Il quinto ramo: Urla e tremori della Terra
I due Terremoti: Irpinia e L'Aquila
Irpinia Ieri - Salviamo la memoria
23 Novembre 1980 (di Zinzi Giovanni Battista)
I 5 sensi del lungo istante- Prima e dopo (di Anna)
I sepolti e i salvati (di Antonello Caporale)
Irpinia Ieri – Storia e memoria
Terremotoirpinia - 23 novembre 1980. Storia e memoria (di Stefano Ventura)
Irpinia Ieri - Interpelliamo la memoria
Ricordi spezzati (di Anna, Volontaria in Irpinia -Torella dei Lombardi nel 1980)
Irpinia Ieri - Gli angeli del terremoto (dal Ventennale del Comune di Lioni - di Rodolfo Salzarulo)
Irpinia Ieri - Il terremoto infinito
Il terremoto dell’ Irpinia (foto e testo di Carlo Alfani)
23 Novembre 1980, un brivido lungo 90 secondi (foto e testo di Carlo Alfani)
L’Aquila Oggi - 6 Aprile 2009 (di Anna, Volontaria a L’Aquila - Campo di Sassa Scalo, 4-14 Agosto 2009)
Sussurri
Il silenzio della città viva
All’ombra dell’alzabandiera
Volti
Volontari
Irpinia Ieri – Salviamo la memoria
23 novembre 1980
Ho visto cadere pietre di tufo
Polvere alzarsi come del fumo
Gente scappare l’ho sentita gridare
Tutto è accaduto
In pochi istanti …
Sono passati giorni da quel 23 Novembre
Davanti ai miei occhi ancora
Lacrime di gente.
Ho visto cadere persone a Me care
Di quel segno di croce solo
Un ricordo
La verde Irpinia è ormai sconvolta
Gente in panico oramai intimorita
Come dei morti stan lì per la via.
Ora mi trovo in una piccola
Stanza oscura e quello che
Posso dire non è
Casa mia
Neanche una finestra per
Vedere i platani vecchi
Alberi della mia
Infanzia
Vorrei scrivere e scrivere
Ancora ma quel che sento
Non potrei mai dire.
E’ la nostra vita è un
Destino guarderò
In alto ci sarà un Dio?
Zinzi Giovanni Battista
N. 28.05.53 - M. 4.12.91
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I 5 SENSI DEL LUNGO ISTANTE Anna, Volontaria in Irpinia nel 1980
Prima e dopo
Prima non vedevo, e subito dopo ho dovuto guardare lo strazio coi miei occhi,
Prima non sentivo, e subito dopo ho dovuto ascoltare mille disperate voci,
Prima non sfioravo, e subito dopo ho dovuto toccare con mano le rovine,
Prima non assaporavo, e subito dopo ho dovuto deglutire l’angoscia,
Prima non percepivo, e subito dopo ho dovuto soffocare l’odore della morte.
Prima del vento ... e subito dopo, la polvere
Prima del boato ... e subito dopo, l’urlo
Prima del crollo ... e subito dopo, il pianto
Prima dello schianto ... e subito dopo, la disperazione
Prima……... e subito dopo, il nulla delle macerie
Prima Loro c’erano, e subito dopo non c’erano più,
Prima esisteva una vita, e subito dopo ne sono scomparse tante,
Prima c’erano i sogni, e subito dopo una cruda realtà,
Prima c’era l’infinito, e subito dopo un muro di confine,
Prima ero incosciente, e subito dopo ho dovuto essere troppo consapevole,
Prima non ero con Loro, e subito dopo ci sono voluta essere,
Prima ero sola, e subito dopo siamo diventati tanti
Prima non avevo memoria, oggi voglio tener vivo il ricordo
I SEPOLTI E I SALVATI
(di Antonello Caporale, La Repubblica)
‘La sera del 23 novembre del 1980 una lunghissima scossa della durata di un minuto e venti secondi, di magnitudo 6,8 della scala Richter, rase al suolo 36 paesi situati al confine tra la Campania e la Basilicata. 2735 furono i morti, 8850 i feriti.
