An experimental short film that captures the transmutation of dead Joshua Trees into works of art as a way to explore change and renewal. Created for “Hello, Again,” an initiative by Lincoln Motor Company that asks filmmakers to reimagine the familiar into something fresh and new. Set in the magical high desert of Southern California, “War Paint for Trees” takes a surreal and unexpected journey that is deeply personal and intensely cosmic.
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1980
4000
8000
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“simile alla nuvola estiva che naviga libera nel cielo azzurro da un orizzonte all’altro, portata dal soffio dell’atmosfera, così il pellegrino si abbandona al soffio della vita più vasta, che lo conduce al di là dei più
lontani orizzonti, verso una meta che è già in lui, ma ancora celata alla sua vista.”(Lama Anagarika Govinda, Le Chemin des nuages blancs)
AV1 - La verticalità del mondo orizzontale
Rifugio Maria Vittoria Torrani – 2984 m per la Via Normale dal Rif. Coldai
per s. 557 (Sentiero Tivàn, Porta del Masarè), per via normale alla Grande Civetta (Passo del Tenente)
Maria Vittoria Torrani, alpinista milanese travolta da valanga con altri tre amici durante un’ascensione sci alpinistica al Piz Corvatsch nel gruppo del Bernina in Engadina (CH) il 6.1.1935.
Tornato dalla cima del Civetta,
Fernando fa scorrere le foto, non nascondendo una certa emozione di essere
stato lassù, dove la verticalità può essere percepita solo assumendo la
posizione orizzontale: l’affaccio che su 1200 metri di parete separa il mondo
in basso da questa elevazione dello spirito si può affrontare solo inchinandosi
sopra di esso.
E si rammarica della mia assenza in
cima.
Tento di spiegargli la mia piccola Himalaya:
non ho alcun rimpianto nè desiderio di affrontare la cima, non aggiungerebbe un
briciolo in più alla soddisfazione di essere lassù, a 2984 metri di massacrata
pietra, di catene, di sassi instabili, di neve, di risucchi.
Cumuli di nuvole
che giocano con le cime, frastagliate creste, l’essere statico in mezzo a tanto
dinamismo; calpestare le orme dei primi conquistatori, o forse solo viandanti e
cacciatori che rincorrono le loro prede, siano esse spirituali o materiali,
l’antica storia della scoperta di quei luoghi.
Il mio piccolo e vasto mondo è stato conquistato avanzando al passo di un metro quadrato di spazio alla volta, legando la mia mano al cavo d’acciaio per sentire lo sforzo muscolare, lasciando scorrere il moschettone per inseguire i passi sulla roccia, accarezzando asperità per il gusto di sentire che tengono, appoggiando i palmi per agevolare la spinta verso l’alto......e non guardare mai verso il basso!
Ma la curiosità è femmina, e mi
ritrovo ogni tanto a sbirciare tra le piccole gugliette, le placche lisce, verso
gli inghiottioi dell’animo a centinaia di metri dal suolo orizzontale, nel
cuore di questo pietroso universo verticale, pareti svettanti, infinite,
attrattive, eppur così tenacemente misteriose.
In questo limite calcareo non c’è posto per un’altra conquista, è già la conquista, è la certezza di quella placidità dell’anima, della consapevolezza che non può essere aggiunto altro a ciò che si è vissuto arrivando sin lì, è il mio traguardo di un sogno.
L’ansia ripartita tra un sentiero attrezzato, un lungo cammino e l’incognita di un Passo;
la certezza di un raggiungimento di pace, di comunione con chi ha scelto di rimanere lassù, a dividere la sua vita tra il rumore di una vecchia teleferica ed un buon bicchiere di vino bevuto in compagnia.
Voci di richiamo distolgono la fatica
dall’ansia, ritrovare la strada del rifugio sicuro è quanto si augurano gli avventurieri
della cima di fronte che, usciti dalla ferrata Tissi, si ritrovano davanti un
anfiteatro di neve ingannevole.
Il borbottìo di Venturino è serioso
quanto basta ad afferrare un piccone, a trasformare senza esitazione la
pesantezza dell’attrezzo in sicuro ancoraggio per le anime sgomente, la sua
velocità nel risalire quei percorsi familiari è pari alla naturalezza di dividere
il suo lavoro.
Gesti precisi ma indispensabili per calare il cestello migliaia di metri a valle, nastro portatore di allegria e confort, spirale di familiarità e quotidianità, precisione e pazienza. Non lesina sorrisi, Vito, non insiste su ciò che ognuno può o deve fare, lascia che sia l’indipendenza di ciascuno di noi a favorire quella condivisione di tempo e di spazio, di esperienza e rilassatezza.
Gesti precisi ma indispensabili per calare il cestello migliaia di metri a valle, nastro portatore di allegria e confort, spirale di familiarità e quotidianità, precisione e pazienza. Non lesina sorrisi, Vito, non insiste su ciò che ognuno può o deve fare, lascia che sia l’indipendenza di ciascuno di noi a favorire quella condivisione di tempo e di spazio, di esperienza e rilassatezza.
