Domenica
14 Salita dal Rif. Cacciatore (1820 m) a Colmalta, passando per il Pra
del Vescovo, le pendici di Busa di Senaso e dei Marugini. Sentiero 325 - 348.
Sgambata a Busa di Prato.
Dislivello:
circa 500 mt
Il fischio del camoscio è acutissimo
e quasi mi stordisce in quel silenzio ovattato dal bello e dal grigiore. Ero
certa di trovarli in questa landa deserta, ma non così vicino, odore di
selvatico penetrante che si sente già da un pò, e poi mi ha trovata lui!
Sparisce mentre alzo la macchinetta, e finalmente mi siedo a riposare.
La
stanchezza del giorno prima si è dilatata nella notte, senza il peso dello
zaino sono molto più agile e piena di energie, così tante che sicuramente mi
permetteranno di arrivare a Malga Asbelz anche se il percorso è lungo. Questo è
il mio obiettivo di oggi.
Ma c’è qualcosa che non mi quadra, dovrei essere sul sentiero 325 che si innesta in alto con il 348, ma non ho incontrato alcun cartello.
In
compenso ho recuperato i biker che con il binocolo alla mano stanno scrutando
le rocce in cerca di camosci. Senza occhiali ho la vista di un falco, e glielo
trovo io... Rimaniamo in contemplazione fino a che l’animale non sparisce, ma
io devo anche risolvere il mio sentiero. Tutti quelli che incontrerò sono o
stranieri o villeggianti, e forse non sanno neanche loro dove sono.
Alla
fine trovo due locals, che sfrecciando mi danno indicazioni vaghe sul
ritrovamento di tracce di sentiero: se ce la fanno loro, ce la posso fare pure
io.
Ritornando sui miei passi alla fine scovo una labile traccia, è senz’altro per me,
e seguendola arriverò alla mia cima di giornata.
Il cielo nel frattempo
gioca ad abbracciarsi con le nuvole e a farsi grigio al loro rifiuto, i locals
sono ormai due puntini e da Malga Prato di sotto sta per giungere un gruppetto.
Non sono sola, ma mi fa quasi piacere. In realtà il gruppo corre, nel vero senso della parola, e in brevissimo scompaiono alla vista, inghiottiti da quelle pieghe di pietra e roccia che tutto circonda questi spazi.
Il fischio dell’animale mi distrae quanto basta a farmi decidere che anche oggi non è giornata di fare grandi cose: per arrivare alla malga occorrono almeno 4 ore di sentiero impervio e il cielo si è fortemente oscurato.
Da Colmalta in poi la via diventa una traccia tra rocce e
sentiero scosceso e l’idea di un temporale su monti che non conosco non mi alletta
per nulla. Proseguendo fino al ghiaione, quindi, mi godo questa roccia a tratti
spettacolare per la sua solidità, a tratti decisamente frantumata: la testata
della valle è chiusa da quelli che sembrano accartocciamenti pietrosi, alti e
compressi, ma così sconnessi da non invitare all’interno: sono le coste e le
pieghe di Busa del Lago e Busa di Senaso. Non vedendo traccia alcuna, non mi
avventuro.
Il
sentiero si immerge nei primi rododendri che sbocciano in questa estate
primaverile, lo spettacolo rapisce gli occhi e mi perdo nella distesa dei
petali rosa e del verde intenso dei pini, qualche macchia di neve ancora rende
candido il contrasto.
Al ghiaione ai piedi dei Marugini dico basta, non ho
voglia di impelagarmi su un terreno che non conosco con i fulmini sulla testa,
e scendendo mi riempio il cuore di verde e tranquillità.
La
roccia parla da sola, ma i luoghi sono popolati da cacciatori e locali: un
padre ha bivaccato con il figlio per condividere con lui queste bellezze
spettacolari all’alba della giornata e non solo dell’adolescenza.
Scendiamo
un pezzo insieme, e mi ritrovo ormai sul vero sentiero che avrei dovuto fare la
mattina, ma non mi è dispiaciuto per niente fare questo anello: il sentiero 348
corre a filo delle montagne scoscese sopra la Val d’Ambiez, e il profumo di
resina mi accompagna ormai fino al rifugio.
Rifocillata,
ben presto scalpito, difficile per me stare ferma al rifugio e non resistendo,
anche se il tempo non è dei migliori, mi avvio sulla sterrata verso la Busa del
Prato.
Così mi immergo completamente in questa valle circondata ad anfiteatro
da cime di tutto rispetto, galleggiante nella nebbia che allargandosi occupa
tutti gli spazi, fino a nascondere il sole e a contrastare le creste;
prati gialli che si sposano con gli spalti di roccia, interrotti solo dalle balze di roccia.
Alle prime gocce, decido il ritorno.
Sulla strada di rientro, l’altare di Don Luciano rende mistica la serata: un silenzio raccolto intorno alla passione, alla natura selvaggia, all’ineluttabilità della vita animale od umana che sia.
Al
rifugio trovo Luca e Paul, ragazzi squattrinati, dall’entusiasmo dirompente,
vogliono coronare il loro sogno di attraversare questi monti, parallelamente al
mio percorso, ma nella metà del tempo. Monteranno la tenda per svegliarsi
presto, ma sarò io la prima della mattina successiva a godere di un’alba che mi
accompagnerà fino al rifugio della campanella e poi ancora oltre, a riscoprire
valli e monti.
Non
li incontrerò più.....
continua con : Incoscienze
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