Il disastro naturale fu di proporzioni gigantesche: il paesaggio aspro e bellissimo dell'Irpinia venne sfregiato dagli scuotimenti, ripetuti e dolorosi, della terra. Case inghiottite, viadotti spezzati, frane dappertutto.
L'Italia si mosse come mai è capitato nella storia della Repubblica.’
Irpinia Ieri – Storia e memoria
TERREMOTOIRPINIA
23 NOVEMBRE 1980. STORIA E MEMORIA
(di Stefano Ventura da terremotoirpinia.ilcannocchiale.it )
‘Domenica 23 novembre 1980, ore 19 e 34. Un terremoto di fortissima intensità (10° grado scala Mercalli) colpisce una vasta regione dell’Italia Meridionale, al confine tra la Campania e la Basilicata, e viene avvertito praticamente in tutto il Sud Italia, da Roma in giù. I morti saranno 2914, i feriti 8800 e 275mila i senzatetto.
Questa è la versione fredda che del terremoto dell’ Irpinia (o meglio di Campania e Basilicata) si può trovare negli annali.
Ma per raccontare un evento tragico e devastante non bastano cifre, cronologie o citazioni.
Bisogna interpellare la memoria.
Anche se la memoria è una fonte storica imperfetta, da soppesare attentamente, da verificare più e più volte. Tuttavia, il racconto di un evento tragico, di una sofferenza estrema ha un valore diverso in quanto a testimonianza. Basti pensare all’uso dei racconti orali per cercare di narrare gli orrori della Shoah, delle violenze di massa, dei bombardamenti.
Per questo, interrogare la memoria, collettiva ed individuale, per raccontare il terremoto, la nostra tragedia, può essere un’operazione culturale di grande valore.
Per far emergere le visioni del mondo, il senso che la gente ha dato alle cose, le sue spiegazioni.
Per far emergere, senza fronzoli e dietrologie, il dolore rimosso.’
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Irpinia Ieri – Interpelliamo la memoria (di Anna)
Fu l’impazzare del terrorismo, con la tragica fine del Professor Bachelet, tre agenti di pubblica sicurezza a Milano, un Procuratore a Salerno, un commissario dell’antiterrorismo a Mestre, il giornalista Walter Tobagi, un sostituto Procuratore a Roma, un altro tipografo ucciso per sbaglio, un direttore d’industria, un sequestro di persona, culminando con la strage della Stazione di Bologna: era il 2 Agosto. I morti furono 85, i feriti oltre 200.
Fu l’anno della pazzia di mafia, che uccise il presidente della Regione Sicilia, Piersanti Mattarella; a proseguire un Capitano dei Carabinieri, un procuratore capo a Palermo.
Fu l’anno degli accordi tra i lavoratori delle grandi industrie europee e i loro governi.
Fu l’anno della fine del compromesso storico, e della sconfitta del sindacato ad opera dei “colletti bianchi” della Fiat, l’inizio delle collaborazioni con la giustizia da parte di terroristi, ci fu la caduta del governo.
Fu l’anno di avvio del conflitto Iran-Iraq e l’anno di Ronald Reagan eletto Presidente degli Stati Uniti.
Fu l’anno di avvio del conflitto Iran-Iraq e l’anno di Ronald Reagan eletto Presidente degli Stati Uniti.
Fu l’anno della tragedia e mistero di Ustica, con i suoi 81 morti ed infiniti dubbi.
Ma fu soprattutto l’anno della più grande catastrofe del Sud Italia: in uno scenario di distruzione furono rasi al suolo decine di paesi della Campania e Basilicata. 2914 i morti, più di 8800 i feriti, centinaia di migliaia senza tetto.
Tutto in 90 secondi.
RICORDI SPEZZATI
31 luglio 2010.
Oggi ho pianto, guardando le immagini di un passato mai morto, ascoltando le voci mai silenti di chi non c’è più, combattendo i ricordi che piano piano affiorano come lava sull’orlo del cratere prima della sua grande esplosione, prima che tutto venga coperto di polvere e cenere, prima che il tempo si trasformi in dopo.
