L’AFRICA DEL BIANCO E DEL NERO
LA VIA DELL’ACQUA
I piedi nell'acqua
Primo vero giorno di viaggio, verso le meraviglie di Bani e il vocìo di Gorom Gorom.
Caldo soffocante, l’entusiasmo per quest’avvio di conoscenza ci aiuta a superare il disagio del trasferimento.
All’occhio non sfugge il panorama che scorre, seppur di costruzioni immobili, villaggi seminascosti dietro muri trinceranti, fienili sospesi su massi, bancarelle e piccoli negozietti, ma solo in prossimità dei villaggi. Il resto è savana, sterpaglia intrecciata di fili spinosi, aculei pungenti come le parole del capo villaggio a difesa dei suoi abitanti: la riservatezza della vita familiare e la curiosità del nostro essere diversi, ambiguità che si concretizza tra l’alternarsi di sorrisi e sguardi severi.
L’unione di paglia e mattoni non stupisce in questa parte di pianeta, dove l’acqua piovana torrenziale diventa catastrofe, e la sua mancanza tragedia, il suo continuo ristabilire un equilibrio per la vita e la sopravvivenza.
Sono incuriosita e propongo la sosta: intere spianate di mattoni allineati ci indicano la presenza di fabbriche del fango. E come dal nulla, spuntano ordinate spine di pesce accatastate di rettangoli di creta; susseguenti file di parallelepipedi ordinati su un fianco si godono il sole che lenisce i dolori e, se il lavoro è stato fatto a regola d’arte, le ferite sono chiuse ed il corpo è solido.
Anziani mastri non abbandonano i giovani al loro lavoro, ma sorvegliano in silenzio che il loro tramandare sia eseguito secondo le arti del mestiere e ci sorridono, fieri di mostrarci questa antica e preziosa tradizione.
Il nostro cuore inorridisce alla triste realtà della creazione dell’opera: immersi letteralmente in quell’ammasso melmoso, ragazzi fin troppo giovani pestano violentemente le dure e fini particelle fino a sbriciolarle nell’acqua; la pesantezza di tirar via le gambe da quell’impasto attanagliante ed il caldo, torrido e soffocante, fanno il resto.
Incrostazioni sulla pelle che si uniscono alle crepe del terreno, l’amalgama risucchiante non lascia spazio alla lamentela, ma solo alla rassegnazione di un lavoro massacrante, culminante in quell’apporre il perimetro rettangolare su quel terreno in parte inaridito.
L’acqua benefica ha sortito un maleficio sui pori della pelle, distribuendo quella polvere asfissiante su tutto il corpo sommerso: il caldo rovente asciuga e cuoce i mattoni, così come, facendo evaporare l’umido, secca le finissime particelle che avvolgono le gambe dei ragazzi.