“simile alla nuvola estiva che naviga libera nel cielo azzurro da un orizzonte all’altro, portata dal soffio dell’atmosfera, così il pellegrino si abbandona al soffio della vita più vasta, che lo conduce al di là dei più
lontani orizzonti, verso una meta che è già in lui, ma ancora celata alla sua vista.”
(Lama Anagarika Govinda, Le Chemin des nuages blancs)

Essere o non esserci





Essere o non esserci, questo è l’amletico dilemma!

26 Febbraio 2006, Monte Viglio dal Crostone


Dedicato a chi non c’era, quando anch’io non c’ero.....ma regalato di cuore a chi sicuramente c’era, ed io c’ero.

Anche questa mattina la sveglia è presto. Ma mi alzo volentieri: ieri, come se Augusto mi avesse letto nel pensiero, mi telefona proponendomi un’ uscita per oggi, dove sarei voluta andare da tempo. Non ho esitato, e... sci in spalla, a provare gli scarponi nuovi.
La giornata è buona, e già dai primi passi la neve è scricchiolante. Perfetto! la discesa, almeno in fondo sarà goduriosa.

Le solite decisioni sui versanti in salita e scegliamo quello più diretto e panoramico: Giorgio in testa, un Giacomo smagliante, Anna un pò incazzosa, Augusto alle prese con l’attacco dello sci.
Poi anche Augusto prende il passo, e rimango sola a salire in uno spettacolo da sogno.
Ma di questo me ne accorgerò solo dopo: la rabbia, la delusione ed il rammarico di non essere stata da un’altra parte, per i primi minuti, ha preso il sopravvento. Non ero a divertirmi con coriandoli, stelle filanti, vino, allegria, pizzelle, abbacchio, pancetta, vino, birra, spumante, chiacchiere e risate, canti e balli, sonno, fumi dell’alcol, forse anche una spruzzata di neve che rende magica Rocca Pia, francesi, italiani, zampe sotto al tavolo e forse gli sci, in una giornata magari grigia, di nuvole costanti. Sto fantasticando.. io non c’ero, forse perchè non avvertita. E mentre salivo osservavo intorno a me, come faccio sempre d’altronde, a cercare nell’ambiente un pò di tranquillità d’animo, e a capire perchè fossi così fortemente disturbata dal fatto di non esserci stata; e mentre analizzavo la radice del disturbo, - amicizia?, conoscenza?, indifferenza? - lacrime di consapevolezza salivano ai miei occhi, sono sempre stata emotiva, ma il motivo per il quale piangevo era traslato dal fatto di non esserci al fatto di esserci.

Tutta la salita è stata una poesia, alla ricerca del sole che rendeva scintillanti i piccoli granelli di neve, vaporizzati nell’aria, minuscole goccioline perse nell’atmosfera e portate risplendenti dal vento ovunque; intrecci di rami, quelli più grossi e nodosi ad attorcigliarsi ai più fini, proiettati verso l’alto a raggiungere il cielo.

Gli alberi più sottili a formare la strada, “alti e schietti”, dritti e verticali, disegnati sul fianco dal bianco gelato della neve, e questa a sostenerne la base come un picchetto, infilato a cuneo fin nelle loro radici. E mentre sali il pendio, ripido in alcuni tratti e a strapiombo sulla valle circostante, noti una striscia bianca che un pennello perfetto ha disegnato nell’altra valle: come un imbuto, il pendio terminale raccoglie la neve stanca di rimanere in cima, portandosi appresso nel suo viaggio qualunque cosa pur di non rimanere sola, lasciando scoperte le rocce a contrasto con tanto immacolato panorama.

E non fai in tempo a riaverti dalla valle e dalle sue forze della natura che il bosco ti abbandona, per lasciar spaziare lo sguardo su un quadro mozzafiato. E mentre mi riprendevo incredula e sorpresa da questa vista ho capito perchè ero contenta di non esserci stata: Uomo – Uomo, Uomo – montagna, montagna e te stesso, te stesso e gli altri, una privazione di ciò, adesso che esiste, non avrebbe cancellato tutti i rancori.

L’occhio ha vagato senza confini dalle guglie gelate, grigie ed imperfette, innevate, frastagliate, fino alle enormi onde formate dalla neve in tempesta, caduta copiosa nei giorni passati, e cristallizzata, ripiegata, sostenuta, stuzzicata, bianca e cristallina, a volte vetrata, risaltata dalla luce ora grigia e plumbea, ora gialla di un sole uscito a capoccella al limite viaggiante delle nuvole.

