“simile alla nuvola estiva che naviga libera nel cielo azzurro da un orizzonte all’altro, portata dal soffio dell’atmosfera, così il pellegrino si abbandona al soffio della vita più vasta, che lo conduce al di là dei più
lontani orizzonti, verso una meta che è già in lui, ma ancora celata alla sua vista.”
(Lama Anagarika Govinda, Le Chemin des nuages blancs)

Orme - Abruzzo 1994, la seconda rinascita

Abruzzo, la mia prima patria montanara

1994: la seconda rinascita

Un’amicizia nata due anni prima per telefono, quando Stefano chiamava Giovanna, mia coabitante, e rispondevo io. Lei praticava nei fine settimana sport che all’epoca ancora non capivo: scialpinismo, canyon, arrampicata, trekking, tutte parole astruse ma che dopo la conoscenza con lei mi hanno aperto la porta ad un mondo per me sconosciuto, e mi hanno invitato a solcarlo.
Nel 1992, la chiamata di Stefano è per una escursione al Monte Amaro, grande nome sinonimo di Maiella. Maiella sinonimo di infanzia, e infanzia significa gita, padre, cime, pigrizia. Come non resistere alla curiosità! Quel giorno ho dovuto attraversare una lingua di neve, ancora non credevo di esserne capace: se fossi scivolata mi sarei ritrovata nella valle poco sotto, non lontana, ma comunque un’esperienza da non provare.

Quelli sono stati i primi passi della mia ritrovata passione montanara, quella sofferenza che mi trascinerà da quel momento in poi tutti i fine settimana alla riscoperta di queste familiari montagne, a calpestare terreni già consumati nel passato e dal passato: il Blockhouse, il Monte Amaro, la sua Direttissima, la Valle di Femmina Morta, il Porrara, Fondo di Maiella, Tavola Rotonda, Campo di Giove, la Stazione di Palena, le Pietre Cernaie, il Monte Croce - oggi parte terminale della lunga cresta del Rotella -, il Bosco di S.Antonio, e tutte le valli che si affacciano sulla statale da Sulmona a Castel di Sangro.

Troppi luoghi e troppi ricordi, per una bizzarra coincidenza della vita.



Dal 1996 l’affitto di una casa a Rocca Pia influenzerà non poco la mia malattia per questi monti. In aggiunta, l’amico che sembra abbia un piacere perverso a trascinarmi in tutto questo, esaudendo ogni desiderio montanaro e d’ambiente, di ‘selvaggio’ e di impegnativo, di conoscenza e di scoperta mi condurrà dal 1995 al 2008 su e giù per questa regione macinando in tutti i modi chilometri di dislivello, di impegno, di beltà, di divertimento.
E così questa aspra terra, ricca di anticime, viene solcata da noi in lungo ed in largo, nei suoi angoli più remoti, a piedi, con le corde, nuotando e stupendoci ogni volta quando la finestra si spalanca su uno dei suoi sconfinati panorami, con la piccozza in mano, con l’imbraco indosso, sotto la pioggia scrosciante, all’alba, al tramonto, sotto le stelle, nei suoi rifugi e negli ospitali bivacchi.
In quello stesso anno mi sono iscritta al corso di scialpinismo, dopo essere stata selezionata “non perché sai sciare (poco più dello spazzaneve a curve), ma perché hai tanta buona volontà”, mai frequentandolo a causa di una brutta caduta.


Ma non mi sono fermata: con la pazienza di chi mi era intorno, solo tre anni dopo affrontavo il mio primo 3000 su ghiacciaio, sciavo su tutti i versanti dei monti, arrampicavo sulle vie classiche delle palestre sportive e di montagna. Finalmente scoprivo cos’era il ‘Gran Sasso’, la sua Direttissima, i suoi sentieri, tutte le dorsali dell’intera sua catena, i Monti Sibillini, i Monti della Laga, le terre di confine: il Velino e il Terminillo.

Si vagava per i monti, li si traversava, ci incantavamo nelle loro viscere, ci stupivamo solcando le creste.

 Insomma, avevo iniziato quel lungo viaggio verso il cielo, calpestando la terra.



