“simile alla nuvola estiva che naviga libera nel cielo azzurro da un orizzonte all’altro, portata dal soffio dell’atmosfera, così il pellegrino si abbandona al soffio della vita più vasta, che lo conduce al di là dei più
lontani orizzonti, verso una meta che è già in lui, ma ancora celata alla sua vista.”
(Lama Anagarika Govinda, Le Chemin des nuages blancs)

Gli occhi della Duchessa

Gli occhi della Duchessa  (di Giovanni Busato)



Fossi un gufo volerei in Val di Teve. 
Su, su fino al Malopasso, oltre il quale il Lago della Duchessa è intrappolato 
tra gli avvallamenti di un altopiano tormentato, dimenticato là dall’antico ghiacciaio 
che dai circhi sommitali si aprì, devastante, la strada verso il mare. 
E’ verde scuro di acque calpestate, il lago; 
come gli occhi di Costanza che io so, essere stata Duchessa 
di queste terre bellissime e del suo Velino, 
che si erge sopra il Borgo con le sue linee perfette che sfumano nel cielo. 
Il gufo vola basso sui faggi centenari, 
luoghi di gnomi, folletti e streghe danzanti, 
tra pareti di calcare cangiante che incombono sul bosco che dirada 
verso l’alto in ripidi pascoli e instabili ghiaioni fino nel cielo dei grifoni. 
Fuori dal bosco vibra la magia dell’Appennino; in basso la pianura, 
i paesi, a volte il mare. 
Non è più andare in montagna partendo dalla montagna dove già vivi, 
è abbandonare di colpo un mondo che va dritto per la sua strada, 
e ha il viso assonnato ed indifferente della gente seduta sui tram 
che passano per Roma alle sei del mattino, 
quando i sampietrini luccicano di umidità, alla luce gialla dei lampioni 
ancora accesi anche a Campo, dove Mario scarica, per l’ennesima volta, 
le sue casse di frutta. 
Si parte dal piano, magari dal mare per trovarsi improvvisamente 
in una terra di mezzo; terra rassicurante, amica, 
come il sorriso caldo delle streghe che incroci 
ad ogni loro sguardo distolto rapido ai frequenti crocicchi, 
fonti di arcane formule. 
Il grifone vola altrove oggi. 
Come i nostri pensieri che corrono tra le mille cose che vorresti dire 
e che poi rimangono là, non dette, assieme a mille abbracci, non dati. 
Montagne di un giorno, 
perché la sera giunge troppo svelta che già ti saluti: 
“all’anno prossimo, magari prima,.. chissà” 
E una dolcissima sensazione di pura amicizia ti pervade mentre volti le spalle 
a queste terre di Mezzo e ti immergi, 
zaino in spalla, di nuovo tra la folla che sciama indaffarata. 
Ed è di nuovo notte, allegra, colorata, calma come un mare in bonaccia 
dalla superficie luminescente; 
berrei volentieri un bicchiere di vino rosso Maurizio, 
ancora uno, tra noi con le nostre splendide streghe, 
ma sarà per un’altra volta, verrà altro tempo.            

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