“simile alla nuvola estiva che naviga libera nel cielo azzurro da un orizzonte all’altro, portata dal soffio dell’atmosfera, così il pellegrino si abbandona al soffio della vita più vasta, che lo conduce al di là dei più
lontani orizzonti, verso una meta che è già in lui, ma ancora celata alla sua vista.”
(Lama Anagarika Govinda, Le Chemin des nuages blancs)

Tramonti e risvegli


Il secondo ramo - calpestando la terra
Racconti montanari




Tramonti e risvegli,
ovvero i fedeli amici dell'uomo




3 e 4 Febbraio 2007   Gruppo del Gran Sasso - Monte Calvo e Monte Orsello                                            Gite scialpinistiche





Una palla avorio, gigantesca, di fronte a te quasi sorride, beffarda e opaca, rilucente via via che gli vai incontro, tirata su lentamente dai fili del cielo ormai scuro.

E’ la luna, piena, invitante, luminosa, attraente: riflette lo spazio circostante e l’allarga, ti segna il cammino del passo che farai. Illumina le pareti rocciose, regalando all’ambiente d’intorno una magia spettacolare, diafana, scintillante di tutti i granelli di neve, lucidi specchi delle miriadi di anime che popolano i monti.

Brusco risveglio! il suono di un clacson ti riporta alla realtà, seduta in macchina ad affrontare l’interminabile fila che ti conduce a casa, non senza prima averti portato a depositare il regale tesoro del tuo ultimo viaggio ancora da impressionare su carta.

Il bivacco programmato per questo week-end è sfumato, così come la luna tramonta al mattino ed il sole scompare al crepuscolo. L’unica telefonata che ricevi è quella di Lorenzo, che invita a mettere gli sci ai piedi e ad avventurarsi sui monti innevati.

E la tua dimensione cambia aspetto: stanchezza via!  è già pronto lo zaino carico delle ultime minutaglie; esci che ancora il buio avvolge le menti di chi riposa beatamente, lasciando loro pregustare una vanesia realtà e te realizzare il sogno della tua fantasia.

Veloce la strada ti porta all’appuntamento e la luce piano piano sfuma i contorni, fino a rendere il contrasto vivido e definito: volgi lo sguardo e la luna ti saluta, sempre più pallida, sempre più cerulea.

L’incontro con i compagni è nella campagna quasi gelata, verso un giorno via via più nitido, un’alba che per pochi attimi tinge d’oro, di rosa, d’arancione, di giallo, d’azzurro l’immobile intorno.

Ed eccola la neve, non tanta, ma quanto basta a farci voltare la testa, a distrarci per un secondo dalla strada, ad entusiasmare i nostri animi ed il nostro corpo. Adesso scopri che la mèta è un’altra, ma non importa, una vale l’altra in questa giornata già senza una nuvola, senza nebbia, a cielo aperto.

In realtà alla partenza siamo quattro: Lorenzo, Duilio, io e Chira, vivace lupo aschi, che sai quando parte ma non sai quando torna...ed oggi sarà proprio così.

Il rito ai piedi di quel Monte Calvo è sempre lo stesso, con la differenza che c’è già una traccia, ma non c’è nessuno con noi. Per questo la mente può viaggiare libera dai legami, solo due strisce parallele su quel terreno sodo; la presa delle pelli fa sì che lo sforzo non ci sia, tranne forse per Duilio, alla sua prima uscita stagionale.

Le relazioni lette sul percorso si mescolano con la realtà: le parole corrono in un senso, le impronte in un altro. Ma il risultato è lo stesso: più su del cielo non c’è nulla, e noi è lì che dobbiamo arrivare.

I tornanti nel bosco e sul pendio roccioso si fanno sempre più stretti, la traccia è diventata un’unica scia, lunga una sgambata, e Duilio impara a virare! Ma ogni volta che lo sguardo va indietro si apre un mondo mozzafiato per la bellezza: in questa giornata nitida e pulita i monti saturano gli occhi con solo le loro pieghe innevate: la Laga, il Vettore, il Nuria, l’avancorpo del Gran Sasso: tutto spoglio, tutto verde, bianco solo nell’anima. Calamita tentatrice.

E Chira? Lei sale tranquilla, molto più leggiadra di noi, un pò più scatenata e curiosa.

All’anfiteatro terminale decidiamo di calzare i ramponi, non senza prima aver osservato dietro di noi la salita vertiginosa di un folto gruppo scialpinistico agguerrito. Superati, intervisto un pellegrino, che dall’accento mi conferma che è tutto, tranne che romano. Sono sbalordita: come fa la popolazione del Nord a conoscere queste montagne che anche a noi sono poco consuete? Il dubbio ancora persiste, forse al prossimo incontro sarà sviscerato, in fondo siamo multietnici!
La cima accoglie un gruppo giovanile variegato, si va o non si va sull’altra spalla? Di Lorenzo non ho dubbi, e sarà per lui la discesa più bella. Duilio, io e Chira ci dedichiamo a catturare tutti i raggi del pallido sole e a curare le pubbliche relazioni.