E il dopo è un attimo, infiniti 90 secondi che annientano il respiro, soffocano i polmoni, esplodono il cuore, crollano sulla vita seppellendo anche la morte.
Nulla rimane del prima, se non la certezza di essere vivo per chi è rimasto, e di non avere più i propri cari nel dopo della scomparsa.
Qualcuno ha spento la luce.
Il buio ha inghiottito migliaia di vite, il flebile chiarore riapparso ha mostrato dolore e tragedia, disperazione e morte, angoscia e strazio.
Il buio ha inghiottito migliaia di vite, il flebile chiarore riapparso ha mostrato dolore e tragedia, disperazione e morte, angoscia e strazio.
23 novembre 1980.
Ed eccoli i ricordi, mai soffocati, galleggianti da quel 23 novembre in cui la televisione ha scricchiolato, facendoci mettere sotto lo stipite della porta, consuetudine ormai familiare per i frequenti tremolii dei Castelli Romani.
Ma ben presto prorompe vera la sconvolgente notizia: la terra ha camminato in superficie per centinaia di chilometri a far emergere le sue ferite profonde 30, ha ruggito con mille boati nel cratere più a sud della nostra nazione, ha urlato la sua rabbia soffiando violentemente catastrofe, lanciando a tutto il mondo un monito per la solidarietà umana.
Prima una, poi alcune decine, forse centinaia, ed infine migliaia saranno le voci spezzate in quel folle, lento, ma inesorabile giro e mezzo di lancette; impossibile contarle tutte, urla di morte scoppiate all’unisono con chi lancia il grido liberatorio di essere in vita, chi si unisce al coro della disperazione, al fiume di lacrime e tormento dei sopravvissuti.
Notizie che si susseguono e si inseguono, uomini che si accusano, macerie che crollano, mani nude che scavano, emigranti che ritornano.
Non si può partire da soli, si aspetta un’organizzazione che tarda; <Anna non vai da nessuna parte!>, <Sono maggiorenne> punto i piedi.
E’ mercoledì. Mi ritrovo su un pullman dell’Acotral, scendiamo con il sindacato, ma in realtà c’è quasi metà dei miei familiari e tanti altri volti amici confusi; sono attonita, non vedo strada, non leggo paesi, non sento parole.
Siamo fermi. Un’enorme spaccatura della terra ci accompagna ormai da chilometri; più avanti un blocco militare, non si passa. Lunga deviazione nel silenzio, è notte quando arriviamo in quelle luci spettrali di colore mortale, immobili, fulminate. L’accampamento è lì, al campo sportivo, tra fango e erba, fila indefinita di tende incolori.
E’ giorno. Non ricordo di avere dormito, non ricordo dove ho dormito, so che ho indosso una tutina jeans che non toglierò per troppi giorni, insieme al mio fedele cappello che mi farà dolorose vertigini in testa, ma che non sarà nulla a confronto dello strazio umano che presto vivrò. Tende, militari, fango, poi neve, freddo, congelamenti. Disperata tiro violenti calci ad una piattaforma di cemento senza sentire alcun dolore; in infermeria ci vorranno due ore per riattivarmi quel sangue agghiacciato dalla catastrofe e dallo sgomento.
Tutto intorno a me corre veloce, laddove il tempo si è fermato, nomi indistinti, vanno e vengono, tanti, troppi per ricordarli tutti.
Si parla di 33 morti, alla fine saranno 28 a Torella, già tutti seppelliti. Gli abitanti del paese si aggirano come anime perse in un baratro chiuso, bloccato dalle rovine delle macerie e dal continuo pericolo dei crolli. Le voci che giungono sono inenarrabili: si scava ancora nelle macerie a Lioni e S. Angelo, sembra che quest’ultimo paese sia stato chiuso, notizie vaganti come ombre, a rincorrere fantasmi.
