loro essenza del tradizionale; quello scambiare pane, farsi e inglesi frasi a Kandovan con la sorella di un immancabile fratello; o l’invito a visitare l’ abitazione antica di una donna iraniana vissuta a Torino e tornata a vivere le contraddizioni dei due mondi nel suo Paese.

Il colmo è superato nella buia Teheran, quando M.E. chiede entusiasta ad un gruppetto di vigili di illustrarci la via,  - chi meglio di loro? - e loro, dopo lungo parlottare e decidere insieme, si sono rivolti ad un passante, che in perfetto inglese ci ha così edotto:” Can I help you?”. E noi, con celata ilarità, ci siamo lasciate pazientemente erudire!!


Ma non è ironia quella che suscita il ruhani incontrato: in un'ora e mezza di scambi espressivi, le parole della conoscenza più profonda della Sunna mal si legano con i concetti di libertà e diritto concessi a una popolazione troppo schiva e schiava dello scheletro nel cassetto, demonizzato sotto forma di americanizzazione o influenza occidentale. Ancora rimbomba nella sala dell’udienza - esposta in perfetto italiano da chi ha origini e vita miste -  la negazione del peggior crimine perpetrato nei confronti del popolo ebraico, attraverso parole d’ odio verso la nazione che descrive la Palestina ‘Terra senza popolo, per un popolo senza terra’, quest’ultima soffocata nei più elementari diritti civili. Frasi che risuonano come eco della somma  autorità religiosa iraniana oggi scomparsa e del suo attuale governatore : <<Qualsiasi Paese islamico che riconosce Israele, commette un crimine imperdonabile e dovrà affrontare l'intera comunità islamica”, “Israele dev'essere cancellata dalle carte geografiche >>, questo scandisce il mullah, suscitando irruente reazioni scaturite dalle nostre inorridite menti.

E l’acceso scambio d’idee continua, stavolta tutto in casa italiana, tra le convinte e sostenute tesi di G. e lo svizzero M., che supporta deciso contrarie scelte politiche italiane, seppure a ragion tacendo con il suo inseparabile compagno di stanza, di fermissime idee contrapposte, condividendone appieno solo l’anticipata quotidiana levataccia!

Malgrado l’individuale curiosità di ciascuno di noi nei confronti di questo sconosciuto Paese, tra una lezione e l’altra, il silenzio ha sovrastato per gran parte degli spostamenti e non per una qualche incomprensione di linguaggio, ma semplicemente perché il gusto stava assaporando tutte le squisite bontà dolci e salate, in forma di amaretti, pistacchi, banane, yogurth, caprino, miele, uvetta e dolciumi di tutti i tipi, prodotti dalla saporita terra.

....E chiamatemelo IDIOMA!....



[1] [Sadegh Hedayat, autore de “La civetta cieca” e “Tre gocce di sangue” non racconta gli innamorati e le loro disavventure, gli intrighi della corte, le gesta eroiche, neppure favole o storie edificanti, bensì il male di vivere in un paese antico che deve fare i conti con la modernità, con il capitalismo che bussa alle sue porte e con una nascente borghesia ancora priva di identità e culturalmente incerta. È stato un testimone sincero del passaggio incompiuto e doloroso dell’Iran dalle tradizioni feudali all’era moderna....Il suo stile è uno strumento per raccontare i suoi sentimenti. Ciò che pensa lo trasferisce direttamente sulla pagina: non sceglie le parole e non cura la bellezza della composizione”. (Bijan Zarmandili, gennaio 2006)]


segue con :Iran - il peso del Velo

Iran: il peso del Velo


……..IDENTITA’……….