L’invito a scendere di Giorgio, amico di Annibale - assiduo uomo frequentatore dell’Appennino e del sito di Gulliver -, ci entusiasma, per una discesa che può essere incontaminata: un richiamo a Chira, uno sguardo all’anfiteatro e..via! dentro la neve, crostosa, difficile, traditrice, stancante.

Ed eccoti a pensarti senza gravità, leggera, leggera, ma invano! ogni volta il tuo peso sfonda la neve, e ogni volta i tuoi muscoli reagiscono per uscire da quella trappola. Segui le curve di Lorenzo, invidiosa, ma lui pesa molto più di te... e sa sciare molto meglio.

Comunque si scende, ci si conosce, si esorta chi vuole mollare, si rompe inevitabilmente la traccia di salita, la neve in fondo è già crostosa per il rigelo: insomma, una fatica! però soddisfacente, se non altro per la spendida giornata, la compagnia, il panorama. Siamo pronti a ripartire, e Chira? Adesso scende, torna con l’ultimo dei nordici, ma no, non c’è, verrà giù con il gelo, andiamo ai paesi vicini a lasciare il recapito, se per caso scende, torniamo indietro cinque volte, inutilmente. La montagna ha consumato il mio occhio ed il timore che possa essere scivolata sul pendio aperto gelato.
Nulla da fare, si torna domani a riprenderla, e mesti torniamo con un fianco di meno.

Sulla strada di rientro, Venere sorge in quel cielo pulito, sfumante in tutti i colori dell’arancione, del giallo, del verde, del celeste, del blu, della notte, e poi sparisce, per lasciare spazio al chiarore di un nuovo mattino, di un’altra alba, di un’altra splendida, fresca, magnifica giornata: di sole, di neve, di vento, di tranquillità, di bellezza, di pace, di freddo, di gioia, di stanchezza, di lacrime, di ansie e  perplessità.

Il tutto in un appagante giorno di montagna.

Seguo la traccia del paziente Lorenzo, ma la cresta, a tratti boscosa, mi rapisce con la sua bellezza: mi levo gli occhiali per gustare fino in fondo la pienezza di quel colore azzurro, intenso, sfondo perfetto a contrasto per alberi nodosi, aggrovigliati, contorti, uniti, affastellati, già carichi di gemme e di vita, di dormienza e di sopravvivenza.

Il vento in cresta allunga la montagna: con i suoi mille chicchi di neve sospesi, trasportati, sollevati, scaraventati lontano sul pendio, quasi a volere allontanare, con l’irruenza di un gioco, la palla di un gioco ben più violento e tragico, non celabile sotto la coltre bianca, tinto di rosso e destinato a perdurare nella memoria degli uomini che lo hanno creato, che non l’hanno fermato.

Ma come sempre a me il vento non spaventa, non disturba, anzi, mi trascina verso la cima, a liberare i pensieri più puri, a godere di quella trasparente presenza, forte ed incisiva, tenace e gelata.

L’imminente pensiero entusiasta va ad Italo, compagno pescarese di salite inafferabili, eppure sempre concrete, uomo mai raggiungibile, eppure sempre presente; oggi al contrario viene verso di noi ed arriveremo ad abbracciare la cima insieme, Lorenzo, lui, io ed il suo cane, Macchia.
Non scenderà con noi, ha lasciato un fratello in salita e vuole trovarlo in discesa.

Così con l’ansia, il freddo, e la stanchezza, seguo le impronte del fido Lorenzo, i cui occhi in salita erano specchianti nei miei: gli occhi di Cip e Ciop, metafora calzante quando tutto è troppo intenso per raccontarlo.
E mentre costringo l’amico a sopportare le dolorose lacrime per i miei ghiacciati arti in via di scioglimento, lo distraggo illuminandolo sull’orizzonte di fronte a noi: uno squadrone di montanari a piedi, sul crestone, a quell’ora tarda della giornata. Pazzi!, non sapendo che era il resto della nostra compagnia, destinata al M. Puzzillo, deviata sul M. Orsello.

E questa montagna, a molti sconosciuta, fa da trama affollata ai più svariati legami umani: di conoscenza, di amicizia, di passioni, di affetti, di divertimenti.

Da quel momento la neve per noi diventa un sogno, infinita e fina polvere fino al suo termine, una striscia continua di curve, onde, pennelli, urli, curve, onde...cadute!
Anche se stremata, ho il piacere di arrivare giù sci ai piedi, un pò rammaricata dell’assenza di Italo e di chi poteva godere con noi di questa giornata stupenda. Sarà alla prossima.

Chira si è riunita ai suoi affetti dopo una notte all’addiaccio in cima,
Lorenzo è contento di tutto, anche del suo momentaneo e meritato sovrappeso,
Anna, dopo la telefonata di Italo, perso ed intrappolato nell’incastro del bosco, è molto più tranquilla,
Alessandro è stupito che eravamo sulla stessa montagna senza vederci,

e…la penna di Derspina non ha saputo resistere all’invisibilità del suo inchiostro …

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