Per me le giornate sono tutte come fosse il crepuscolo, quella luce scarna che non identifica volti e lacrime, ma solo una grande dignità nel dolore. Non ricordo la luce del sole, eppure ci sarà stato; mi ritrovo con il fango che attanaglia le gambe, il freddo che spezza il fiato, ed infine la neve che ci fa calare in un mondo ovattato.
Un camion di bare: <non qui, andate a Lioni, che ne hanno bisogno”>;
<c’è un TIR di latte dalla Germania, dove lo mettiamo?>
< Riunione tra cinque minuti sotto la tenda.>
Fogli, carte, nomi, l’assessore alla cultura, Vincenzo, Ruben.
<Sono arrivati gli stivali, iniziamo la distribuzione?>, <no, vanno divisi i capi nuovi, organizziamo il magazzino; c’è troppa roba va separata> <che ci facciamo con un TIR di pannolini? La carta igienica? Ma abbiamo una lista della popolazione?> parole che si inseguono nei singoli minuti di queste eterne giornate, che passano troppo in fretta per chi cerca ancora tra le macerie un vitale filo di speranza.
Organizzazione confusa per dettare ordine in quel mare di ogni genere, alimentare, vestiario, medico, casalingo. Catena umana a dividere, separare, distribuire ogni regalo di solidarietà di coloro che non sono potuti intervenire, di chi ha scelto in altro modo la sua partecipazione al dolore collettivo.
Nelle campagne sconfinate, le case crollate sono tenute insieme da puntelli di fortuna:
< …un grande boato, come se fosse un gran tuono, e poi ho visto il lago alzarsi…. I cani hanno ululato tutto il giorno…. > il terrore nei racconti di chi è lontano da quell’impensabile e indelebile tragedia umana, inconsapevoli che nel largo cerchio di atroce crudeltà casuale sono stati loro i benedetti, gli sventurati miracolati.
I miei occhi si spalancano all’arrivo delle gru, pale meccaniche, trattori, e un immenso movimento di persone che crea per magia uno spazio per vivere: è l’aiuto dei gemellati che ci permetteranno costruendo un tendone da fiera di distrarci nei pochi momenti di spensieratezza.
C’è chi dorme nei vagoni del treno, chi in pullmann; e mi ritrovo in cucina con mio cognato e un militare che proprio cuoco non è, ma che non demorde a preparare ogni giorno pasti caldi per oltre 200 persone. Trent’anni dopo mi ritroverò nella stessa situazione, a dover affrontare gli occhi della tragedia negli occhi dei sopravvissuti che sfilano davanti a te tre volte al giorno, unico contatto umano e sentimentale con l’incommensurabile calamità. Inebetiti, storditi, emozionati, inconsapevoli dell’inaudita violenza naturale, che purtroppo si manifesterà di lì a pochi giorni.
Lioni: eccola la rabbia polverizzata, mescolata al più grande silenzio che si conosca. Forse solo il boato dell’atomica può paragonarsi a quel vuoto spettrale. Case sventrate aspettano invano quotidiani gesti, quadri appesi partecipano denudati alla vita di strada, nella polvere, nei cumuli, negli ammassi intrecciati di pali ferrosi.
Si sfila per le strade vuote e diafane, lo sguardo commosso e sfuggente a quell’intimità violata, quell’appropriarsi involontario di vite altrui che lascia sgomenti. Le lacrime e la rabbia corrono verso chi non ha saputo rispondere subito, chi ha innalzato le polemiche per coprire le proprie responsabilità, chi ha lasciato che un popolo annientato si potesse sollevare solo con l’onda della solidarietà volontaria. Ma questa da sola non basta, e allora l’indignazione prosegue ancora più agguerrita nel lavoro di partecipazione quotidiano, come a voler ricostruire con la sola forza delle braccia quelle vite e paesi ormai sommersi dal dopo.