In tutti i miei viaggi ho sempre calato un occhio particolare sulla condizione femminile dei paesi che sto visitando, forse per solidarietà di comprensione, o più in generale perché con le donne il linguaggio e la comunicazione è più facile per il vissuto di una stessa condizione, così come lo scambio di esperienze e situazioni.
Ultimamente, però, sono entrata in un altro pianeta, molto più oscuro, e non solo nelle sembianze, ma soprattutto nella sostanza, quello del mondo islamico, arabo, musulmano, oltre i confini del nostro occidentale. Ed il mio cervello ha fatto tilt.
E’ difficile penetrare in un mondo che resiste, che è curioso ma non comunica, che si stupisce ma non trasmette diversità, che è indifferente all’apparenza pur essendo profondamente differente. Ed in questi Paesi mi sono sentita profondamente straniera, quasi quanto mi sono sentita bianca nell’Africa nera.
Nell’epilogo del suo libro, Il mio Iran, scrive Shirin Ebadi, premio Nobel per la pace 2003:

“ Sulla mia scrivania a Teheran c’è il ritaglio di una vignetta che mi piace tenere sotto gli occhi mentre lavoro: raffigura una donna che indossa un elmetto spaziale, piegata su una pagina bianca e con una penna in mano. Mi rammenta una verità che ho imparato vivendo e che riecheggia nella storia delle donne iraniane attraverso i millenni: la parola scritta è lo strumento più potente che possediamo per proteggerci, sia dai tiranni sia dalle nostre tradizioni. Che si tratti della leggendaria Sheheradaze che si sottrae alla decapitazione raccontando mille e una storia, di poetesse femministe del Novecento che hanno sfidato con i loro versi la percezione della cultura femminile, o di avvocatesse come me che difendono in tribunale chi non ha alcun potere, per secoli le donne iraniane hanno fatto affidamento sulle parole per cambiare la loro realtà.”

Non sono iraniana, ma tenterò di descrivere le sensazioni che ho provato nell’ immergermi in questa terra così diversa nell’uguaglianza, così irrilevante alla diversità, così troppo curiosa e istintiva tanto da unire piuttosto che escludere. E se la strada porta ad un vicolo cieco, tornerò indietro per la stessa via, avendone comunque conosciuto la fine, e con ancora la voglia di uscire dal dedalo dell’incomprensione.



IL PESO DEL VELO



“Libertà di pensiero”, sono le parole del ruhani incontrato; “libertà di essere” si contrappongono le nostre; il velo sulla testa la catena per l’autodeterminazione.


Toccarsi, ridere, ballare, baciarsi, spettano solo al privato e al giorno più bello, anch’esso legato ad un contratto da anelli di monete: se prosegue per la vita diventa patrimonio, al contrario si trasforma nella chiave del lucchetto per la propria libertà. Matrimonio temporaneo è il ricatto e talvolta il riscatto delle vedove, delle donne più povere, di quelle emarginate.

Bambine con il capo coperto tengono tra le braccia l’unico essere veramente libero nella sua innocenza: occhi spalancati di un neonato che ridono del tuo sorriso, e questo lo porta ad emettere gridolini e gorgoglii comunicanti gioia. Sono loro che riconoscono lo sconosciuto, ti chiamano, ti sollecitano, e la voglia di esprimere la loro gaiezza ti spinge a rispondere con l’unico gesto veramente internazionale di divertimento.

Ma la spensieratezza è interrotta dal carico sulla testa: due lembi di stoffa che stringono il collo, lo avvolgono, lo strozzano, l’incastrano per una vita intera, e non c’è prezzo per la sua libertà, non un filo di ribellione fuoriesce da quella gola coperta, serrata, nascosta, non un alito di indipendenza si dissolve nell’aria, ma rimane intrappolato, muto, nelle 4 mura.


Frastornata ti aggiri per strada: volti troppo uguali differenziano corpi drappeggiati di nero, all’ultima moda; medesima tristezza e rassegnazione sui volti dei manichini femminili diversificano le stoffe, e dove non si vuole evidenziare l’identità femminile, la decapitazione del cervello è più che manifesta.


Ma rimangono gli occhi a comunicare al mondo che l’universo di donna non è tutto uguale, piatto, privo d’intelletto: l’incrocio degli sguardi si perde nella sete di conoscenza e comunicazione, dialogo e curiosità, urlando al mondo occidentale ciò che le parole non dicono, ma che esprimono tutto il loro volere essere donna nell’identità internazionale.

