“simile alla nuvola estiva che naviga libera nel cielo azzurro da un orizzonte all’altro, portata dal soffio dell’atmosfera, così il pellegrino si abbandona al soffio della vita più vasta, che lo conduce al di là dei più
lontani orizzonti, verso una meta che è già in lui, ma ancora celata alla sua vista.”
(Lama Anagarika Govinda, Le Chemin des nuages blancs)

Nero e Bianco


LA MIA RINASCITA:    NERO e BIANCO



Buio e luce, oscurità e chiarore, tenebre e sole, ossidazione e lucentezza, ossessione e chiarezza, nero e bianco, plumbeo e neve, terrore e libertà, offuscamento e lucidità.

Nero come la notte e la non conoscenza, bianco come il sorriso illuminato di chi ti conosce;

nere come la solitudine e l’inquietudine, bianca come la neve che ci circonda;

nera come la croce che si staglia lontano; bianca come la luce che risaltandola l’attornia;

neri sono i puntini che distanti, scivolando, si perdono in questo mare di bianco;

neri sono gli ammassi calcarei, scuri, immobili, che risaltano nel candore delle guglie immacolate, unite insieme in un unico, severo gendarme a guardia della croce, baluardo difensivo dei nostri abbracci, dei nostri sguardi, dei nostri sorrisi.

Il buio di un appuntamento, l’emozione di un ritrovamento, lo sconcerto di un mancato riconoscimento, la novità, il ricongiungimento.

Parole che scorrono come i muscoli che spingono in avanti gli sci quando il tuo corpo vorrebbe tornare indietro; parole che si rintanano dentro le tue cellule ma il cervello le rifiuta e le espelle, insieme alle lacrime e ai fantasmi, e a quella voglia di non andare avanti che solo Brunella capisce, e impedisce che prenda il sopravvento con le sue domande, la sua tenacia nei miei confronti, le sue paure che si mescolano alle mie.


Parole che non servono quando ti ritrovi nell’abbraccio di chi ti attende, nella ricerca con gli occhi dei puntini semoventi, scrutando la montagna e i suoi bordi, inghiottendo la visione degli alberi nodosi, emergenti, attorcigliati, crescenti, giganteschi, immobili eppure avvolgenti, caparbiamente ancorati al terreno, in primo piano nella scena delle incontrastate cornici sullo sfondo, ammassi di neve sospesa nel plumbeo del cielo e nell’umido dell’aria, fatue come la nostra vita, in attesa solo di cadere al calore di un abbraccio solare.

La neve compatta è adagiata sui monti, li ricopre totalmente, bianco e nero, clik e clak spalancano i ritrovati occhi di Cip e Ciop. La breve cavalcata in cresta illumina le lontane Rave, i pendii scoscesi di Pizzo Deta, i canali ripidi delimitati da frastagliati contorni rocciosi, strapiombanti, affinati nel vuoto, aggettanti sulla valle e sul mondo sottostante.

Lo stomaco si svuota di quel macigno pesante che è cresciuto in te fino ad oggi, pietruzza dopo pietruzza, che ha appesantito il cervello, che ha cristallizzato il gelo dentro, in questo freddo inverno che non vuole finire.

Ma i gesti sono i consueti: leva le pelli, ritempra il tuo corpo, siedi al calore della compagnia, spazi lo sguardo alla ricerca dei puntini e di quello che ti è mancato di più, tutto questo e oltre, il blu del cielo e sopra niente, insieme alla certezza che sei lì e non vorresti essere da nessun’altra parte, semplice frase intuita da Brunella e da lei accompagnata fino in cima.

I movimenti ritrovati:
le mani riattivate nella circolazione da nuovi guanti,
le smorfie del viso all’ennesima vescica cara un euro,
calzare gli sci,
piantare la racchetta,
la foto con le streghe per sventolare via i fantasmi,
fiaba a lieto fine raccontata con le curve,
i voli all’indietro,
la ricerca della via migliore,
l’intrigo del bosco,
la magia dei pendii e della scopa,
che spazza via il mal vissuto e vola in alto fino a ritornare, con aeree circonvoluzioni, nelle mani della sua padrona,
ad incantare altre storie, trasformandosi in penna.

Trovare nuovi amici, come Brunella e Fabio, condividere con i vecchi la ricongiunzione e la rinascita, quell’andare in su che ti riporta in te, e dagli altri.

Grazie Brunella, e…bentornata Derspina!


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