“simile alla nuvola estiva che naviga libera nel cielo azzurro da un orizzonte all’altro, portata dal soffio dell’atmosfera, così il pellegrino si abbandona al soffio della vita più vasta, che lo conduce al di là dei più
lontani orizzonti, verso una meta che è già in lui, ma ancora celata alla sua vista.”
(Lama Anagarika Govinda, Le Chemin des nuages blancs)

Le curve della montagna

Il secondo ramo - calpestando la terra
Racconti montanari





LE CURVE DELLA MONTAGNA

9 giugno 2006   Gruppo del Gran Sasso - Conca del Calderone da Prati di Tivo                  Gita scialpinistica

Due strisce bianche e parallele solcano il cielo, a convergere all’ infinito. Sono alte e sfrangiate, segno di aria fredda.
La giornata è fresca, ma non delude, anche se è troppo presto per capirne l’ evoluzione.

Invece, meraviglia! La neve ha imbiancato tutta la cresta del versante aquilano, compresa la Portella. I nostri occhi già brillano immaginando l’ altro versante, quello dentro al quale siamo diretti Lorenzo, Stefano F. ed io, tre paia di sci, e la voglia dell’ ultima sciata.

Ad essere sincera, ho dovuto staccare gli sci dal chiodo al quale erano già appesi da una settimana. Per quest’ anno mi sentivo già appagata, ma un entusiasmato richiamo di Lorenzo mi ha fatto esitare meno di un minuto, e quindi eccomi qua, a godere ancora una volta dei panorami innevati e delle familiari curve.

Ed ecco che il versante teramano attira i nostri sguardi, incantati per lo spettacolo che si manifesta davanti agli occhi: sosta obbligatoria ad evitare l’ incidente,  per rincorrere ad una ad una le guglie, i valloni, le cime, le creste imbiancate da quest’ ultima impennata di indipendenza del tempo.
L’ inseguirsi di curve, asfaltate e panoramiche nella valle, mettono di buon umore la compagnia: sinuosità calcaree, stratificate a disegnare l’ evoluzione della loro genesi si alternano alla maestosità degli alberi delimitanti il torrente, vetusti, grossi, impegnativi,  a raccontare il tempo trascorso e a far scorrere  il tempo che verrà. L’ esplosione della natura ed il suo continuo intrecciarsi di gole, roccia, salti, acqua, mi aiutano ad alleviare altre meno ondeggianti, ma presenti curve, indispensabili per affrontarne altre, più candide e solide, ma decisamente e maggiormente appaganti.

I gesti di rito oggi sono resi più rapidi da una piacevole fortuna, che ci farà risparmiare tempo e fatica. Tanto di guadagnato, perchè non sarebbe stato diverso, tanta è la voglia di calpestare di nuovo il suolo bianco.

Ed eccoci ad affrontare il Passo delle Scalette, sulle impronte di chi, molto più affondantemente di noi, snoda la salita ed il sentiero con passo agile e fardello pesante. “Mezz’ ora, tre quarti d’ ora fa”, reciterà dopo l’ impietoso e burbero Luca, ma forse non si aspetta la mia risposta divertita ed indifferente, che del tempo ho a disposizione l’ intera giornata.

E mentre salgo le sprofondanti e strapiombanti curve di livello fino al rifugio, godo del silenzio e dell’ immancabile attrazione che ho verso le tonnellate di roccia sovrastanti,  alla ricerca di puntini in movimento, che matematicamente è impossibile vi siano, a soddisfarmi dell’ alternarsi di roccia e neve, fessure e crepe, esili fili bianchi a cucire l’ affastellata ma solida montagna. Siamo soli nel Vallone, a condividere i passi giganti dei nostri predecessori, e a maledire i delicati ed aerei passaggi che ci innalzano verso l’ accoglienza di una casa.

Ma prima di raggiungere il rifugio, diversi boati mi sollecitano a non esitare sul panorama, e ad accingermi velocemente ad assaporare il calore del tè e del suo gestore. Vana speranza! Vengo accolta da Luca con un lancio di ciabatte, scherzoso ma chiarissimo invito a levarmi gli scarponi, cosa che faccio ridendo, ripensando al modo buffo che ha sempre di manifestare una qualsivoglia ‘calorosa’  accoglienza. Ma continuo a divertirmi, perchè so che il suo è l’ unico modo per non esternare palesemente la sua bontà d’ animo, svelata in numerosi altri episodi, da me mai ringraziati, ma sicuramente non dimenticati.