Il peso del velo ti ricorda chi sei, lo porti senza dignità, appartiene ad un altro mondo, ma ti ci stai abituando: lo tocchi, lo sistemi, vuoi essere sicura che copre quel tanto che basta a non offendere un nemico invisibile, a smorzare una voce che non c’è ma che non ti abbandona, anzi ti lega a quel pezzo di stoffa. Lo palpi, lo senti, sei più tranquilla. Il rispetto che esso crea ormai è iniettato in te, diventa quasi naturale averlo, ti senti monca a non percepirlo. I tuoi amici costantemente te lo ricordano, ma ormai è considerato parte del tuo essere in questo Paese, se vuoi condividere, seppur pesantemente ed involontariamente, la quotidianità della popolazione e comunicare con queste genti.

Ovunque incroci gli sguardi delle donne che con curiosità, ed un pizzico di stupore, vorrebbero conoscerti, e lo fanno, e tu, tra la gioia dell’incontro e la fugace incomprensione, ti senti sempre più straniera, frustrata di quella assurda incomunicabilità.

In molti ti hanno ingannata: paese pericoloso, diritti umani inammissibili, libertà negate. Tutto questo forse in parte è vero, così com’è reale anche il baratro creato tra l’occidente ed una nazione che non ne vuol sapere di prendere coscienza della propria indeterminazione.

Ma le voci di donna si sollevano anche sotto il velo nero; l’unione dei paesi forse si allontana, ma vicina è comunque quella globalizzazione che rende tutti uguali, seppur viventi in mondi diversi.

Ed eccole allora le donne che pur gestendo quotidianamente la religiosità legata a questa società e a quel sottile pezzo di stoffa, non tacciono delle ingiustizie legate alla condizione femminile, anche se inconsapevoli del loro femminismo nascente; donne che non sopportano con rassegnazione il laccio al collo del fazzoletto, ma che con lo stesso panno legano insieme speranza e determinazione a far valere in ogni campo il proprio essere donna, ed in alcuni casi, anche solo il proprio essere.

E quando cade questo fazzoletto? Quando questa aureola che reprime la giocosità di un’infanzia spensierata – perché già da adolescente devi prendere precocemente coscienza della tua inferiorità sessuale indossando l’hejab–, quando questo alone svanirà nella limpidezza dell’aria, assieme alle colombe che identificano il moto circolare della vita ed insieme ad essa  si solleveranno nel cielo delle libertà dei diritti?

Sono arrivata al muro di un vicolo cieco, il rammarico è grande, ma l’ostacolo è troppo alto per passare oltre.

Torno indietro e ripercorro la strada, ma forse occorrerà attendere un altro viaggio, o accettare la consapevolezza che ciascuno nel proprio Paese intraprende battaglie per il vivere civile, e che la mia comprensione da sola non è sufficiente ad esprimere affermazione di libertà verso quel mondo in cui ogni donna è uguale nella sembianza ma profondamente diversa nella propria soggettività.

Non credo che lo saprò mai, perché sono occidentale, e perché ormai è radicato in me quel senso di autodeterminazione che mi impedisce di vivere un cammino diverso dal mio, un tragitto che accetta il peso del velo in cambio di una vita dignitosa.

Esistenza che non spetta a me giudicare, tutt’al più comprendere.

E sono contenta di averci provato.
P.S. : mi hanno aiutato in questa ricerca di consapevolezza femminile:


Giuliana Sgrena, Il prezzo del veloFebbraio 2008
Lila Azam Zanganeh, Chi ha paura dell’Iran? - 2006
Lilli Gruber, Figlie dell’IslamOttobre 2007
Renzo Guolo, La via dell’ImamMaggio 2007
Shirin Ebadi, Premio Nobel per la pace 2003, Il mio Iran2006
Conversazioni con Mehran, traduzioni, modi di dire, dialoghi e scambi dal farsi all’italiano, Ottobre 2008