E così tutti ci ritroviamo impegnati in qualche incarico manuale: sistemare porte, grondaie, tagliare legna, accatastarla, accendere il fuoco, assaporare il profumo di quello che diventerà un eccellente pasto. Il tutto condito con la destrezza dei suoi movimenti avviati mille volte nel corso degli anni, impegnando gli occhi a leggere la bizzarrìa del cielo mentre la mano àncora la vite al legno.
Gocce purificatrici battezzano i tavoli, non servirà ricoprirli, e la natura selvaggia si mescola alla civiltà, in un connubio di invadenza e ricerca degli spazi, lassù, dove nulla può fermare le sue forze, se non il moto caparbio dei venti.
Il Pelmo si copre e si scopre in un
unico balletto di nebbie bianche, simile alla schiuma che lascia intravedere la
pelle più morbida nell’immersione del corpo in essa. Poi tutto si ricopre e
viene avvolto dall’evanescenza delle nuvole,
e piano piano noi avventori ci lasciamo abbracciare dal calore di Bacco e di Morfeo a ritrovare una nuova alba.
AV 1- Con i piedi nell'acqua
Dal Rifugio Sommariva al Pramperét al Rifugio Carestiato
Dislivello: in salita 430m, in discesa 450m ;
Lunghezza: circa 13 chilometri; circa 5 ore
Sentiero: n. 543, (SS 347), 549, (Pra de la Vedova,
Forcella del Moschesìn, 1940 m, Casera del Moschesìn, Forcella Dagaréi); per SP
347 in direzione di Àgordo, al Ponte sul Ru de Càleda per s. 543.
Con i piedi nell’acqua
L’acqua è gelata, ma osservando lo
stato dei miei piedi non posso far altro che essere contenta. Il più del
percorso è fatto, a costeggiare lungamente le pareti inclinate e possenti del
Tamer, complesso montuoso che solido e imperioso nasconde all’interno i tesori
delle cime e forcelle di San Sebastiano.
La giornata è bella, inizia con la scoperta della Forcella Moschesin, lungo il sentiero di guerra.
-http://www.livingdolomiti.com/it/percorsi-grande-guerra/cordevole.html,
- (La montagna dimenticata: Vie militari e antiche strade di minatori) http://www.evidenzia.it/pndb/ebook/Itinerari5/Default.html, un pezzo di Storia che invita a scoprire i
resti della Fortezza in tutti i suoi lati.
Proseguiamo aggirando il Castello e
le guglie terminali, facendo indigestione di panorami a picco sulla stretta
valle, in un intrigo di lame erbose e cenge appese, avvoltolii della montagna e
verde disteso, giungendo in breve alla Casera Moschesin.
I contrafforti del Castello, la sfilata delle Forcelle ed infine la stazza maestosa del Tamer sfilano insieme a noi nel progredire verso il cuore del Gruppo: in breve siamo immersi nella roccia più sospesa, aranciata, rotta, ghiaioni scoscesi che rendono impraticabile qualsiasi accesso alla cresta, se non per un unico passaggio alla Forcella Larga. Sognare quel luogo d’inverno è l’unica cosa che posso fare inghiottendo quel mare di sostanza grigia.
Il torrente ristora la mia
circolazione e con un pò di nostalgia ripercorro con la memoria l’anno della
salita su quei sentieri, che sconnessi e ghiaiosi ci condussero a conoscere la
fragilità epocale di quei luoghi, verso la cima Nord di S. Sebastiano.
Era il 2005 quando affrontai la
salita alla Cima Nord. Quel giorno ebbi grandi soddisfazioni: sentieri
faticosi, su per ghiaioni, pietre e sfasciumi a ritrovare forcelle e vie
sospese sulla Val de le Roe.
L’unico rammarico fu l’abbandono del Viaz dei
Cengioni, che quest’anno mi sarebbe piaciuto completare. Ma si sa che il tempo
è ingannevole: un lunghissimo sentiero, quasi in piano, oggi ci accompagna fino
a Passo Duran. In verità, ci siamo lasciati forviare da un consiglio di
arrivare direttamente al Rifugio Carestiato, “sarà una mezzoretta in più”. Si
rivelerà molto più lunga psicologicamente, su un tratto che non è
eccezionale....
Riprendere il cammino su strada
asfaltata non è il massimo, così come pure un pò monotona è la strada bianca
che unisce Passo Duran alle incombenti pareti verticali della Moiazza Sud, lì
sotto le sue famose vie e percorsi ferrati a disposizione dei più arditi
escursionisti esperti principianti.
Il Rifugio è pieno, ma la
sistemazione nel piccolo locale invernale si rivelerà eccellente: saremo in
pochi a godere di una libertà non sperata, lontani dall’affollamento e dalle
file create dai numerosi avventori presenti. L’ospitalità del gestore si
verificherà ineccepibile anche nell’ultimo giorno del giro, quando a nostra
richiesta di tornare nel locale invernale il diniego si è trasformato in
ospitalità da paladini reali di un regno incantato, in cui gentilezza, cortesia
e simpatia sono state le principali regole del vivere civile, in una stanza
regale tutta nostra!
Ma di tutto ciò ne godremo i giorni a
venire, per questa serata solo uno sbiadito tramonto.
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