L’abbagliante Bianco del Rutor
Il nostro bianco Rutor inizia dal suo balcone sul Bianco.
Visione spettacolare in una giornata altrettanto limpida: la trasparenza dell’aria ci scaglia di fronte l’imponenza del Re delle Montagne, custode di celati desideri, ispiratore di inaccessibili imprese.
Dall’alba, Sua Maestà ci seguirà nel nostro avanzare su quel letto addiacciato, attento guardiano dei nostri scricchiolanti passi in quell’oceano candido, a saltare le fenditure dell’immensa distesa, ad individuarne in altro biancore la sua cima, con quella sua pia e immacolata Madonnina che ci ricondurrà alla sua città di appartenenza.
Ok!... Mentre chiudo a chiave la porta di casa ripeto mentalmente il materiale: scarponi (senza di quelli non vai da nessuna parte!), guanti, cappello, pile, pantaloni, piccozza, ramponi, imbraco, casco….ecco, sei vestita, il resto è superfluo.
E mentre la concentrazione sale – il “buco” del Castore ancora scotta – arrivo alla stazione con calma, dove c’è sempre il mio treno senza binario: ormai ci sono affezionata; chissà se al ritorno mancherà anche la carrozza!
Milano e Marina mi accolgono con calore, in una giornata che preannuncia bel tempo per l’indomani; una veloce ripassata agli zaini, due chiacchiere ed è già un altro giorno.
Quella strada familiare fino alle montagne distrae la mente dall’impresa, ed ecco che a confonderci definitivamente appare superbo il Monte Bianco, così, silenzioso, imponente, oltremodo maestoso.
Neanche una nuvola all’orizzonte, la voglia di essere lassù a garantirsi l’impresa e la spettacolare visione ci fanno continuare ad avanzare sugli stretti tornanti che ci portano a La Joux, punto di partenza di questi due giorni montanari, porto di arrivo delle nostre navigate fatiche.
Guardandomi i piedi scopro già la sofferenza, ma non demordo: 2000 metri di piacevole salita con pantofole quali i Koflak abbatterebbero chiunque, ma non me, che queste giornate me le sono centellinate nel cervello.
Ci siamo! inizia il gioco del bianco che nella giostra dei colori sembra non esistere: la magica separazione nei suoi variopinti componenti la vedremo in ogni attimo di questa chiara ascensione. Cascate di miriadi di stelline colorate a formare fresche ricadute d’acqua scintillante, violenta, assordante; laghetti in controluce da sembrare immobili strati ghiacciati; nevi perenni dei seracchi in lontananza, appesi con i loro tagli traversi in quel mare di neve rinfrescata dai giorni precedenti.
Il verde incontrastato della vegetazione ricopre e scopre ancora Sua Maestà il Bianco, tutte le sue creste, i suoi Denti, i suoi ghiacciai, i suoi tortuosi pendii. Ogni curva del sentiero una visione differente, un quadro d’autore limpido e attrattivo, impertinente nella sua insistenza di beltà, arrogante nella sua incontrastata sfida.
E rido di questa sua superbia, perché più il suo tesoro è lontano più il nostro sogno diventa grande.
Con calma e tranquillità mi godo l’ascensione a quel rifugio dal nome impronunciabile – Deffeyes -, beandomi dei panorami che man mano si aprono alla salita, fino a scoprire l’enorme circo glaciale difeso dai suoi neri contrafforti.
Le luci del giorno calante si allungano sulla distesa bianca, accendendo di colori vivi lo scarno pallore, ingannando lo sguardo su quelle linee rocciose così vicine, eppur troppo lontane.
L’oscurità del mattino ci srotola la sua lettera: carta bianca dove i nostri passi scriveranno la loro poesia, lungo il percorso che porta al cielo. E come si sa, “Più in alto : nulla!.” (Herzog, Annapurna, i Primi 8000)
come Frontale, luce nella notte che rischiara il cammino in compagnia delle stelle;
come Facile, sarà il nostro avanzare su quell’immensa distesa cristallina, annerita, contratta, e infine troppo immacolata;
come Fatica, quando senti le gambe impegnate nello sforzo del costante passo o nello strappo finale;
come Fiato, che accompagna il ritmo cadenzato della marcia a superare l’inerzia, la quota, il vapor acqueo;
come Fianco, quello che presti alla corda, tesa ma sciolta, che ti lega all’entusiasmo dei compagni e ti unisce nella cordata “per dividere con lui l’esperienza, per dare e ricevere aiuto, per uno scambio di costituenti dell’individualità, ma ci si lega all’altro anche per dividersi da lui, e attraverso lui, conseguire un trionfo personale.”“ (1);
come Furia, folata, freddo, fretta, allo scatenarsi delle intemperie, per non farti mai abbassare la concentrazione, poiché “ciascuno di questi elementi contribuisce alla nostra salita verso l’alto, al nostro andare incontro al vuoto, all’abisso del cielo, al precipizio dell’interiore” (2)
come Ferita, aperta senza pietà in quell’angolo martoriato, dove le crepe aspettano l’inverno per essere rimarginate;
come Fusione, cristallina, trasparente, piccole pozze specchianti vita, panorami, beltà, disaggregazione delle nostre paure gocciolanti verso le profondità della Terra, incastrate nei gorghi smeraldini da una gravità troppo pesante;
come “Fare la montagna ci preserva dal disfare la personalità” (3)
come Fine, di questa splendida esperienza, dove brilla l’arcobaleno …………
……………e voltandosi indietro ci sente più ricchi.
Quando arrivi alla stazione c’è sempre un treno che non ha binario,
ma oggi il mio ce l’ha.
Ed ha anche la mia carrozza.
by Derspina Testa del Rutor (3496 m), 7-8/8/2010 – Roberto, Alberto,Anna,Marina,Giorgio,Gabriele
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