Non ricordo quanti giorni siamo stati, ci siamo ritornati, le giornate ed i volti si sono accavallati, i pensieri forse sono stati romanzati, forse era notte quando ho scritto giorno, forse era domani quel che è successo ieri. Ma questo non cancella le sensazioni vissute, quel doloroso senso di inettitudine di fronte ad una natura così forte, quel sentirsi piccolo in una così grande tragedia.
Non so cosa voglio ancora ricordare e cosa ricorderò e se è corretto ciò che ho ricordato.
So che non voglio dimenticare.
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Irpinia Ieri – Gli Angeli del Terremoto
Quella notte, per il resto d'Italia, Lioni taceva senza corrente elettrica e senza telefoni: parlò di questa comunità, con la voce del radioamatore IW8 BIX Gerardo Calabrese che, in un ponte radio che ebbe dell'assurdo, riuscì a comunicare al resto d'Italia quale tragedia si stesse consumando da queste parti. Le dimensioni di quel terremoto risulteranno incomprensibili per molte, lunghe ore.
Le luci del giorno dopo videro, prima con qualche cautela, poi con una progressiva e crescente frenesia di cui non si ricordava I'uguale, mettersi in moto una gigantesca macchina di solidarietà umana: una marea di uomini e mezzi che si andava raccogliendo in giro per l'Italia si cominciò a riversare in Irpinia e, in particolare, Lioni divenne un centro di volontariato che nelle sue prime battute fu spontaneo e fece riferimento ai comitati di quartiere, che i lionesi istituirono come strumento di autorganizzazione.
Si allertarono unità medico-ospedaliere e centri di varie associazioni di volontariato, gruppi di operai di fabbriche del Nord ed elettricisti, accanto a gruppi di cittadini isolati che venivano a portare le loro braccia e la loro professionalità al servizio di un'umanità colpita con durezza dall'evento.” (Prefazione di Rodolfo Salzarulo, in ‘Lioniventennale’)
Foto di Gerardo Garofalo;
Selezione di Angelo Garofalo
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Irpinia Ieri – Il Terremoto infinito
IL TERREMOTO DELL'IRPINIA
Articoli e foto redatti da Carlo Alfani - da:salernoinprima.it
*PER LA CONSULTAZIONE DEL MATERIALE UTILIZZATO, SI RINGRAZIA LA BIBLIOTECA PROVINCIALE DI SALERNO
Viene definito terremoto dell'Irpinia il sisma che il 23 novembre 1980 colpì Campania e Basilicata. Il sisma si scatenò alle 19,34: la scossa, di magnitudo 6,9 sulla scala Richter, ebbe una durata interminabile, quasi 60 secondi. L’epicentro fu registrato nel comune di Conza della Campania (AV), l’ipocentro a circa 30 km di profondità. Molto vasta l’area colpita: dall’Irpinia al Vulture, a cavallo delle province di Avellino, Salerno e Potenza. Il sisma causò 2.914 morti, 8.848 feriti e circa 280.000 sfollati.
Tra i comuni più duramente colpiti spiccano Sant'Angelo e Torella dei Lombardi, Conza della Campania, Teora, Lioni, Laviano, Santomenna e molti altri paesi limitrofi. Gli effetti, tuttavia, si estesero ad una zona molto più vasta, andando ad interessare quasi tutto il Centro-Sud. Molte lesioni e crolli avvennero anche a Salerno e Napoli: l’episodio più grave a Poggioreale, dove crollò un palazzo in via Stadera, probabilmente a causa di difetti di costruzione, causando 52 morti. Crolli e devastazioni avvennero anche nel potentino, in particolare a Balvano, dove il crollo della chiesa di S. Maria Assunta causò la morte di 77 persone, di cui 66 bambini e adolescenti che stavano partecipando alla messa.