I miei amici montanari

 Ma la montagna non è fatta solo di pietre, cime, panorami.
 La casa di Rocca Pia si era perfezionata per accogliere chiunque avesse quest’insana passione, ricoverando pellegrini accomunati dallo stesso entusiasmo a solcare i monti. E quando il numero superava la capacità fisica di ospitalità, ci si adattava al pavimento, pur di gioire di una giornata insieme.

I primi dieci anni di questa entusiasmante storia montanara mi vedono quasi incosciente seguire chi andava con gli sci - io con o senza -, inconsapevole delle bellezze che si spalancavano mano mano che andavamo, mese dopo mese, cima dopo cima, gola, cresta, viscere, passi.

Tutto diventava straordinario e piano piano la passione divorava l’organismo, fino a renderci totalmente dipendenti da questa incongruente realtà.

 Il culmine di questo andare alla scoperta ci ha portato all’anno magnifico qual è stato il 2005: l’incontro con i miei nuovi amici, pescaresi e non, e con un cane.
 L’anno delle traversate soddisfacenti per la tanta neve, del viaggio di Biancaneve e i 7 Nani sull’Etna, della conoscenza di L., L. di Campobasso, dei tanti incontri, casuali e non con il cane Macchia e il suo padrone I., a rinsaldare quella che diventerà un’amicizia di lontananza. S. E. ci ha conosciuto sotto un diluvio di ghiaccio e neve sulla Rava del Ferro nel 2004. Cosa abbia pensato di noi che sotto le intemperie ridevamo a crepapelle ancora è un mistero. Quello che è certo, è che si è unito anche lui nel corso del tempo al gruppetto laziale-abruzzese.  

Il risultato di tutto questo è condensato in un quadro nella mia stanza.

Piccole grandi storie di conquista della terra d’Abruzzo, sciando, provando, abbaiando, arricchendosi anche negli errori madornali (quando ti gira la bussola!) della semplicità del divertimento puro, così come inesorabilmente dispiace il rammarico più grande per non aver potuto partecipare con questi amici ad una giornata storta dall’epilogo quasi tragico.

Condensate in dieci righe queste sono le catene che ormai ci legano da anni, pur trascorrendo al minimo i momenti di incontro: anche quando non si è presenti, ci si informa e ci si scrive, si solidarizza da lontano per una prova più impegnativa, si ride e si scherza anche quando la fuga verso gli affetti ci rende frenetici, godendo magari solo per quei brevi attimi montanari di allegria.

Oggi questo gruppo si estende, persone diverse che hanno in comune la crescita del loro passo, la comunione con l’intorno, la voglia di silenzio, la condivisione dell’emozione: la traccia dell’orso, la curiosità della volpe, l’individuazione dei camosci, rarità oggi forse diventate più comuni, ma lo stesso esaltanti per l’unicità dell’evento; la gola inforrata, le cornici pendenti, la galaverna sulle rocce, le svettanti guglie rocciose. Ciascuno di questi elementi contribuisce alla nostra salita verso l’alto, al nostro andare incontro al vuoto, all’abisso del cielo, al precipizio dell’interiore.










“…Ci troviamo continuamente sospesi tra un bisogno di individualità e quindi di affermazione di noi stessi e un richiamo all’alterità che corrisponde al sentimento sociale come bisogno di appartenenza, ma anche come bisogno di condivisione e di cooperazione.

 Siamo esposti ad un’oscillazione tra la centralità di sé dell’individuo di fronte al mondo, e la centralità dell’altro di fronte a noi.


Come non essere richiamati, allora, dall’immagine emblematica ed ambigua della cordata?



Ci si lega all’altro per dividere con lui l’esperienza, per dare e ricevere aiuto, per uno scambio di costituenti dell’individualità, ma ci si lega all’altro anche per dividersi da lui, e attraverso lui, conseguire un trionfo personale.


Abbiamo bisogno di isolamento e solitudine.


Abbiamo bisogno di separazione per sentire una mancanza. La mancanza della parte di noi che sta nel mondo e nell’altro. Abbiamo bisogno di staccarci dalla consuetudine per poter tornare, per poter scoprire qualcosa in più.


E il ritorno è rinascita e ricongiunzione, è ritrovarsi rigenerati di fronte agli altri, tra gli altri.




Andare in su per ritornare in sè e oltre sè "
(In su e in sé, alpinismo e psicologia - Giuseppe Saglio, La Rivista, -Club Alpino Italiano; Marzo Aprile 2009)



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