Racconti montanari
28 Ottobre 2006 - Gruppo del Velino - Cima del M. Velino da Rosciolo; discesa per il M. Rozza e Traverso dei Fossi - Gita Escursionistica
Gli occhi del Grifone
“Esistono specchi ottimisti come esistono specchi pessimisti.
Quello del mio bagno temo sia soltanto obiettivo.”
Oreste Del Buono, L’amore senza storie
Dedicato a Giorgio e Claudio C., perchè:
... se aspettavate una settimana potevate godere di gentile compagnia femminile, gradevole e motivata tanto quanto la vostra voglia di “fare cima”;
... forse potevate non essere scambiati per due ‘compagni di vita’ e rimproverati per la poca socialità;
... in questo nostro giorno potevate partire un pò più tardi ed arrivare in cima un pò prima (qualunque sia stata la motivazione per ciascuno di noi, essa ha messo le ali ai piedi), esultando un record;
... potevate prendere tutto il sole del mondo, in un’esplosione unica di colori autunnali, fare quattro cime ed una discesa spettacolare inusuale;
... se ti avventuri in montagna, chi non è con te si è sicuramente perso qualcosa... e voi oggi l’avete perso.
E, non ultimo, perchè... poichè questo Velino non l’avete raccontato voi, è toccato a me descriverlo con........
Gli occhi del Grifone
Distolgo lo sguardo malvolentieri dall’orlo del baratro roccioso che contorna il pianoro alla base del M. Sevice.
Non una nuvola si spande nel cielo azzurro, il sole è caldo e la brezza fresca ci accompagna sopra gli spalti dell’anfiteatro ghiaioso, che si estende tra la sottostante Val di Teve ed il primitivo Vallone dei Briganti.
Le “canalette delle crode”, come le appella Mauro Corona, precipitano sotto i nostri piedi, lasciandoci scoprire ad una ad una le impressionanti asperità di questa montagna rocciosa, ghiaiosa, arida, grigia, affilata, spezzettata, affiorante, scomposta, eppur magnifica nei suoi pinnacoli, anfratti, corridoi rocciosi, ghiaioni, pieghe e dirupi.
Ma gli occhi che guardano sono altri: sei paia di sguardi volanti sorvolano indifferenti questo dirompente spettacolo della natura.
Il loro volo è regale, come maestosa è la loro apertura alare; con dolcezza planano, si ergono, si dividono, si riuniscono, si incrociano, si allontanano.
E mentre li inseguo stupita, un’ isolata coppia di grifoni inizia il suo balletto lento, superbo, imponente, libero.
Le ali sfiorano l’aria quel tanto che serve a rendere unica, contemporanea e perfetta la loro stabilità, parallela ed invisibile scia di una danza nel cielo, inconsapevoli protagonisti delle nostre curiosità terrene, padroni solo dell’aere e della loro sovranità.
Sono inchiodata al terreno, con la testa all’insù, a non voler perdere neanche un fremito di quelle lunghe e ferme braccia alate, a seguirne il disegno nel più azzurro dei cieli che questo ottobre insolito ci ha regalato.
Ed ecco il premio di tanta perseveranza: la loro picchiata verso le ripide pareti che mi circondano, l’incisività dell’espressione così ravvicinata da poterla inquadrare ad occhio nudo mi emoziona più del previsto, il loro sguardo perso nel mio, mi bloccano nel mio cammino verso la cima.
Oggi, più volte, la mia attenzione sarà calamitata verso tanto desiderio di libertà, più volte le ali di Icaro ci priveranno con il loro volteggio della capacità di rimanere terreni, obbligandoci a sognare gli ampi spazi di cui solo loro sono i detentori, intrappolandoci così nelle equidistanti piumosità dei loro arti.
Ma a questo punto siamo oltre la metà della nostra gita, iniziata con un costante e veloce susseguirsi di passi e chiacchiere lungo l’abbacinante sentiero che da Rosciolo porta alla Capanna di Sevice.
La via è tutta ripitturata, ma non è il colore dei segni a rapirci, bensì il tappeto di mille foglie di faggio accartocciate, antocianate, marroni, mimetizzate nel colore del bosco che lentamente sta perdendo le sue forze, rinvigorito a tratti dall’ancora sempreverde quercia circostante. Macchie rosse di colore intenso indicano il perdurare della vivida veste dell’acero, mentre il dorato giallume dell’olmo segnala il tramonto di vita delle innumerevoli fronde che lo stanno abbandonando.
Muli statuari, immobili, un pò pendenti, ascoltano, indifferentemente fermi, le nostre chiacchiere alla Fontana di Sevice; i miei occhi, veloci e scintillanti, assaporano già incuriositi le misteriose svolte dello sconosciuto sentiero che lì gira dietro la montagna, laddove compaiono in fila indiana altri muli, provenienti da una terra sinora inesplorata.
La convinta, indifferente e rapida digressione di Flavia sul M. Sevice ci fa sorridere piacevolmente, e tra Moshen e me inizia un simpatico scambio di opinioni sulle possibili motivazioni di siffatto e deciso isolamento: bisogno di intimità?, riflessioni sulla vita?, recupero del proprio essere?, elaborazioni di un incontro mattutino? nulla di tutto ciò. Evidente errore montanaro? Questa poco bucolica certezza non rallenterà il piè veloce verso la cima, addolcita, dopo i suoi ultimi dannati cento metri, da favolosi condorelli, condivisa con altri pellegrini a goderci il sostenuto sole di mezzogiorno, in un panorama dalle così ampie vedute da far confondere gli astanti tra Lago del Turano e Lago del Salto.
E la discesa si snoderà su terreni sconosciuti, a scoprire le curve del M. Sevice e le aeree creste del M. Rozza, dapprima con le strapiombanti e strabilianti vedute dagli Jacci di Rozza, sovrastanti la splendida Val di Teve ed i contrafforti boscosi del Murolungo, proseguendo poi lungo la Rava di Peschio Capraio, tra balzetti rocciosi, ghiaie, ginepri e rododendro. E lungo il cammino, i raglìi dei muli riecheggiano nell’ambiente a sedare i gemiti muti e disperati dei loro compagni precipitati antecedentemente nei fossi, dove le enormi ossa si accumulano a tragica testimonianza.
E l’intrecciarsi di mille sentierini copre la vera via, lasciando alla nostra fantasia il districamento del loro Dedalo, ma ognuno dei quali ci condurrà comunque al punto di partenza e all’anelata birra, coronamento regale di una giornata in libertà.
Insieme ai grifoni, si sono librati in volo sulla cima del Velino i piedi alati di Flavia e Moshen, unitamente alle ali variegate
ma costituite da una sola penna,
quella, ormai consueta,
della vostra Derspina
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