Dai sopralluoghi effettuati dall'Ufficio del Commissario Straordinario, risultò che dei 679 comuni che costituiscono le 8 provincie interessate globalmente dal sisma (le 5 campane, le 2 lucane e Foggia), 506 (pari al 74%) sono stati danneggiati. Le provincie che hanno subito maggiori danni sono state quelle di Avellino (103 comuni), Salerno (66) e Potenza (45). Trentasei comuni della fascia epicentrale hanno avuto circa 20.000 alloggi distrutti o irrecuperabili. In 244 comuni non epicentrali delle 8 provincie colpite, altri 50.000 alloggi hanno subito danni da gravissimi a medio-gravi. Altri 30.000 alloggi lo sono stati in maniera lieve.
23 NOVEMBRE 1980, UN BRIVIDO LUNGO 90 SECONDI
È una domenica di fine novembre, sono le 19.34.
Per alcuni è l’ora della passeggiata, per altri del cinema o delle partite in tv, per altri ancora di una chiacchiera in famiglia in attesa della cena. In una stanza dell'Osservatorio di Monte Porzio Catone (Roma), l'ago del sismografo accelera il suo ritmo, segnala oltre il diagramma per un lunghissimo minuto e mezzo, sembra quasi impazzire.
Poco dopo, dai televisori, le prime notizie. Frammentarie, confuse e, purtroppo, ben lontane dall’inquadrare la tragica verità. "Non si hanno notizie di vittime, soltanto qualche contuso", assicura un TG. E poi un altro: "Si ha solo notizia certa della morte di una donna stroncata dall'infarto nella metropolitana". C’è persino chi ironizza: "Ci sono notizie di qualche incendio, perché le persone sono fuggite, magari c'è stato qualcuno che ha lasciato acceso il fornello della cucina…”
Ma la realtà è ben diversa, e di lì a poco l’orrore irrompe nelle case degli italiani, quando dagli schermi appaiono le prime immagini dal luogo della sciagura. Un cronista è lì, tra le macerie, tra quel che resta di uno dei tanti, sconosciuti, remoti villaggi dell’Appennino irpino-lucano. Dalle sue parole concitate la consapevolezza di una tragedia immane: “Adesso stanno... si hanno recuperato altri 2 corpi. Il lavoro continua, è una cosa straziante, non è possibile descrivere quello che sto vedendo in questo momento: è soltanto un enorme, immenso ammasso di macerie”.
Sono trascorsi appena 4 anni dal terribile sisma del Friuli, una ferita ancora aperta nel cuore degli italiani. E la sensazione di un ennesimo disastro attanaglia tutti. Ma, per l’intera prima notte, nessuno è in grado di tracciare un quadro chiaro, attendibile. Lo dimostra il titolo in prima pagina de ‘Il Mattino’, vago, persino ottimista: “Un minuto di terrore, i morti sono centinaia”. Le tenebre della notte e la lontananza di quelle terre hanno reso tutto drammaticamente più oscuro.
Manca la luce, i telefoni sono andati in tilt: funzionano solo le radio di Polizia e Carabinieri, ma sono ingolfate. I collegamenti con paesi e città sono saltati. “Mentre scriviamo - scrive il cronista della testata napoletana - è impossibile tracciare un bilancio”. Per le stesse autorità è difficile stabilire “dove e cosa sia successo”. E intanto la gente, in preda al panico, al dolore e allo sgomento, si è precipitata fuori dalle case. Strade, piazze, campagne si trasformano in veri e propri accampamenti a cielo aperto: uomini, donne, bambini trascorrono la notte all’addiaccio.
Al levarsi del sole, uomini in elicottero salgono in cielo e scavalcano le montagne nevose dell’Irpinia. Paesi costruiti in cima alle montagne, ad esse quasi aggrappati; case vecchie, povere, fatiscenti; strade che si arrampicano, vicoletti in cui pulsava una vita fatta di stenti: la scossa vi si è abbattuta come una violentissima martellata e tutto è crollato fin giù verso la valle, portandosi dietro intere famiglie. Una civiltà, un’idea di comunità, fatta di semplici tradizioni e umili valori, è come sprofondata per sempre in un cratere.
Il chiarore dell'alba, tanto atteso eppur temuto, getta luce su una sciagura immensa, su un'esistenza ora diversa per tutti. Irpinia, Alto Sele, Lucania sono un panorama di rovine.
