“simile alla nuvola estiva che naviga libera nel cielo azzurro da un orizzonte all’altro, portata dal soffio dell’atmosfera, così il pellegrino si abbandona al soffio della vita più vasta, che lo conduce al di là dei più
lontani orizzonti, verso una meta che è già in lui, ma ancora celata alla sua vista.”
(Lama Anagarika Govinda, Le Chemin des nuages blancs)

AV 1- LA CIMA SENZA NOME


Dal Rifugio Bianchet al rifugio Sommariva al Pramperet: sentieri 518, 514
Salita: 459+200+819= 1478
Discesa: 278+ 594 = 872
Km: circa 9





Le spalle della Schiara sono in controluce, l’alba è avanzata da un pezzo quando ci incamminiamo verso lo spallone dell’Alta Val Vescovà, a ridosso di prati e tracciati sospesi, nel verde del bosco e del suo sottobosco.





La conformazione dei monti circostanti invita a fantasticare su cenge appese a strapiombo sulla valle, calpestate da pastori e viandanti. 





Ma man mano che ci avviciniamo a quei contrasti emerge l’asprezza di quei dirupi, dove mai anima viva potrebbe avventurarsi, forse solo qualche animale selvaggio, ma chissà.


Mentre contempliamo questa natura selvatica, dinanzi a noi si aprono riposanti pascoli, una casera, 




ed infine la Forcella La Vareta, che ci separa, in un’intagliata valle, dal dirimpettaio Pian di Fontana.



Una breve discesa ci conduce nel cuore di questo verde espanso, odore di pino, fino al torrente che allegro rincorre la gioia di inseguirsi fino in valle; una corta risalita ci permette la sosta ristoratrice al Rifugio.


Il tempo è mesto, nuvole basse si adagiano sulle quote più alte della Val de Zita, de entro e de fora, che raggiungiamo con un pratone ripido che ci fa guadagnare velocemente quota. 



Entriamo così in un contorto mondo calcareo, grigio, isolato, dove solo gli stridii delle marmotte riecheggiano, rimbalzando senza direzione in tutto il solitario anfiteatro.


All’ingresso della Valle de Zita cominciano ad apparirci le pareti a strati sovrapposte e aggrovigliate della Talvena, 




le sue anticima e cima, il prato di rododendri che incanta Fernando e lo immobilizza sul richiamo delle marmotte: per me ottimo motivo di contemplazione e riposo.


Cerco la Forcella che ci aprirà il mondo agordino, ma è un inganno: valli dentro valli, queste della Zita, risucchiano lo sguardo e la volontà, rifugiandosi nella certezza delle sue cime, delle sue Forcelle. 






Rimaniano incantati da una cima lontana, chissà che c’è sopra, non sembra una croce, e la ritroveremo al Rifugio ammirandola dal basso, svettante nell’ora del tramonto.


Ma ancora c’è tempo per il calare della giornata, vaghe gocce d’acqua rinfrescano l’aria ed è tempo di rifocillarci prima della discesa: siamo in Forcella.



La discesa alle pendici della Zita Nord è un ammanto di sassi, ma anche di delicati e favolosi squarci nelle valli sottostanti a strapiombo sul mondo, come solo viaz, cenge e baranci combinati tra loro possono rendere. 


Non per niente si chiama la montagna dimenticata, questa zona tra la Val Clusa, gli Erbandoi e la Valle Agordina; vie che oggi sono impraticabili per un meschino incendio che le ha rese non sicure per il passaggio dell’uomo.


Pietre e roccia; scendendo calpestiamo il grigio immobilismo del calcare sgretolato, solo a tratti solido e inerbito, affogati nelle nuvole che lontano soffocano le cime più maestose del Pelmo e Pramperet, del Moschesin, fino a che lo sguardo non muore nella valle. Divido questa bellezza con la sorella che in quel momento mi raggiunge per telepatia e non sto nella pelle a descriverle tanta magnificenza.




Rincorro con lo sguardo il sentiero che si divide sotto le Cime delle Balanzole: la mia speranza è una deviazione a sinistra, su quello che potrebbe essere un sentiero storico per le attività di quei luoghi: carbonai, minatori, militari, o forse solo un sentiero animale. Attira fortemente lo sguardo e l’intenzione, ma sembra portare troppo fuori strada, e noi ancora ne dobbiamo percorrere!

La discesa fino ai prativi del Rifugio lungo le Balanzole ci permette di godere di scenari incantevoli all’aprirsi delle Valli circostanti, immaginarie discese invernali sugli anfiteatri della Zita, vie di cresta sul gruppo del Moschesin.




Ascendo il monte
e lassù
giro lo sguardo
e ammiro
isole di roccia
nel mare di nubi:
l’occhio si bea,
il corpo si riposa
e l’animo
nell’infinito silenzio
                                                                                                   si purifica.             (da Catarsi di Italo Rossi)


 Le poetiche parole, divagazioni vengono chiamate, sono raccolte nel libricino scoperto al Rifugio e dopo averle lette, sono assorbite nel mio cervello, nella luce del crepuscolo in attesa del pasto rifocillatore: gradito pensiero regalato al rientro dal Cai di Oderzo, che nella prova di gestione, per noi ampiamente superata, si cimentava tra poesia, tecnologia e manualità con una destrezza senz’altro non comune.



Anonimo tramonto circonda i massicci sovrastanti, e con la luce della cima senza nome riposiamo per un’altra successiva, splendida, giornata montanara. 

segue con :  Con i piedi nell'acqua

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