Via, si riparte! Ramponi ai piedi, a far scricchiolare la neve, sulle tracce dell’ instancabile Lorenzo, e sulle impronte ormai storiche di Stefano.
Ancora una volta l’incanto della montagna mi rapisce: uno sguardo alla Ferrata Ricci e rimpiango assurdamente di non avere una penna, a dettare alle mie mani la bellezza incomparabile di quell’ universo avvolto ora dalle nuvole, ora dal minuscolo vapor acqueo, a rendere decisa la montagna con i suoi contorni bianchi.

Cos’ è che attira come una calamita i miei occhi, il mio cervello, il mio pensiero, continuamente con la voglia di esserci, e di perdere qualcosa quando non ci sono? Oggi lo so. L’ emozione non mi è nuova, i pensieri sfilano e sfuggono veloci a costruire l’evidenza di ciò che è: le linee quasi perfette  disegnate dagli sci di Lorenzo, l’ orma altrettanto armoniosa del salire di Stefano, fino alla mia inquietudine del pendio aperto, la ricerca continua nella mia mente delle pareti di un canale inesistente, a scoprire che è proprio quell’ abbraccio rassicurante che mi manca, e a far diventare quell’ ambiente selvaggio e illuminante, ad intervalli desolante, ma assai consistente, un’  accogliente espressione di pienezza, da un lato all’ altro degli estremi del Vallone. Lo sguardo indietro a ricercare continuamente il rosso delle finestre, come a non voler abbandonare mai la sicurezza di un rifugio, come se l’ essere rapiti dal pendio, dalle punte rocciose, dai giganteschi massi affioranti nelle nuvole, dal continuo scorrere dell’ occhio su e giù nelle crepe della montagna mi aiutassero nella salita a ricercare e trovare finalmente la tranquillità delle mie perplessità, del mio esserci nonostante tutto, e dell’ esserci al di sopra di tutto e di tutti.

Continuiamo ad esser soli, in quel mondo bianco e composto, a tratti confuso, avvolto nelle nebbie del mistero: sconosciute vie che portano alla cima, frastagliati percorsi oggi resi più severi dal biancore del paesaggio; alla conca del Calderone solo il contorno  del piccolo rilievo sul quale aspettiamo Lorenzo è ben delineato. I miei occhi si sforzano di penetrare quel fondo bianco e pesante, quello strato oltre il quale immagino la cengia del Calderone, alle pendici della Vetta Centrale; seguo con la mente la via che dalla Forcella porta alla cima della Vetta Occidentale, ritrovo la sella all’ imbocco del Ghiacciaio, uno sguardo al Bissolati e.... Stefano mi riporta alla realtà.

In quel luogo ovattato contiamo i minuti, spingiamo quasi di peso, virtualmente,  Lorenzo, prima su e poi giù per la discesa, anche se siamo perfettamente coscienti che lui non ne ha affatto bisogno, fino a che il freddo non ci penetra nelle ossa e pone fine alla nostra resistente attesa. Un ultimo richiamo, e l’ eco ci rimanda la sua risposta, è in cima, ma troppo tardi per noi. E non gli vogliamo mettere fretta, è Stefano che ha appuntamento con il tempo, quindi scendiamo.

Oggi tocca a me aprire la strada, e lo faccio molto volentieri, la nebbia a ricordarmi che le curve non sono finite: il mio stomaco a sistemare le sue, ed io a dipingere le mie sul pendio.  Anche se i consigli di Stefano arrivano puntuali, so esattamente dove andare,  lui è la memoria storica della mia montagna,  ed io sono una brava allieva. La nebbia ci accompagna fino all’ alto imbocco del Vallone e da lì le curve sono brevi a scendere, in un continuo salire e scendere a ricercare il pendio più ripido e soddisfacente. Il sollievo nel vedere la figura  di Lorenzo in contrasto alla parete ci rende più gioiosi, e la sua attesa è conciliante, come il panino che gli verrà offerto.

Ma ancora non terminiamo di staccare la matita a tratteggiare le ondulazioni di questa montagna sul foglio bianco, che oggi ci ha regalato enormi soddisfazioni e appagante impegno: i tratti più graditi sono quelli finali, forse perchè la parola fine deve essere scritta nel migliore dei modi, per poter descrivere con entusiasmo un nuovo racconto.
Per quest’ anno, è il modo migliore di appendere gli sci al chiodo, ma non vi assicuro per la penna del vostro scrivano: da quando è stata inventata la Storia, questa continua ad essere tramandata, orale e scritta.

E la Storia non si ferma, come il mio inchiostro.
la vostra corrispondente dal presente, Derspina

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