Molti villaggi sono distrutti. Laviano, Santomenna, Colliano, Castelnuovo di Conza, nel salernitano; Sant’Angelo dei Lombardi, Lioni, Teora, San Mango sul Calore, in Irpinia: questi paesi quasi non esistono più. A Salerno circa 50mila persone sono senza tetto. Persino Napoli, pur lontana dall’epicentro, è paralizzata. Per tutti, quel minuto e mezzo è stato un salto nel buio più profondo.
E così, “Il Mattino” di martedì 25 novembre è costretto a una tragica rettifica rispetto al titolo del giorno precedente: “I morti sono migliaia, 100.000 i senza tetto”. Ma non è finita, si precisa nell’articolo in prima pagina: “Di ora in ora il bilancio del terremoto assume le dimensioni di una grande tragedia […] Il conto dei morti, soprattutto nell’Alta Irpinia devastata e nell’alta valle del Sele, si allunga: saranno duemila, tremila, forse di più.
Centinaia di corpi devono ancora essere estratti dalle macerie. Decine di paesi sono stati letteralmente cancellati. Da 36 ore viviamo in città fantasma […] In molti paesi i morti sono stati contati sottraendoli dai vivi. E lasciandoli imputridire sotto montagne di polvere marcia”. Il tutto è reso drammaticamente più difficile da una macchina dei soccorsi che ovunque si è mossa con colpevole ritardo.” In molti comuni si scava ancora e solo a forza di mani […] Mentre il freddo dell’inverno incalza e le riserve di viveri, di tende, di coperte, di medicinali, perfino di garze e di siringhe si assottigliano”.
Di qui, il grido di allarme dell’edizione di mercoledì 26: “Fate presto”. Due giorni dopo quella maledetta domenica, si brancola ancora nel buio. In molti paesi, viveri, tende, medicinali sono arrivati 48 ore dopo la scossa. Nell’ospedale da campo di Oliveto Citra, molti bambini sono morti dissanguati e persino per il freddo. Per ore e ore dalle macerie si sono uditi lamenti e grida d’aiuto, via via sempre più flebili: sono i “sepolti vivi”.
Amministratori, parroci, gente comune: tutti levano grida di rabbia contro uno stato ancora una volta assente. “Se ci avessero aiutato prima…”: è il coro unanime di protesta.
Come accaduto in Friuli, emerge l’immagine di uno Stato disgregato, che rivela le sue carenze organizzative al centro come in periferia. Nessuno è risparmiato, neppure il tanto amato Presidente Sandro Pertini che, in visita nei paesi terremotati, è accolto dai fischi. “Ma cosa è venuto a fare Pertini qui? - tuona il sindaco di Laviano - Non sappiamo cosa farcene delle belle parole”.
Lo stesso Pertini, nello speciale TG2 del 27 novembre, ammetterà: “Non vi sono stati i soccorsi immediati che avrebbero dovuto esserci. Ancora dalle macerie si levavano gemiti, grida di disperazione di sepolti vivi. Non deve ripetersi quello che è avvenuto nel Belice. E se vi è qualcuno che ha speculato, io chiedo: costui è in carcere come dovrebbe essere?". Dopo secoli di disboscamento, la montagna che incombeva sugli uomini si è come sbriciolata. Una volta di più, l’Italia deve fare i conti con l’aspra verità di un dissesto territoriale che, ancora una volta, ha moltiplicato i danni recati da una tragica fatalità.
Passata la catastrofe, resta un pezzo del Mezzogiorno, due regioni abitate da 7 milioni di persone già più volte sconfitte, costrette a ripartire da zero. “Quel disperato, muto, uniforme, grigio ammasso di rovine e mura franate e povere, irriconoscibili cose - dice Lina Wertmuller nel documentario Rai ‘È una domenica sera di novembre’ - significava, fino alle 19.30 di domenica, uomini, donne, persone, famiglie, affetti, ricordi, pensieri, illusioni.
Tutto spazzato via, cancellato”.