Sabato
13 Salita al Rif. Cacciatore (1820 m) da S. Lorenzo in Banale (758m),
passando per le Mase Alte e Basse. Sentiero 325 per la Val d’Ambiez, Malga
Laon, Ponte di Brocca, Ponte di Paride.
Dislivello:
1062 + circa 350-400 m di digressione;
dalla
strada 4,30 ore, complessivo 7
“37. Sentiero le "Mase Alte", S.Lorenzo
Poco sopra la fontana
di fronte alla chiesetta di S. Matteo in Frazione Senaso, dove la strada per la
Val d'Ambiez fa una curva secca, si imbocca la rampa della mulattiera. Si
prosegue diritti per stradina selciata fin oltre la frazione di Senaso. Giunti
ad un primo bivio si tiene sempre il tracciato che segue diritto leggermente a
sinistra. Dopo i due masi si prosegue sempre a sinistra su stradina serpeggiante
con sede naturale continuando lungo l'evidente tracciato nel bosco fino a
incrociare l'erta strada che sale dalle "Mase Basse" con fondo sassoso.
La si imbocca a destra
e si sale fino a raggiungere un altro maso ristrutturato. Qui si prosegue verso
destra seguendo il sentiero che sale fino a giungere alle case più alte.
Continuando a salire per la strada si giunge ad incrociare la strada forestale
che sale verso la forcella Bregain (sentiero SAT 351). ”
Così recita una descrizione su
un sito, ma paga di tanta ricerca on-line, scoprirò presto che la speditezza di
battitura sui tasti non corrisponde alla fatica improba che mi sono ritrovata a
fare tentando di scoprire le Mase Alte, così ben descritte sui siti da rimanere
perfettamente nascoste nella boscaglia reale.
In su e in giù per due volte,
con quel carico da afflizione sulle spalle; una strada forestale sconnessa e
quasi inesistente, franata, tirata dritta per dritta, e sempre i medesimi
cartelli: in giù Mase Basse, in su il nulla. Il cielo chiuso e plumbeo sopra di
me, uno sguardo all’orologio che non ho, e la decisione di abbandonare quel
percorso avventuroso, e forse troppo impervio da fare sotto la pioggia, è presa
in breve tempo.
Alla fine della giornata avrò
macinato oltre 1300 mt quasi invano!
Ma
è tempo che prima di tutto io parta:
ore
7.00, siamo fermi a Rovereto da oltre un quarto d’ora; il treno è in anticipo e
non può entrare a Trento. L’attesa dell’autobus che mi porterà a S. Lorenzo è
poca roba, dopo una notte alle luci fluenti della velocità ferroviaria, la
tapparella rotta come nelle migliori tradizioni italiane, il vagone tutto mio.
I
due pullman in coincidenza spaccano il minuto, i panorami fino a S. Lorenzo in
Banale sono eccezionali, con le pareti di Sarche che lasciano a bocca aperta,
la curiosità sulla Masera di Comano e sulla ciuiga del Banale. A lato della
piazza mi vesto e mi carico in tutti i sensi: ma è ancora presto per maledire
il percorso, il cielo, le nebbie, il peso e la ripidità di quei mille metri che
diventeranno presto molti di più.
La
erta digressione alla ricerca di un sentiero che non c’è è stancante e
deludente, dopo il tempo è stretto e il cielo plumbeo, per cui mi toccherà fare
la strada fino al Rifugio Cacciatore, e non posso fare altrimenti, data la
stanchezza ancora prima di iniziare.
Saranno metri in salita molto duri, accompagnati da due biker con i quali ci diamo il cambio a tener testa alla pendenza del sentiero, all’umidità che non molla, alla nebbia che ci avvolge in un clima di ovattamento e staticità.
Saranno metri in salita molto duri, accompagnati da due biker con i quali ci diamo il cambio a tener testa alla pendenza del sentiero, all’umidità che non molla, alla nebbia che ci avvolge in un clima di ovattamento e staticità.
Ci
si ferma, si parla, si sale, si suda: la Val d’Ambiez rimane incassata tra le
nebbie; i fianchi ora alberati, ora prativi incombono sul fondo di questa
strada sconnessa,
a tratti sul sentiero quando l’orma svicola dall’asfalto, la voce del torrente che si sente intermittente e per un poco ci accompagna.
La
calchera riportata alla luce ovviamente attrae, curiosità obbligata per una
forzata pausa.
Per
me è lo sprint finale: dalla cartina rimane uno stretto tornante e poi la
linearità del percorso. Ancora non immagino che saranno per me i metri più
terribili di tutta la giornata prima di giungere al confortevole rifugio.
Le
curve secche e ripide mi portano all’entrata di prati, malghe e cespugli, è la
zona di Senaso, ma giunge anche l’acqua che statica guardava verso il basso:
100 metri ancora, ma il rifugio non si vede, eppure so che è vicino.
I
biker che ho staccato seppelliscono le bici e proseguono bardati a piedi sotto
la pioggia, li seguo dall’alto in lontananza mentre mi riposo in attesa che
diminuisca il rovescio. Decido di sedermi e partono i crampi, prima ad una e
subito dopo all’altra gamba. Mentre urlo, sola e sconfortata sdraiata in mezzo
alla strada con i muscoli imballati, passa l’unica macchina della giornata, che
mi costringe tra un falso sorriso e una bugia a non maledirne apertamente i componenti
che mi costringono ad alzarmi da lì; la legge di Murphy è rispettata in pieno:
se ti possono rompere, lo faranno nel momento peggiore, e quello per me lo era
decisamente.
Sotto
l’acqua arrivo al rifugio con le mie gambe, e finalmente trovo l’ospitalità che
mi circonderà per due giorni.
Sorridendo,
scovo appesa al muro la mia via,
e con le mie chiacchiere ammalio gli ospiti,
già pensando al percorso di domani, progetto ambizioso che non porterò a
termine sempre per le deviazioni errate su un territorio che non conosco.
Ma
poco male, la semplice scoperta renderà la giornata oltremodo entusiasmante,
per adesso un bicchiere di birra e le assonnate parole concludono la faticosa
giornata.
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