Lì la consapevolezza di esserci ha mostrato la sua forza, la certezza che quella montagna è la montagna, è lo spirito che ti fa ritornare tutte le volte a faticare, a cercare con lo sguardo orizzonti che si perdono; montagna che pur essendo uguale, ogni volta è diversa, come a tirar fuori in maniera preziosa il suo instancabile essere, quel suo volersi nascondere sotto la neve, ma che la stessa neve respinge, a denudarla delle sue innumerevoli asperità.

Dal pendio in cresta, infine, lo sguardo cattura la croce, che con il suo abbraccio ti invita, a intervalli nera, stagliata contro il cielo e avvolta dalle nuvole passanti, e a tratti splendente e immacolata, abbagliata dalla luce del sole a mostrare tutti i suoi aghi bianchi, ma sempre a braccia aperte.

Sorridi all’ennesima discesa di Giorgio: uomo infaticabile che cerca la sua strada, e la trova in chilometri di curve, in salita ed in discesa, con ogni tempo e senza tempo. E’ un piacere sapere che mentre tu sali, qualcuno giungerà insieme a te, anche se ancora indietro di centinaia metri.

Prosegui affamata di zuccheri e panorama, lo sguardo a rendere più dolce la salita ed il sapore della meritata merenda, le cornici a contorno ti invitano a girovagare di qua e di là, la nebbia a farti perdere nelle sue atmosfere, e la realtà a riflettere che a migliaia di metri in su il mondo è solo tuo. Macchè, vana speranza, perchè contando, non sono solo due gli amici, ma quattro! Vedi doppio, ma non puoi stare lì a ragionare molto di non avere gli occhiali, perchè misteriosamente ti ritrovi con un quarto degli sci ed il peso del corpo attirato in avanti..... sospesi nel vuoto! L’urlo viene spontaneo e poco coerente il resto. Eppure è Giacomo giù nel pianoro che risponde al tuo richiamo, ma Augusto, uomo d’esperienza, tira dritto a disegnare una virgola, al di sopra della fossa. E tu, da brava amica, non lo abbandoni certo!

L’abbraccio in cima alla celeste croce è con Giorgio che ci ha raggiunto, insieme alla cortina di nebbia.
Ma il freddo ci invita a scendere, il primo barlume di sbiadita e sei nel pianoro, di corsa, perchè sai che devi risalire leggermente... ma hai sbagliato i calcoli: dietro-front (‘a retromarcia non si va’, saggiamente arriva il decano consiglio!), altro dietro-front e sei in linea con gli altri, o almeno speri.

La nebbia non vuole salire, e sarà la nostra fedele compagna anche in discesa, a farci pentire per i primi istanti di esserci: si chiacchiera amenamente in attesa del sollevamento della cappa, Augusto mangia e all’improvviso viene il vento, che solleva gli animi e la coltre evanescente quel tanto che basta ad affrontare lo stretto canale.

Non racconterò della discesa senza lacrime, a singhiozzi soffocati, alternati alle curve più strette che ho imparato a fare, con tanta neve sotto quanto sopra, sulle tracce dell’uno, guida e maledizione, in una sorta di rito che ormai accompagna alcune mie discese, a scongiurare un’eventuale sorte che non ha motivo di esistere (col senno di poi!).

Ed una ad una le strette curve mi portano giù, assieme al mio terrore, alle maledizioni e alla mia più grande soddisfazione: mi volto solo per guardare il vissuto muro bianco e dire a me stessa “sono contenta di esserci”.

E ancora le curve, la nebbia si è diradata e la discesa è fantastica, fino al bosco, dove tra un ramo e l’altro, la curva, lo sci piantato, il dietro front e i piegamenti, arriviamo là, dove la neve si è stancata di correre e ha depositato le sue stanche e pallide membra, …non senza aver ancora una volta voltato lo sguardo al muro bianco e al suo contrasto, incassato tra le rocce, calamita potente del tuo esserci.

Il bosco è godurioso come immaginato, fino ad aprirsi ai facili e candidi pendii prima della fine: la grande scivolata fino alla macchina, e già ci si entusiasma dell’opera, tra cambi, piaghe, panino e birra. E un grazie di cuore agli amici ai quali, al loro stupore interrogativo, rispondo “grazie per esserci stati”.
la vostra Derspina

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